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Racconto di montagna

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Qiiivì soavemente spuose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto che sarebbe alle capre duro varco.

Giorgio Orelli, Bellinzona

( Dante, Inf. XIX ) Perché non ho sparato? Non ha sparato neanche l' Agostino. Siamo rimasti li, col fucile tra le gambe come il bastone d' un pastore, su quella pendice ripida, svestita, proprio come due bambi, incapaci di dir una parola.

Curioso come una cosa che è poco tempo che è capitata sembra una cosa di tanti anni fa, come se il tempo si fosse più vigliaccamente contratto, e io fossi troppo rapidamente invecchiato, perdendo troppo presto, di colpo, quella specie di disinvoltura giovanile, quel naturale che mi concedeva di andar a caccia di camosci e di marmotte senza pensarci su, e sparare, uccidere insomma, senza rimorsi. O forse io non sono mai stato un vero cacciatore, forse non ho mai perso la vita dietro agli uccellini, agli scoiattoli... Era una settimana e più che io e l' Agostino e il Peppo tenevamo d' occhio i camosci. Quasi tutto il villaggio sapeva che lassù, in una piega del Pizzo Filo, c' erano camosci che a occhio nudo era quasi impossibile scorgere, ma che io e il Peppo e l' Agostino, col cannocchiale dell' Agostino che ingrandisce quaranta volte anche i naturisti di Calcinengo, riuscivamo a veder così bene, che se avessero avuto una targa sul didietro come le automobili dei naturisti, avremmo potuto leggerne il numero senza nessuna fatica. Bei camosci col filo della schiena più scuro, e quelle strisce sul muso un po' sconcertan, certo non allegre, scure anch' esse, che sembrano rendere gli occhi più pronti, più fermi: pun-tuali alla solita pastura che in alto cede alla roccia e in basso si perde nel bosco più intricato.

Alla vigilia dell' apertura della caccia, senza il Peppo che all' ultimo momento aveva deciso di andare col Fulvio da un' altra parte, siamo partiti subito dopocena, sicuri di arrivare all' alpe prima di notte. L' Agostino aveva chiesto a suo padre, presidente del Patriziato, la chiave della cascina, perché se si può dormire in cascina, sia pure con coperte ridotte a pizzi e merletti ( come diceva mio padre ), invece che nel barco come le bestie, è meglio, specialmente così verso l' autunno, che basta anche solo la nebbia a metterti i brividi nelle ossa. Ma siamo partiti senza chiave perché non occorreva, così ci ha detto il padre di Agostino, ci dovevano esser su dei bergamaschi, all' alpe, il Piero e il Bana ed altri, a lavorare per il Patriziato, dormivano di sicuro in cascina. Invece va che arriviamo su nel grasso quando ormai è notte, e non si discorre né di luna né di pila né di bergamaschi, che chissà dove s' erano poi cacciati, e allora abbiamo consumato quasi tutti i fiammiferi delle due scatole che avevamo per raccogliere un po' di rami qua e là intorno alla cascina, tanto da non dover coricarci così sul nudo del cemento, lì dove fanno il formaggio; perché aperto era ben aperto l' uscio della cascina, ma di là, due scalini più in su, dove durante l' alpeggio dormono il casaro e i pastori, non c' era verso di andarci dentro.

Non sto mica dicendo che ci siamo messi a pian-gere, figuriamoci, e poi non era come in servizio militare che le cretinate te le fanno fare per forza e allora sì che ti gira l' elica. Non restava che ridere, intanto che cercavamo di assestare lo scheletro tra quei rami un po' verdi un po' secchi, di larice e d' abete, con certi groppi fatti apposta per gente magra come noi.

Non abbiamo quasi chiuso occhio per tutta la notte, ma almeno non abbiamo avuto freddo, che è il principale, e cose da raccontarci non ce ne mancavano. Forse un uccello è venuto un momento a picchiare col becco contro il finestruolo.

Prima dell' alba l' Agostino era già in piedi che mi diceva senza furia di andare se volevamo trovarci prima che venisse giorno a giusta distanza dai camosci.

Tieni a mente che appena fuori io non so come ha fatto il mio socio a infilare subito il sentiero giusto e poi salire a zigzag leggero come un' om, ogni poco saltando da un sasso a un altro, fino a Pian Grande. Io che se Dio vuole ci vedo bene, facevo fatica a tenergli dietro, cercando di mettere i piedi nel zig e nel zag dove s' erano appena levati i suoi, sicuri come monosillabi danteschi.

A Pian Grande ci siamo fermati un momento a spander acqua. A me pareva proprio di far troppo rumore, anche se cadeva più sull' erba che sui sassi. Ad ogni modo non ci siamo detti niente, come quando andavamo per tassi con la luna, finché l' Agostino non ha preso da terra due o tre cose uguali che poi ho visto che erano pallottole di stereo, dicendo sottovoce: camoscio, fresche.

Poco ma sicuro che io ero più eccitato di lui, e mentre ficcavo gli occhi tra gli alberi bassi come se d' improvviso dovesse saltar fuori qualcosa che poteva anche non essere un camoscio, ho pensato che l' Agostino è il più camoscio fra tutti i miei amici e compaesani, e che per questa semplice ragione la caccia come fucile, come sparo eccetera e bottino nella cacciatora, deve riguardarlo molto meno delle pallottole di stereo, non solo dei camosci. Mentre è certo che chi l' ha sempre riguardato da vicino è la montagna, per questo continua a frugarla anche da casa sua, dalla solita finestra, con l' uno o l' altro cannocchiale. Lo riguarda la montagna con tutte le sue creature, comprese le bisce, diciamo meglio le vipere, che adesso ha imparato a prender vive con le mani, senza i guanti speciali, e poi manda a Zurigo a uno che io non so poi se gliele paga.

Non che sia il più camoscio di tutti come di solito si dice d' uno che va sui bricchi perché ama la montagna in modo pericoloso, che più rogna trova più volentieri gratta, o per far parlare di sé sui giornali. Tanto per intenderci, vorrei dire che a lui, e anche a me del resto, quel che interessa di più è il grado zero della montagna, non il sesto né il quinto né gli altri. Mi ricordo, una delle prime volte che siamo andati insieme a caccia alta, la faccia che ha fatto scorgendo uno che col sacco e il fucile attraversava una parete da farti passar la poesia: quello lì è matto, ha esclamato con faccia tutt' altro che divertita, è matto, e a me pare di conoscerlo, dev' essere di Chiggiogna; ho paura che fra un po' ci tocca raccoglierlo col cucchiaino. Va da sé ( fino a un certo punto ) che non l' abbia raccolto col cucchiaino, ma l' Agostino non ha voluto che ci allontanassimo senza poter conoscere da vicino quel temerario, che era poi davvero di Chiggiogna: Ci hai fatto star male, gli ha detto, e sì che lo sai bene perché chiamano questo posto il Canton dei Vitelli... E intanto che l' Agostino parlava io vedevo vitelli sdrucciolare giù da quel maledetto e finire nel lago; ma soprattutto rivede-vo me stesso evitare per poco di far la stessa fine poco più in là, sui pendu sopra l' alpe di Tremorgio, un lontano mattino d' ottobre che l' erba, appena spruzzata di neve, pareva insaponata: per due povere diavole di pernici.

Mi piace molto quando l' Agostino, che in montagna per lo più ci va da solo, la sera a casa sua in cucina o nel breve tratto di strada fra la sua casa e la mia, mi parla senza fretta, con la massima precisione possibile ma anche con una sorta d' ironia e distacco, di qualsiasi cosa ma specialmente di certi siti tra il Campolungo e il Tencia, in cui suole tornare ogni anno; che son dunque i suoi luoghi privilegiati, o perché vi tremano gli occhi d' un laghetto incredibilmente chiaro, o perché c' è un silenzio che in paradiso dev' essere impossibile con tutti quei beati che ronzano o fanno le bizze, o perché non sa neanche lui perché.

Per me Pian Grande è uno di questi luoghi che attraggono con segreta energia e possono consilia-re una specie di gioia calma e profonda, benché mista a uno strano senso d' attesa.

Così, quando arrivo sull' orlo d' un vasto prato come Pian Grande, resterei lì delle ore a misurare con lo sguardo lo spazio, il netto, come si dice; su cui una volta, ma solo per un attimo, ho visto saltare un ermellino come quello che si vede imbal-samato nell' osteria di mia cugina Giuditta, e un' altra volta, da ragazzo, strisciando come una biscia sono riuscito a sparare a una marmotta giovane da poche metri, col flobert: ho mirato in testa ma dal verso che ha fatto deve aver preso quel misero zerocinque nel ventre come se le avessero fatto il solletico.

Non ho mai chiesto all' Agostino se gli sia capitato di ammazzare una marmotta, o un camoscio, o un fagiano, una francolina.

So di sicuro che non ha mai ucciso una lepre. Lui stesso mi ha raccontato che l' unica volta che avrebbe potuto ammazzarne una come far merenda, non l' ha fatto. Era dalle parti di Mas-cengo con l' Amadio. L' Amadio gli aveva detto: io col cane faccio il giro di Amar e di Ghèsar e poi torno su dalla presa dell' acqua; tu stai qui e non ti muovi di qui fin quando non ti arriva la lepre sotto al naso, e allora lo sai bene anche tu quel che devi fare. Quello che ha fatto non l' ha detto all' A che chissà i sacramenti. L' Agostino era lì da un' ora e quasi s' assopisce, ma alzando gli occhi col pensiero al cane che ancora non s' era sentito abbaiare, la prima cosa che vede è proprio lei, la lepre, non contenta come una pasqua ma ad ogni modo bella e quieta come se fosse scappata dalla guerra del Sonderbund e lui non c' entrasse; e allora esaminandola le ha detto: io guarda che se voglio ti ammazzo, come dico, se voglio ti ammazzo; sicché la lepre, come dice il Faldella, è sbiettata via.

I camosci non li abbiamo visti subito. Saranno stati a un trecento metri da noi, sulla sinistra, e certo, su quella costa senza più un albero né diritto né storto, ci avranno visti loro per primi. Noi prima di vederli abbiamo sentito belare due o tre volte, e io che non avevo mai sentito belare a quelle altezze credevo che erano capre e ho levato il mento per domandarlo all' Agostino, che si è messo a ridere senza rumore perché chi belava a quel modo era il camoscio.

Sotto uno scheggione di roccia, da un intaglio che pareva agevole, continuava a voltarsi verso un altro camoscio, fermo pochi passi più in su, che doveva esser la madre; la quale pareva proprio che aspettasse il figlio, e infatti poco dopo si è protesa, ha spiccato un salto verso un' altra cengia, si è fermata di colpo e ha mosso il collo indietro, a guardare il camoscino come per dirgli: su, coraggio, che ti aspetto.

Lasciamo star la femmina che oltretutto dev' es proibito; ma il maschio era già un camoscio in piena regola, eppure né io né l' Agostino gli abbiamo sparato. Ripeto: siamo rimasti lì, se non proprio come due bambi, certo diversi, quasi portati via. Se chi parla non è morto, noi sparando non saremmo stati scandalosamente vivi? E' ridicolo, è quasi commovente, star qui, adesso, come faccio, a litigare con le parole per cercar di dire cos' è stato che mi ha fatto mollare sul cespo il bel fucile di mio padre subito dopo che ne avevo stretto le canne, fredde, con l' impazienza di sparare.

Cominciava un giorno d' una bellezza straordinaria, uno di quei mattini di settembre che poi diventano azzurri d' un azzurro chiaro, limpido, che solo nel lontano si stanca; ma sul fare il cielo ha quel colore, come ho più volte letto nei libri, opalino. Si vedevano le cime dei monti prendere consistenza a poco a poco, e un luccicare cresceva per tutto dove la chiostra era pezzata di neve.

Trovata una conchetta verde, i camosci, senza dubbio disturbati dalla nostra presenza, non si sono accovacciati; sono rimasti ritti l' uno accanto all' altro per pochi minuti, poi han preso decisi su per un canalone, da cui si sentivan poi rotolare quei piccoli rivi di sassi coi quali un giorno comin-cerà forse il disfacimento universale.

Poi li abbiamo visti arrestarsi sul filo della bandita, contro il cielo, dove sono presto spariti.

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