Una Via Preclusa (Racconto)
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Una Via Preclusa (Racconto)

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Giuseppe Macchiavello, Rapallo

Era ancóra buio quando, dopo aver mangiato qualcosa e preparato con il fornellino il té che trangugiarono caldo il più possibile, si cavarono dai sacchi piuma dentro ai quali avevano trascorso seduti, schiena alla roccia e piedi quasi sporgenti sul vuoto, la lunghissima notte. Per quanto indolenziti dalla posizione e intor-mentiti dal freddo, si sentivano, tutto sommato, abbastanza in forma. Alla luce delle lampade frontali riordinarono il materiale, e ai primi barlumi del giorno erano pronti.

Le condizioni meteorologiche sembravano mantenersi buone. Luna e stelle erano state spettatrici del bivacco; l' intenso gelo dell' aria era rimasto tranquillo: sin troppo, semmai, che una vera garanzia di bel tempo sarebbe venuta invece da scorribande della tramontana.

La sera avanti s' erano già innalzati per due lunghezze di corda aldisopra della minuscola piazzola scelta per bivaccare, e poi calandosi le avevano lasciate attrezzate, come è saggia misura se dopo la sosta notturna si deve subito andare incontro a difficoltà sostenute. Il cordino tesato da un chiodo all' altro su per le ripide rocce incoraggiava alla ripresa i muscoli e le volontà intorpiditi e permetteva ai tre alpinisti di ripartire di così buon' ora e di arrampicare malgrado nella densa ombra ben poco si discer-nesse.

Sotto di essi stavano già quasi due terzi del dislivello complessivo della salita, superati durante l' intera giornata precedente, ad andatura soddisfacente tanto più considerando gli ostacoli e le insidie che il ghiaccio aveva disse-minato in molti passaggi. Ma il tratto rimanente raggruppava tutti i maggiori problemi l' ascensione, davvero notevoli.

Delle vie tracciate sulla formidabile muraglia ovest del Grand Trapèze, nessuna era stata ancóra vinta in inverno. Essi stavano appunto tentando la prima invernale della più impegnativa tra esse, la direttissima aperta da Lagarde e Brun, che viola la successione di lastroni, lisci e verticali, del pilastro che si origina nella parte superiore della parete e sostiene la vetta.

Ripresero dunque l' azione. In breve avevan risalito la corda fissa e s' eran riuniti su un esiguo ballatoio. Da lì Attilio attaccò una difficile fessura che avrebbe permesso il raggiungimento della fascia di « misto » precedente il pilastro.

Mentre Alessio, in assicurazione, sorvegliava il procedere del capocordata, Franco pur stando sul chi vive poteva osservare la vasta, gigantesca bastionata nel centro della quale si trovavano.

Il chiarore, pur riuscendo infine a scavalcare la montagna, spioveva ancóra assai debole sul versante occidentale, e i dettagli di questo si precisavano lentamente, i contorni delle com-plesse strutture in cui è articolato affioravano a stento dal plumbeo deflusso.

A circa un centinaio di metri a destra degli scalatori, più o meno alla stessa altezza, si stendeva un estremo lembo del fronte frangiato con cui i nevai inferiori dell'«allée » terminano sull' orlo di precipiti salti di roccia. La stessa allée, grazie all' angolo che il versante del monte forma in quel settore, era quasi per intero visibile a Franco.

Tale nome - il corridoio, il viale - i francesi hanno dato allo strano canalone sospeso che fende la parte alta del Trapèze mettendone in comunicazione la faccia ovest con la cresta sud, con andamento in salita dalla prima alla seconda, e che si allarga repentinamente, a ridosso del crinale, a formare in contropendio una sorta di conca. Il canale disegna, nel suo sviluppo, una leggera curva; il pendio è moderatamente inclinato, tra argini scoscesi. Il fondo del solco, di larghezza pressapoco costante, è occupato da un piccolo ghiacciaio pensile che deborda l' avvallamento che s' è detto e che si presenta, giù sino al margine della seraccata con la quale si esaurisce sopra al ventaglio dei nevai, straordinariamente livellato, tanto più quando la neve lo ammanta e ne intasa i pochi e stretti crepacci.

L' insieme conduce la fantasia - così motivan-do il toponimo - appunto all' immagine di un prodigioso vialone scavato, di un misterioso e maestoso passaggio fatto ad arte, che si spalanchi nella parete per dare accesso al cuore della montagna; protetto però dai torvi burroni sottostanti contro l' intrusione dell' uomo, come se destinato solo al transitare - o a convegni - di entità soprannaturali.

Franco guardava verso gli sconosciuti luoghi raccolti nella singolare concavità, sui quali ( anche causa la sfumatura, l' indefinitezza l' ora ) aleggiava un' atmosfera quasi arcana; e pensava che infatti nessuno doveva aver mai neppure tentato la scalata dell' appicco sotto l' imboccatura del canalone. La seraccata pencolante, anche se di modesta entità, rappresentava con le sue scariche di ghiaccio non frequenti ma che spazzavano placche proibitive ed espostissime, un troppo concreto pericolo. Pertanto l' allée stessa non era stata percorsa da nessuno; risultava segnalata tuttavia da Lagarde come una possibile via di uscita per chi si fosse trovato in difficoltà sulla « direttissima » nella parte superiore e avesse voluto evitare la problematica ritirata diretta. Spostandosi in orizzontale dalla zona in cui Franco e i compagni erano ora impegnati, non doveva essere troppo difficoltoso arrivare nel canalone a dispetto di tutte le sue difese, rimontarlo sino al circo ter- minale scavalcando quindi la dorsale confinante, abbordare il ghiacciaio des Vitraux e scenderlo sino alla vecchia morena sulla quale sta il rifugio Grenoble.

Attilio era pervenuto intanto in cima alla fessura, ad un buon punto di sosta. Alessio lo seguì, poi Franco più lentamente li raggiunse, ricuperando i chiodi.

Da lì iniziava l' arcigna scarpata di misto: a gradoni rocciosi si alternavano sdruccioli di ghiaccio vivo, oppure tratti in neve dura che aveva formato corti spioventi, modellato crestine vertiginose, intasato camini e spaccature. Franco, specialista di quel tipo di terreno, si accinse a passare in testa. Prima, una sigaretta, e la solita occhiata intorno.

Fu allora che vide, mentre filtravano l' allée, le prime brume. In numerose conformazioni, alcune di poca entità altre più consistenti, sbucando da certe brecce della cresta sud ed anche già valicando qua e là un più avanzato contrafforte, esse confluivano nell' anfiteatro glaciale e si avviavano ad immettersi nel grande intaglio. Franco richiamò su di esse l' attenzione dei compagni, e tutti e tre, malgrado il fortissimo disappunto e la preoccupazione che provavano riconoscendo un chiaro segnale d' arrivo del maltempo, ristettero qualche minuto a fissare ammirati lo spettacolo che veniva risultando straordinario, bellissimo.

La luce, che s' era fatta nel frattempo molto meno smorzata, parve arrestare la sua evoluzione, e nell' alveo del canale regredì anzi a toni fiochi. Gli addensamenti di foschia risaltavano tuttavia, scuri, mentre procedevano con lentezza, scivolando lungo i costoni, aggirando spigoli e cornici, indugiando sulle aeree terrazze e nelle an-frattuosita, inoltrandosi in anditi nascosti. Ta-gliati a varie quote dal volteggiare di quelle caligini, gli imponenti dirupi formanti le sponde dell' allée sembrarono drizzarsi ancor più alti ed impervi, dando al già grandioso scenario una dimensione fantastica. Nello stesso tempo fu come se esso si sfocasse, e arretrando aldilà del reale fosse destinato a svanire. In effetti cortine biancheggianti traboccavano ormai dietro alle cineree avanguardie, rovesciandosi lestamente dall' estremo orlo, e via via tutto nascondevano. Si vide inoltre che lassù già nevicava.

« L' inverno ha rotto la tregua, cari miei », brontolò Franco. « Proprio ora! ». Erano sco-rati ma si riscossero, una pronta decisione s' im.

Furono subito d' accordo sul provare, nonostante tutto, ad insistere nell' ascensione, forzando al massimo l' andatura. Franco li guidò con rapidità e sicurezza per una mezzora, al termine della quale avevano oltrepassato in tempo da record la zona di misto. Si trovavano infine ai piedi del pilone finale. Solamente duecento-cinquanta metri di quota li separavano dal culmine, dalla vittoria e dalla abbastanza semplice discesa lungo la via normale. Ma sapevano trattarsi di un baluardo asperrimo.

La nevicata li aveva raggiunti. Dapprima di intensità moderata, rinforzava purtroppo in continuazione; e mentre la cordata ora si rag-gnippava, divenne tormenta sferzante.

Il vento era mutato, s' era messo a soffiare violento da sud-ovest trasportando altra nuvolaglia fumigante e investiva la parete pressoché frontalmente, spingendovi contro una fitta, orizzontale mitraglia di nevischio, che non dava tregua. In un batter d' occhio le rocce a perpendicolo che torreggiavano sui tre alpinisti si screziarono di candidi arabeschi, poi tutte si vestirono di gelido velluto.

Si fece subito evidente che, per quella volta, l' assalto terminava lì. Non era più pensabile affrontare, sotto le raffiche squassanti che aggre-divano con mille aghi di ghiaccio, i muri pressoché strapiombanti e divenuti scivolosissimi che in quel punto si presentavano, primi di una serie che non molto sopra si perdeva nel turbinare dei nembi e nel polverio di neve che concludeva contro le rupi la sua tesa traiettoria. Bisognava piuttosto pensare a levarsi al più presto da quella situazione, che poteva farsi critica.

Percorrere a ritroso sotto la bufera gli oltre ottocento metri già sormontati sarebbe stato ri-schioso ed estenuante. In quel frangente, la deviazione attraverso l' allée ( eventualità, è comprensibile, appena sfiorata negli ottimistici piani della vigilia ) costituiva senz' altro una risorsa, la soluzione migliore.

L' ultima visione che dell' allée avevano avuto prima che i velari della burrasca si frapponessero, era stata così quella di scogliere e ghiacci trasfigu-rati ormai dalla fantasmagoria dei frastagli di nebbia sino ad apparire inverosimili: quinte fia-besche, adattissime ad accogliere - facendosene poi sommergere - il trasognato biancore lumine-scente dell' altra nube che avanzava e dilagava, trasportando la neve con lievità estrema, come preziosissima cosa dalla quale meraviglie, incantesimi dovessero nascere. Ma in termini assai più pratici i tre scalatori ora pensavano al canalone: esso rappresentava semplicemente la scorciatoia verso la salvezza.

Prima cosa, tornare al livello del posto del bivacco, o ancora più in basso, per poter trovare una nervatura trasversale del monte, che permet-tesse di portarsi verso il varco provvidenziale. Presero a scendere con quanta celerità era possibile, riducendo la reciproca assicurazione al minimo indispensabile. Il loro affiatamento era utile particolarmente in occasioni del genere.

La cappa di nuvole s' era ben chiusa addosso alla montagna; essi si muovevano nelle pieghe di un fluttuante sipario. La visibilità s' era ridotta a poco e nulla, anche a cagione dell' accecante miriade di ghiaccioli che li bersagliava. Soltanto la sagoma di qualche roccione isolato, visto dal lato a ridosso rispetto alla tormenta, risaltava un poco nel biancogrigio di neve e di vapori, fisso e volante, che tutto confondeva.

I luoghi percorsi prima erano irriconoscibili; le tracce lasciate dalle piccozze e dai ramponi non esistevano più. La cordata non aveva modo di individuare e ripetere esattamente i passaggi seguiti nell' ascesa; tuttavia, malgrado le numerose deviazioni che il tragitto comportava, non c' era da temere di scostarsi dal giusto itinerario. I sia pur pochissimi punti di riferimento erano sicuri ( così almeno pareva ).

Infatti, ad un certo momento ecco il terrazzino sul quale sbucava la fessura che aveva presentato le prime difficoltà di quel giorno. Preparata una corda doppia, si calarono a fianco della fessura stessa. Con un' altra doppia si abbassarono ancóra, sinché ebbero modo di iniziare la traversata verso destra.

Non c' erano cenge lungo le quali avanzare, tuttavia le rocce erano abbastanza articolate, innevate ma agevoli, e la presenza di qualche spuntone facilitava le soste e le manovre di sicurezza. Inoltre, per buona sorte, il vento stava scemando e il freddo colpiva meno crudelmente; nevicava adesso in diagonale, però sempre molto fortemente, i tre a volte non riuscivano a scorgersi l' un l' altro.

Percorsero così cinque o sei tiri di corda, obliquando un poco verso l' alto, nella direzione in cui erano certi trovarsi la breccia dell' allée. Poi Franco, che li guidava sempre, si arrestò e si fece raggiungere da entrambi i compagni. Appariva interdetto; e anche gli altri si dimostravano sorpresi. Si dichiararono infatti tutti della stessa opinione: era inspiegabile che non avessero già incontrato il netto confine dal quale, la pendenza attenuandosi repentinamente, iniziavano i nevai sottostanti al canalone, dai quali si poteva cercare un corridoio che costeggiasse i seracchi. Invece, proprio sopra al pulpito su cui gli alpinisti s' erano radunati, le rupi ripresentavano la massima com-pattezza, un liscio bastione si drizzava sin dove le folate della bufera permettevano allo sguardo di distinguere.

Che non si fossero portati abbastanza a destra? O che si trovassero tuttora troppo in basso, e fosse da affrontare un' ultima inattesa impennata della parete? Erano ipotesi illogiche, ma stabilirono di effettuare dei tentativi. Continuarono dapprima ad attraversare, ma decisamente in orizzontale, forzando passi che si facevano sempre più duri. Altro non si intravedeva, più avanti, che scar- pate repulsive. Tornarono allora sino ad un saliente formato da scaglioni abbastanza arram-picabili, che intervallava la levigata barriera superiore, e lo scalarono: ma terminava in mezzo ad una rampa impraticabile.

Sempre più sconcertati, provarono infine dall' altro lato, sulla sinistra. Alessio prese ad inerpicarsi su per un inizio di camino, ma a un atte-nuarsi della nevicata, attraverso un fuggevole spacco nei fumi bigi in corsa, potè esaminare un buon tratto del paretone sopra di loro, e vide solo ermetiche, spettrali architetture di granito damascate di gelo, che non offrivano nessuna importante frattura, nessuna soglia.

Pareva che il canalone, con la sua vasta foce, non fosse mai esistito.

Sottili smarrimenti si facevano avanti ormai, insinuandosi negli animi. Franco tentava di capire se anche i compagni stessero pensando che era come se quella sensazionale fenditura fosse stata temporaneamente isolata, con una magia vestita di nebbia e di neve, dietro a sbarramenti non superabili; rinserrata nell' incantato mondo, simile ad un mito, che tra le altezze immaginiamo si celi dietro alle già splendide esteriorità dei luoghi, per sovrapporsi ad esse in certe occasioni, con favolosi eventi: ma nel quale sappiamo anche che malgrado la nostra insistenza, la nostra magnifica illusione, non potremo mai essere ammessi.

Affascinanti sarebbero state, se non si fossero trovati in una situazione di grande tensione, quelle suggestioni, di un genere che tanto maggiormente può aver presa su chi si trova a compiere grandi ascensioni in inverno, allorché più evidente è la lontananza dell' ambiente dalla nostra dimensione, e si direbbe che la stagione porti ad un astrarsi ancor più rigoroso i ghiacciati deserti, le vette e i precipizi, e ad inavvicinabili segreti, a riti sublimi non conoscibili pare allu-dere, con i suoi silenzi e le sue solitudini, davvero sovrumani, l' intangibilità delle montagne.

Ma sin troppo tempo era inutilmente trascorso. Dovettero arrendersi, quasi fosse contro una superiore volontà. Arretrarono sino ad incrociare l' itinerario di salita e giù per esso iniziarono il temuto ripiegamento che invano avevano cercato di evitare.

Franco - il quale, mentre assicurava i compagni durante la prima calata in doppia, andava ripetendosi che eppure non potevano aver com-messo un errore di itinerario laddove la via appariva certissima - d' improvviso si sorprese a chieder-si: e se non soltanto di suggestioni si trattasse?

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