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Nel regno del Gottardo

Remarque : Cet article est disponible dans une langue uniquement. Auparavant, les bulletins annuels n'étaient pas traduits.

Elogio della capanna alpina.

Bruno Maffi.

Chi ama la montagna, ama tutto ciò che le appartiene. Lontano, il suo cuore trema di rimpianto al pensiero di una vetta nevosa, di tenerezza al ricordo di uno smagliante pascolo alpino, dell' impareggiabile splendore della flora dei monti. Il suo amore è fatto di mille amori che si compiono a vicenda, come le voci di un' orchestra, che hanno pienezza di vita soltanto nell' armonia dell' insieme.Una di queste corde che vibrano nel cuore di ogni alpinista è la capanna: la buona e dolce capanna dov' è un materasso per dormire ed una stufa pronta per essere accesa: o anche soltanto l' umile e sgangherata « baita » degli altri pascoli, dove ci si rifugia in mancanza di meglio, e che si impara, a poco a poco, ad amare come una piccola reggia.

Perché la capanna alpina, sia pura fatta di sassi e calce e legno, di quattro mura e di un tetto, non è come tutte le altre case, che, edificate in un luogo, starebbero egualmente bene — o male — in un luogo tutto diverso. Staccatela col pensiero dalla montagna sulla quale è sorta: vi pare fuori di posto e come spersa. Essa sta bene soltanto là: tra quei sassi, nell' armonia di quei monti, al canto eterno di quei torrenti. Diresti che sia sempre stata lì, dalla creazione del mondo: e sopratutto quando è vecchia, non ti passa neppure per la mente che possa averla edificata una mano d' uomo. Confesso che stento a crederlo ancor oggi, pur dopo aver visto, proprio con questi occhi, una capanna in costruzione e degli operai che la costruivano: certo... non erano operai come tutti gli altri!

Impossibile, dunque, scindere il ricordo della montagna da quello di una capanna alpina. Come tutto ciò che fa parte del grande regno dell' Alpe, questa ha un cuore ed un' anima: beninteso, per chi ha un cuore ed un' anima per scoprirli ed intenderli. Quando, ali' improvviso, vi balza incontro, come non sentire il suo saluto festoso? Le finestruole ammiccano civettuole con cortesia fraterna: il tetto di lamiera brilla, se c' è sole, e luccica come parato a festa e, se piove, sembra partecipare, musone ed accigliato, alla tua tristezza ed alla tua noia. Quando la scopri stanco e magari inzuppato di pioggia, di lontano, come la benedici nel tuo interno! e come ti sprona il pensiero della cordiale ospitalità che sanno offrire le stanze ordinate e raccolte delle piccole case e che tutta sembra annunciarti di fuori! E quando sarai entrato, quale onesto conforto il tepore amico di una saletta foderata di legno, dove ogni cosa è lì pronta a darti, affettuosa nella sua semplicità, il benvenuto che si da ali' amico più caro 1 V' è chi, mettendovi piede, la considera come un albergo qualunque, dove si sta bene o male e si paga; dove tutto è lì a ricordarti che il padrone non sei tu e che tu sei bene accolto, sì, ma perche paghi il conto: un luogo, insomma, di passaggio o di sosta, che si accetta perché è pur necessario e si lascia senza rimpianti, così come ci si è venuti.

Non ama la montagna chi pensa così: e si può star certi che vedrà ogni cosa con lo stesso spirito, da commerciante in viaggio di affari: salendo un ghiacciaio maledirà i fastidi della corda e delle piccozza, e sulla cima di un monte godrà, sì, il panorama ma, infine, troverà che fa un freddo birbone e che il vento è una cosa molto noiosa. Ma la capanna non è un albergo: e non soltanto perché non sempre ci si trova chi vi possa servire, e, comunque, a far qualcosa per la casa si è tenuti tutti. Ivi si è ospiti e padroni ad un tempo: ospiti perché si ha il rispetto delle cose che son di tutti; padroni, perché quelle cose sono, per un' ora o per un giorno, interamente nostre; ospiti rispetto a quelli che ci hanno preceduti o che ci accolgono ora fraternamente; padroni, rispetto a quelli che verranno, e che noi guideremo per la casa, perché tutto ammirino e di tutto si rendano ragione.

Se c' è qualcun altro in capanna, ti rifugerai, dapprima, quasi confuso, in un solitario angolo della sala, ed wi pianterai frettolosamente le insegne del tuo assoluto dominio: ma non tarderai ad accorgerti che intorno a te stanno, non gli occhi avidamente indagatori di una sala d' albergo, ma cuori fraterni, pronti a circondarti di simpatia e di affetto. Se sei solo, potrai dire, per un attimo, di essere il re di una bella reggia: adornerai la stanzetta dei fiori che hai colto brandirai con entusiasmo la scopa ( in casa tua non puoi sopportare la polvere ), metterai la legna al fuoco e infine siederai sulle panche a contemplare, mentre crepita e scoppietta la fiamma, il tuo piccolo dominio. Vi è in tutto ciò, quasi un tacito impegno ed una segreta promessa: mentre si assolve un obbligo morale nel presente, ci si acquista come un diritto nel futuro. E ciò rende agevole e lieto ogni nostro atto, anche quello che in altra occasione avremmo giudicato spregevole e gravoso: cucinare, lavare i piatti, pulir le lanterne. Guai a te se, nel partire, ti sovverrà di non aver rimesso al suo posto ogni cosa: mille rimorsi assilleranno la tua coscienza, come se avessi mancato di cortesia verso una buona e gentile compagna!

Così, in ogni capanna, l' alpinista lascia un po' del suo cuore. In essa — povera vedetta della montagna, esposta all' ingiuria dei venti e delle tempeste — arde una piccola fiamma, che va alimentata con la purezza del cuore. Chi vi è giunto, e ha firmato il registro, stringe in quell' attimo, tacitamente, un patto che impegna tutta la vita: un patto di fedeltà alla montagna. Quel registro è come l' albero genealogico di una stirpe che si continua in noi. E guai a chi, penetrato in quel piccolo sacrario non sente di aver gettato lontana da sé una parte del suo vecchio io e di aver iniziato una purificazione totale della propria persona! E, invero come, lassù, l' uomo fraternizza prontamente con l' uomo! Una stretta di mano, e si è subito amici. Non si sa nulla del passato dell' altro, nulla del suo domani: forse non ci si rivedrà mai più. Eppure, quel momento non sarà passato invano.

Quante volte ripenso ora, con nostalgia, alla capanna alpina! Da questi ronzanti alveari che sono le case di città, il mio pensiero vola ad una stanzetta foderata di legno, dalle piccole finestre civettuole che guardano verso il cielo e verso le guglie di ardite montagne. Chi può ridarmi quel momento in cui, dallo spiazzo sul quale la capanna sorge, ho tante volte contemplato l' ampio distendersi delle cime nevose, spiccanti nel cielo infocato dal tramonto? O quell' ora di indicibile serenità, che segue il cader del sole, quando l' atmosfera è ancor percorsa da brividi strani e si esce dalla capanna, e si siede sulle panche, muti come di fronte ad un mistero che tutti ci avvolge?

Così ogni capanna ha, nei ricordi, il suo posto e il suo fascino tutto speciale: il nitore della capanna del Basodino, l' intimità di quel balocco che era l' antica Cornohütte, la solitudine selvaggia dell' Adula o della Rotondo. E in ognuna, la figura di questo o di quell' amico di un giorno, col quale si stette alzati di sera a discorrere di ascensioni o a fumar nella pipa: queltedescone dall' aspetto grave di vecchio orso, quell' amazzone bernese che cantava con pacato accento religioso i suoi jodel, quell' allegro zurighese che, attorno alla sua piccozza, aveva composto un vero giardino di Edelweiss...

Care, indimenticabili capanne! Esse sono come il vestibolo di un mondo di serenità e di luce: sono una pedana comoda e solida, dalla quale si spicca un volo che vorrebbe non conoscere ritorno.

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