Gasherbrum IV «G 4» | Club Alpin Suisse CAS
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Gasherbrum IV «G 4»

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ARMANDO BIANCARDI, TORINO, IT.

4 tavole ( 96-99 ) C' è un solo modo per poter parlare efficacemente delle vicende e delle cose. Quello di averle prima intensamente desiderate sentite vissute e penetrate. C' è poi un solo modo di dirle felicemente. E per fare questo bisogna essere scrittori.

Dopo la quale premessa, aggiungerei subito come ciò che conta veramente nella vita di un uomo non mi sembri tanto la quantità, ed arriverei a dire la qualità, ma la « maniera » in cui quelle cose vengono fatte e quelle vicende vissute.Vale a dire, sarà « essenziale » l' intima disposizione che se ne assumerà. E proprio tutto questo è quanto non mi stancherei mai di ripetere.

Cosicché, mi si permetta di essere a modo mio originale e di dire che, una volta tanto, oserei stropicciarmene della vittoria conseguita su un quasi ottomila ( per gli scherzi delle convenzioni, non lo è, di ben venti metri... ). Così come del fatto che siano state superate a quelle altezze difficoltà tecniche sul quinto grado ( con contorno di geli e di bufere tremende ).

Dinanzi ad un libro scritto così come il « G4 » di Fosco Maraini, mèta e vittoria direi che passano in second' ordine. In trent' anni, ho letto tanti di quei libri di montagna che in casa, fra le giustificate rimostranze di mia madre, non so più dove metterli. Ma un libro così, su una spedizione, non era mai stato scritto. E lo aspettavo da un pezzo.

Mi ero anzi fatto delle opinioni che mi affretto a rettificare. Mi sembrava che per scrivere il libro di montagna « sentito », occorresse la grande sconfitta che ben rammentasse agli « uomini » di esserlo e di restarlo. Così, ero fermo ai libri di Chevalley e compagni sull' anteprima all' Everest e di Houston sullo spietato K 2, così come per un verso analogo ( la sconfitta nel fisico ) all' Annapurna di Herzog. Sono felice di ricredermi. Se l' uomo si spoglia del suo orgoglio ( di quel suo orgoglio così essenziale alla lotta ed alla vittoria, ma così nocivo all' intima penetrazione delle cose ), se, per dirla in altre parole, si umanizza anziché eroicizzarsi, se pur preso con passione in una vicenda che sembra assorbirlo tutto sa penetrare il multiforme volto delle tante cose del mondo, se sa sentire e sentire intensamente pur restando con i piedi a terra, ebbene, può scrivere un bel libro, mi si scusi il paradosso, anche se all' ombra... d' una vittoria.

Impossibile riassumere o rifriggere con mutate parole la « posizione » di tutto un libro senza svuotarla di significato. Quindi, anche se volevo farne a meno, giudichi il lettore da alcuni brevi stralci che tempra di scrittore sia quella del Maraini, anche se ora, a questi stralci, manchi l' atmosfera d' insieme che matura quel « contenuto » e quel « modo di dire con assoluta naturalezza » solo ad un dato momento, e non prima così come non dopo.

«... La costante presenza di pericoli, le massacranti fatiche, gli effetti dell' altezza ci hanno reso per lo più intrattabili. Scattiamo come cani rabbiosi, siamo insofferenti, rispondiamo male, ci chiu-diamo in antipatici mutismi. Dire questo non è davvero denigrare dei compagni per i quali provo sconfinata ammirazione ed ai quali voglio un gran bene; è riconoscere uno degli aspetti, e non dei meno importanti, di questa vita durissima, di sfida a condizioni non intese per esseri viventi, comunque non certo per l' uomo. Il drappello che avanza cantando cori alpini e sventolando la bandiera è pura retorica, come ne gronda troppa letteratura di montagna. Non è forse più bella, in quanto vera, l' immagine di questo pugno di uomini dalle guance infossate per le privazioni, dalle ispide barbacce lunghe, dagli occhi spiritati, che sputano bestemmie, che gridano parolacce, che hanno però anche momenti di commosso silenzio, d' abbandoni e di slanci, che sono infine supremamente umani e vanno con immensa fatica avanti penetrando a poco a poco nel più segreto cuore delle montagne proibite, vincendo e domando la natura ( se vogliamo usare espressioni occidentali ), ma tuttavia rimanendo pur vinti e conquistati da essa natura ( se vogliamo parlare come orientali ) poiché resterà per sempre impresso a fuoco, nell' anima loro, quanto hanno visto e vissuto lassù?... » «... Prima di partire avevo fatto registrare da mia figlia Dacia alcuni nastri, da usare eventualmente sul magnetofono. Ma chi aveva avuto mai, non dico il tempo, bensì la voglia di ascoltare della musica? La spedizione è stata sin qui una battaglia spaventosamente dura cogli uomini, le cose, la natura, e ci ha resi tutti aspri e tignosi. Unico ristoro alla fatica, ai contrasti, alle angosce, il sonno. Ma stasera è un momento di pace improvviso ed inatteso; una radura nella foresta di sterpi. Donato Zeni, che forse di tutti noi è il più appassionato di musica e certamente quello che ne sa di più, in quanto compito pianista, ha scoperto i nastri: d' un tratto Vivaldi, con le Quattro Stagioni, arriva tra i giganti onnubilati del Baltoro. Dio, il potere della musica! Le muraglie di ghiaccio che ci rinserrano paiono cadere; torna tra di noi il mondo. Ci sono dunque cose diverse da queste tra le quali viviamo in segregazione cellulare, come in un racconto di Kafka, da settimane e settimane! Esistono altri pensieri, altri orizzonti. Esistono case, bambini, donne, fiori, carezze. Sembra una scoperta meravigliosa. Uscendo dalla tenda per un momento, il Trono d' Oro appare vagamente nella foschia, che s' è alzata e copre appena il cielo. Solo i grandi amori possono virare certe volte in grandi odii. Montagne stasera vi odio! Non mi chiedete perché. Non spiego, registro. Non ci volete, montagne? Ma neppure noi sappiamo che farcene di voi! Quassù è terra dell' eterno Verno. Non conoscerete mai né primavere né autunni, infami muraglie di ghiaccio, orrende vette superbe, deserti senza speranze: luoghi non fatti per l' uomo... » «... Mi allaccio prima la scarpa destra o mangio prima un' albicocca secca? Carico la macchina fotografica a colori od a pellicola in bianco e nero? Per andare di là dalla tenda, passo da sinistra o da destra? A sinistra ci sono due bombole che intralciano la via, ma a destra la neve è alta. L' im così viva, che Cassin ha dipinto del compagno „ seduto nell' apertura della tenda con un pacchetto di grissini in una mano e dall' altra un tubetto di marmellata, e che non sa neppure lui se mangiare o no ", si ripete innumerevoli volte ogni giorno. La protratta mancanza d' ossigeno riduce anche questi fortissimi ad ombre di loro stessi. Non sono più uomini; appena ricordi d' uo. Soltanto un oscuro, profondo, primordiale impegno li spinge ancora avanti; lo stesso impegno che ha condotto il paleolita alla fiamma, il neolita alla ruota, il greco alle Colonne d' Ercole e Socrate all' ultima prova, i navigatori ai continenti ignorati, gli scienziati alle sintesi ardite: una volontà intesa a portare sempre più oltre il limite dell' esperienza umana, di penetrare ogni ultimo segreto del mondo... » Ora, davanti ad un libro scritto con simili accenti, mi si permetta di ripetere con maggior tranquillità che posso anche stropicciarmene dell' aspetto materiale dell' avventura, del « risultato » in se stesso ( e tutta la nostra civiltà di occidentali è vittima dei « risultati »... ).

Ciò che vi è di più bello e di più affascinante in tutta l' avventura sul Gasherbrum, mi pare il succedersi degli sforzi in se stessi di deboli, ma tenaci, ma ingegnose creature, sproporzionatamente in lotta con una Natura enormemente più grande e sempre in agguato. Tutto il resto conta poco. Che alcuni riescano a salire sulle spalle degli altri ed a compiere il balzo finale per il rotto della cuffia, con una decisione presa a due mani, ed a coronarla con la pur legittima vittoria, mi si perdoni, ma mi sembrano ormai cose di contorno. Direi che siano cose che stanno già nell' aria dell' « obiettivo da raggiungere » e prima o poi diventino fatali.

Ciò che commuove invece è il perché ci si cacci in quell' avventura e si lotti fino allo spasimo ( lotta: eterno bisogno dell' uomo nella vita senza significato...ciò che commuove è l' abnegazione ed il sacrificio indispensabili per poter far salire ad un determinato traguardo la volontà umana; ciò che commuove è il combattimento che ognuno deve sostenere, con una testardaggine disperata e sacrosanta, prima ancora che con una Natura, lassù al parossismo dell' ostilità, proprio contro se stessi: contro l' assuefazione alle comodità e la sua schiavitù, contro la propria indolenza e vigliac-cheria, contro i muscoli inflacciditi che recalcitrano, contro la volontà che vacilla e l' idea che si annebbia.

Bisogna dare un giusto riconoscimento a questo libro del Maraini perché li dentro ci sono tutte queste belle cose, e darglielo soprattutto per la preoccupazione antiretorica ( conseguenza della vita coi compagnie per lo sforzo anticonvenzionalistico ( influsso delle tendenze neorealistiche ?).

Quanto bene fanno all' alpinismo uomini che sanno sentire e scrivere così! Al bel nome di Maraini, non ce ne sono davvero molti da affiancare oggidì in campo italiano, eppure, quale bella piccola pattuglia! Buzzati, Mazzotti, Mila, Tanesini, Tonella...!

Come sono delineati alla brava i protagonisti dell' avventura! Cassin, sempre umano e comprensivo, che « sente » la montagna e ne ha un bisogno addirittura « alimentare ». Gobbi, organizzatore imbattibile, che aspetta la fine del calvario con il piccolo esercito dei portatori, per ritornarsene a casa a fare... finalmente, un po' d. Bonatti, con il suo splendido inalterabile fisico di atleta perfetto. Mauri, con le sue esclamazioni di fronte alla Natura che delineano tutto un carattere ed uno stile: « Bestia, che ambienti ». De Franceschi generoso, umile ed infaticabile, la vera rivelazione, credo, della spedizione: l' elemento insomma da tenere pronto per le future. Ma anche Oberto « cuciniere », Zeni « medico » e lo stesso Maraini « interprete a tutte le ore... » ne escono ben delineati.

Per penetrare come ha fatto Maraini nella psicologia dei compagni, comprendendone il carattere, bisogna anzittutto « sapersi annullare ». Essere cioè tutto tranne che degli egocentristi. Quel grande scienziato che fu Alexis Carrel disse che ciò che importava di più nella vita non era tanto capire quel poco o quel pochissimo che era possibile, quanto amarlo. Qui, prima ancora di pensare a scrivere un libro, con le montagne, Maraini ha amato i suoi compagni. L' avesse detto, non gli sarebbe più sembrato di « sputare sulla retorica »! Ma quell' amore gli è entrato dentro e quando ha voluto buttare giù quello che aveva sentito con quell' immediatezza e sincerità che non fanno lo scrupolo se non degli eletti, ne è sortita cosa altamente umana.

C' è un pugno di uomini ai piedi di altissime montagne e questi uomini sono carichi di miserie e fallaci come chiunque altro. Non hanno stinchi di santo e non direi neanche abbiano stoffa da eroi. Hanno un obiettivo in testa e hanno in gioco la personale idoneità, volontà, forza, intelligenza... Impegneranno tutto per dimostrare a se stessi di essere all' altezza di farcela. Per giocare a questo modo, non basta essere appassionati della Natura, della Montagna: bisogna avere la tempra dei generosi. E chi al mondo è più prodigo dello sportivo? Certo, la civiltà occidentale è lontana da quella orientale almeno quanto lo è la mentalità dell' uomo comune da quella dell' alpi. Come parlare di « ideali », di « mete impalpabili » ( giacché quelle pur materiali sono così « irrisorie »... ), di « completamento ed estrinsecazione della personalità », di « vittoria su se stessi »? Lassù non ci si arricchisce di denaro ma di felicità! Se è davvero così, allora, altro che pazzi gli alpinisti!

La pace, la serenità, la letizia sono beni che l' uomo occidentale non conosce più: conosce la comodità, l' igiene, e si illude di stare meglio guardando, « tecnica alla mano », i « risultati materiali ». Ma è veramente più felice? Se è questa una domanda oziosa, allora l' alpinista è un incoerente perché sulla montagna non lotta per trovare il denaro ma l' istante di suprema gioia, e fra gli affanni e gli scoramenti di una vita spesso senza senso, l' ora di quiete « rigeneratrice ».

Fletschhorn Nordwand

Photos Erich Vanis. Wien

92 Im Aufstieg 93 Im fast senkrechten « Nervenquergang« 94 Ausblick von der Cabane Tracuit SAC auf die Kette des Zinal Rothorn, Obergabelhorn, Mont Durand, Besso, Pointe de Zinal, Dent Blanche, Grand Cornier 95 Vergrösserung des linken Mittelstückes der Photo 94 Photos Jakob Bächinger, Langenthai, 18. 7.1958, abends 7.15 Uhr «... Avanti! Ogni giorno un nuovo tuffo nella vita, ogni giorno un' altra resurrezione. Che viaggio delizioso: valeva quasi la pena di patire tanto per sapere cosa sono un filo d' erba, una pianta che spunta tra i sassi, un vecchio albero contorto, il boschetto di betulle che mormora riflessi di verde e di argento a Payù.

Ieri l' altro, giungendo ad Askole, quante „ prime cose !". Il primo bimbo per esempio è venuto incontro ad uno dei nostri portatori correndo e gridando di gioia; il vecchio rugoso l' ha preso in braccio ebbro d' una felicità ch' era anche la nostra. Il piccolo s' è però spaventato delle manacce e della barba paterna: ha fatto un musino serio, incerto tra le lacrime ed il sorriso. Poi ci sono state le prime case, le prime donne, i primi vitelli; insomma la vita di tutti, qualcosa che sembrava un mito interdetto... » Per fortuna, ai libri di alpinismo che chiamo ormai « gialli, con voli a tutte le ore... » si contrappongono validamente, anche se raramente, questi raffinati frutti della cultura del gusto e dell' intel, prima ancora che dello sport ad ogni costo.

Allora, osserverà malignamente qualcuno, scritto un libro « così », su una spedizione « cosà », che mai potrà ancora dirsi di nuovo alla prossima? E io risponderò: come ci sono delle montagne « per i pionieri », così ci sono dei « libri piloti ». II resto, per condanna, sarà solo ripetizione.

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