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Passo del Rampi

Remarque : Cet article est disponible dans une langue uniquement. Auparavant, les bulletins annuels n'étaient pas traduits.

* vDi Giuseppe Ritter

Con 1 illustrazione ( 16Chiasso ) In un bel giorno del giugno 1948, quando si sperava ancora in una buona stagione d' alpinismo estivo, consultai la carta topografica per scoprire una valle nuova, un passo non ancora varcato. Additai Bodio, seguii la Val Marcri ed ali' estremo limite del foglio osservai quello strano nome: Passo del Rampi ( sulla carta Siegfried: Passo del Ranf ). Perché non andarci? Infatti il 7 giugno tentai la prima esplorazione. Dico prima esplorazione, perché dovetti andarvi un' altra volta in autunno per varcare il passo e compiere l' escursione a regola d' arte.

Per salire alle Valli Marcri e Nadro, si pratica lo stesso sentiero che si distacca dalla cantonale a nord di Personico ( 325 m .) e porta dapprima ai monti di Sassano ( 976 m. ). L' orientazione riesce assai difficile, anche perché neh " autunno del 1948 si è iniziata la costruzione di un' ampia mulattiera, non ancora indicata sul foglio 533 della nuova carta nazionale e che conduce a Faidalo.

Da Sassano, per raggiungere la Val Marcri, si gira verso sud e salendo il fianco leventinese dei Motti di Marcri su ripido sentiero, spesso difficilmente riconoscibile, si penetra nella valle a circa 1200 m. Avvicinando l' alpe di Marcri ( 1601 m .), si resta perplesso dall' aspetto oltremodo ameno del paesaggio. Fra tutte le valli laterali in direzione ovest della Leventina, la Val Marcri è indubbiamente la più bella, tanto per la sua formazione tettonica, quanto per la disposizione vegetativa. Se fosse lecito farlo, vorrei paragonare la Val Nadro coli' inferno, la Val d' Ambra col purgatorio ed infine la Val Marcri col paradiso!

Il giorno che scelsi pel primo attacco, lunedì 7 giugno, non fu data felice. Dopo una primavera piovigginosa, con scarse possibilità d' allenamento, ebbimo repentinamente un caldo eccessivo. Tale temperatura si fece sentire dal primo passo, perché — per capriccio d' orario — non è possibile giungere a Bodio prima delle ore 7.30. Non riuscii ad eliminare le susseguenti perturbazioni nel processo biochimico del corpo, non potendo colmare le perdite di sale causate dall' eccessivo sudare. Raggiunsi perciò il terzo piano della Val Marcri in pessime condizioni fisiche e fu forse per la stessa ragione che commisi un errore veramente grossolano il quale quasi-quasi mi costò la vita.

Dio Alpen - 1949 - Les Alpes6 Come ebbi già campo di osservare, la regione attorno al Passo del Rampi trovasi sulle carte topografiche ali' angolo marginale, ciò che ostacola l' orien, soprattutto quando i fogli da congiungere sono disegnati in base a scale differenti ( 25 000 e 50 000 ). Inoltre va anche detto che l' atlante Siegfried riproduce quella contrada in modo molto inesatto, ciò che può comportare gravi guai.

Oggi, dopo aver percorso il sistema di quelle valli in ogni direzione, stento a capire come quella volta io abbia potuto ritenere che la Val Gagnone fosse invece la Val d' Efra. Eppure fu cosi. M' accorsi del mio errore solamente quando — al congiungimento della Val Gagnone con la Val Rierna, dove formasi pòi la Val d' Ambra — vidi davanti a me l' inconfondibile siluetta dell' Adula. Ma la brutta sorpresa non fu nella deviazione involontaria che compromise irrimediabilmente il proseguimento regolare dell' esplorazione, bensì nella fase che precedette tale desolante constatazione.

Già dal costone che separa le valli Maren e Gagnone, compresi che la discesa su quella rupestre pendice che guarda a meriggio, non avrebbe potuto essere cosa facile e piacevole. Infatti vissi un' agonia terribile in quel caos di declivi dirupati e selvaggi. In più un labirinto di abeti caduti qualche anno fa sotto la furia d' un uragano, contribuì a far accrescere la mia disperazione. Infine il cielo ebbe un po' di misericordia lasciandomi scoprire un passaggio utilizzato saltuariamente dalle capre.

Il 27 settembre 1948 ritornai ancora in quella regione salendo la rigida Val Nadro. Per coloro che hanno letto il libro di Giovanni Lami « Le Novelle del Rio Nadro » vorrei precisare, che quel lavoro letterario non accenna alla Val Nadro, bensì ali' alpe Nadro sopra Santa Petronilla di Biasca. Da Personico a Sassano ebbi il piacere di salire su sentiero conosciuto, essendo questo il medesimo che porta anche alla Valle March. Di là in poi dovetti procedere su tracce di scorciatoie quasi cancellate, costrette a formare un labirinto di nodi e croci. Raggiunsi così a metà valle i ruderi di una stazione di teleferica, la quale trasportò a suo tempo il quarzo bianco alle officine del Gottardo a Bodio. Da questo punto il sentiero è abbastanza ben riconoscibile, però franato in diversi posti o sbarrato da alberi caduti e lasciati infradiciare sul posto.

Una certa difficoltà d' orientamento incontrai nuovamente ali' alpe di Gher, specie di anfiteatro, formato da pareti scure e tetre. Per raggiungere la terrazza dell' alpe di Nadro seguii dapprima tracce cavate da capre, le quali finirono nella muraglia di rocce marce, densamente abitate dal « Pinus mugo ». Quando fui persuaso che ogni ulteriore persistere doveva rimaner infruttuoso, ritornai sul fondovalle. Di là il sentiero conduce in direzione prettamente opposta ali' alpe Nadro. Già da principio molto mal espresso, si perde spesso nelle macchie erbose, procurando ali' alpinista fastidiosi rompi-capo. Infatti, come seppi poi dagli indigeni, la maggior parte dei rari visitatori di questa valle finisce ancora sul contrafforte che s' inabissa nella Leventina.

SulT alpe Nadro ebbi la fortuna d' incontrare un pastore, salito da Faidola per rintracciare due capre. Da lui seppi poi, che da circa sette anni in qua, contrariamente a quanto contenuto nella « Guida del C.A.S. », la Val Nadro viene ancora caricata. E' quindi possibile trovare ricovero per un' eventuale pernottamento.

Consumando un pranzo assai frugale, facemmo due chiacchere e dopo mezz' ora di ozio partimmo ognuno alla sua volta.

L' ultima salita dalT alpe Nadro ( 1872 m .) al Passo del Rampi è molto faticosa. Senza sentiero si procede lungo la parete nord-est del Basai, la quale — sgretolando — rovina a valle, coprendo la china di sassi e detriti. La lotta che condussi per forzare il varco terminò alle ore 14 circa, quando — valicando il Passo del Rampi — raggiunsi il pendio soleggiato della Val Marcri. Con questa felice conclusione potei completare le cognizioni acquistate durante l' escursione fallita della primavera. Ora vidi l' unica discesa possibile per la Val Gagnone, un nastro verdeggiante che striscia lungo la scura parete sud della Cima d' Efra. Sbagliando s' impara! Vidi anche che, per varcare nella Val d' Efra, avrei dovuto salire ulteriormente fin' sotto la vetta del Basai, sfruttando il costone che si distacca dirupamente dal Passo del Rampi.

Dal Passo stesso, verso sud ed est, si gode di una magnifica vista. A destra, fra la Cima di Rierna ( 2465 m .) e la Punta del Rosso ( 2510 m .) vidi la Bocchetta di Rierna, da me valicata neu " ottobre 1946, partendo da Lavertezzo in Verzasca.

Considerando a lungo queste orride montagne di strana, selvaggia bellezza dovetti ammettere la grande diversità fra loro ed altre contrade alpine. Chi intende accarezzare i loro fianchi di granito, deve superare in lunghe ore di strapazzoso cammino quelle vallicelle, perennemente minacciate da valanghe, frane e scoscendimenti. Altro che le Dolomiti, dove il rocciatore può accostare coli' automobile quella parete che intende scalare. Ma appunto per questo le montagne di lassù, fra la Leventina e la Val Maggia, mi stanno così tanto a cuore. Perché sono montagne fiere, non ancora corrotte dalle comodità del nostro tempo meccanizzato. Che Dio abbia a lasciarle cosi, aspre, rozze, virili!

Durante la discesa attraverso la Val Marcri mi permisi l' ultima sosta al laghetto che riposa come un gioiello sotto il costone che separa la Val Marcri dalla Val Gagnone. Fu in quel posto che incontrai in primavera un grosso gregge di pecore. Allora mi assalirono perché non ancora abituate a star lontano dall' uomo e le sue sedi. Ora erano dispersi sui pendu e le creste circostanti. Sognando compresi che il tintin delle loro campanelle annunziava la pace alpestre. Diceva che in fondo anche la montagna apparentemente orrida è buona, pacifica. Come dissero gli antichi:

mons pacificator est!

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