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Tra Grimsel e Grindelwald

Remarque : Cet article est disponible dans une langue uniquement. Auparavant, les bulletins annuels n'étaient pas traduits.

Di Cipriano Berini.

Al tiepore d' una stufa elettrica, seduto vicino alla finestra del confortevole nuovo ospizio sul Nollen, osservo la neve che a larghe falde cade da un' ora. Attraverso il turbine, si affaccia il lago d' un color caffelatte, mentre l' ottimismo ingenuo di un certo tal cartografo, ce lo presenta nell' azzurro più bello. Scenario deturpato e avvilente che nell' atmosfera limpida contrasta colle superbe giogaie dei monti circostanti.

La mia riflessione è troncata da un noto richiamo. Giacomo si trova al mio cospetto sorridente e pieno di speranze, con un sacco pingue e nuovo fiammante.

Ora sul sentiero che fiancheggia il nuovo lago della Grimsel seguo mogio, mogio i due compagni che pugnano nel torneo della più animata conversazione. Cammino alla fiaccona, con la piena convinzione di non andar molto lontano. Conseguenza forse questa di quel grosso salsicciotto, volgarmente chiamato « Schüblig », che, in proporzioni inusitate, la cameriera del nuovo ospizio volle servirci in omaggio alla nostra tenuta, oppure è la pioggia sottile o lo sberleffo delle nebbie che ci avvolgono, che opprime il morale? E come avvilisce la marcia sul sentiero tracciato a montagne russe! Poi il greto tra il lago e la morena tutto spoglio di vegetazione. Le chiostre dei monti chiuse al nostro sguardo e la pioggia ora scrosciante e crudele mentre si va verso il bacino dell' Oberaar. Quali cattivi auspici per l' inizio delle nostre escursioni! L' erba alta che penzola sul ripido sentiero, rende i nostri indumenti fradici e le ginocchia raggiungono quasi il mento. E con uno sbalzo di quasi 400 metri tocchiamo con una mandra di pecore il verdissimo tappeto dell' Oberaaralp.

Sorridiamo ad un pastorello che a passi lunghi ci viene incontro. Calza scarpe che gli potranno servire per un lustro, almeno in dimensioni. Porta una giacca che scende giù a rao' di soprabito mezza stagione ed un cappello a tese aviatorie. Sotto stanno due begli occhioni vivi, che brillano come due stelle. Gli chiediamo asilo per il maltempo che imperversa e con modi gentili ed ospitali l' ometto dell' alpe ci introduce nella baita, di cui ci fa gli onori di casa.

« Hescht nid kalt, Bueb? » gli chiediamo.

« Naa », ci risponde con un sorriso che gl' increspa la pelle di bronzo, mostrando una fittissima dentatura d' avorio. Il fuoco ci accende e nella baita la fiamma palpita come un' anima. Attiriamo nella conversazione il nostro piccolo anfitrione. Gradisce ciò che gli offriamo per cena e ne mette in serbo una parte per il fratello maggiore, di 14 anni, che con lui divide i disagi dell' alpe.Vivono essi solo di pane nero, e se ne riforniscono una sol volta, a principio d' alpeggio.

È gaio di natura e sa parare con intelligenza qualsiasi motteggio. Alle nostre barzellette ride con un timbro argentino che riempie la baita.

Poi il discorso langue e qualcuno comincia a russare sullo scarso fieno. Da poco anch' io mi sono assopito, ma un saluto calmucchiano — un topolino mi annusa — mi sveglia e la sua coda mi striscia sulla faccia.

Segue il silenzio della prima fatica.

Al mattino armonie grigie. In alto, dove lo sguardo arriva e giù sin quasi ali' alpe, neve fresca. Grigi i massi di granito, grigio il cielo, grigio l' umore.

Prendiamo congedo dirigendoci verso la vedretta. Alle 13 raggiungiamo la capanna dell' Oberaarjoch con un lieve ritardo sulle nostre previsioni. La neve fresca ha ostacolato la nostra marcia, obbligandoci a far tappa oltre il consueto. Il sole appare a intervalli, che bastano per rammollire la neve e mostrarci la grandiosità del paesaggio.

Riposiamo un pò dopo il pranzo, poi giù sulla neve fresca verso la conca dello Studerfirn. E le innumerevoli cuspidi in manto bianco che allettano e soggiogano ci fanno obliare la fatica che ci è imposta per portarci alla Gemslücke. Qui lo strato di neve fresca ricopre un vetrato tale che appena intrapresa la discesa, tosto ci si trova in serio pericolo di sdrucciolare nel ripido e lungo canale. Calziamo i nostri ramponi e uniamo il nostro destino alla corda. I miei due compagni sono in mezzo al passagio, io, sul fianco del canale, attendo il mio turno per mettere i ferri. Un sibilo, un colpo ed i due compagni balzano uno a destra e l' altro a sinistra. Un sasso di rispettabili dimensioni si stacca dall' alto, rimbalza, saetta sopra la corda e va a finire nel ghiacciaio sottostante. Ci guardiamo in faccia, poi giù con tutte le precauzioni. Il terreno fuori del canale è mobile e non acconsente velocità di sorta. Passato che abbiamo il canalone e consultato la carta, acceleriamo il passo per raggiungere la capanna del Finsteraarhorn.

Verso il tramonto, le luci trascoloranti, impallidiscono in riflessi delicati e preludiano ad una giornata di bello. E siamo di nuovo in un dei nostri comodi rifugi dove troviamo già preparato un tè copioso e fumante.

All' indomani sveglia alle quattro. Colazione, sacco ridotto e quando le guglie si accendono, lasciamo la capanna, col fermo proposito di raggiungere il Finsteraarhorn. La neve è gelata di modo che raggiungiamo presto il Frühstücksplatz. Ma poi, per una ragione ancora inspiegabile, la prima cordata che ci precede, si porta sulla roccia della dorsale che corre dalla sella Hugi verso il Frühstücksplatz, invece di spingersi direttamente sul ghiacciaio, dove le condizioni della neve sono ancora eccelenti. La roccia è marcia ed esige molta precauzione, ma tuttavia si avanza con buon ritmo. Poi, sulla china ripidissima tra ghiacciaio e roccia e mentre l' uomo di punta raspa su di un' avarissima presa, un malaugurato sasso urtato dalla corda del gruppo d' avanguardia, viene a cadere sulla sua testa. Il compagno accusa il colpo. Assicuro con Giacomo l' infortunato. I nostri battistrada ci allungano la corda ed il compagno può venir liberato dalla sua precaria situazione. A questo punto il vento soffia rabbioso ed il gelo alle mani ci obbliga a riprendere la marcia. Lasciamo la cresta per inoltrarci sul ghiacciaio. Un sole abbagliante indora tutta la sella, ma ciò che noi vogliamo credere ristoro si muta in danno.

La neve fresca si scioglie rapidamente e le nostro gambe vi affondano fino alle ginocchia. Così è che sopra di noi la vetta sembra ridere per la nostra lenta avanzata. Superata la sella, il nostro compagno, dolorante per il colpo ricevuto, rinuncia all' ultimo attacco.

Alla conquista della piramide seduttrice, egli ne incoraggia con parola generosa, ma il suo stato ci preoccupa, e a malincuore rinunciamo alla scalata. Gelide folate di vento intanto ci scaraventano in viso i ghiaccioli asportati alle rocce e pensiamo che lasciar solo il nostro compagno per più ore, non è prudente. Ci accontentiamo di dare uno sguardo furtivo e avido alla nostra cima, lanciamo un amaro arnvederci e muti ed avviliti ricalchiamo le nostre orme.

Lo sgelo ha già fatto progressi. Nuove crepe solcano il ghiacciaio prima occultate da fresco strato. Ma questo ben poco ci interessa. Scendiamo frettolosamente verso la capanna. Il guardiano che, la sera precedente, ci aveva accolti un po' asciutto, sembra aver ora ritrovato la favella. S' intrat con noi affabilmente e ci aiuta a far fagotto. Poi è venuta la traversata della Grünhornlücke e nessuna nota briosa è scaturita dai nostri cuori. Il nostro morale si poteva paragonare a quello del Griso sul punto di render conto al suo signorotto del mancato ratto di Lucia.

Il nostro capo che in un momento di delusione, durante la discesa dopo il Frühstücksplatz, aveva fatta la voce grossa per una scivolata in piedi da noi propostagli, cerca di rincuorarci, d' infonderci un po' di buon umore.

Alla capanna Concordia certo dovremo subire interviste, ma che attestato per tre scarponi equipaggiati di tutto punto, dover rispondere d' esser stati obbligati alla ritirata? È questa la mia, forse la nostra principale preoccupazione. Ma Giacomo sa sviare il discorso. Al momento opportuno scara-venta sul tavolo un bolide. Non era altro che la bresaola, questa volta senza attestato d' origine! Di. un bel colore appettitoso, fa convertire tutti gli sguardi su di lei. L' avremmo ceduta volontieri a prezzo d' acquisto. Probabilmente era stata tagliata da un quarto di quei muli d' Andalusia che la Confederazione aveva acquistato durante la mobilitazione e, dopo una lunga carriera, era finita nel nostro sacco come merce di prima qualità.

L' odor di minestra abbrevia la nostra attesa.

Davanti alla capanna seguiamo una cordata che avanza stentatamente verso di noi, proviente dalla Lötschenlücke. Ah, quella neve fresca, quanti sbuffi procura agli escursionisti. Ma il nuovo manto copre ai nostri occhi quelle sporche incrostazioni che seguono i seracchi fino alla vedretta ed infonde alle alte vette un carattere incomparabile di maestà, mentre il sole si spegne all' orizzonte e riflette su di esse fasci di luce d' oro. A poco a poco le asperità perdono le loro forme, le ombre salgono dalla valle e nel candore sidereo di quella chiusa glaciale, il faro del Jungfraujoch projetta una luce fissa e prepotente. La tramontana ci persuade a rientrare ed a raggiungere il nostro giaciglio, dove il discorso di un chiaccherone ci molesta fino a tarda notte. Effetto forse di libazioni abbondanti nel vicino Pavillon! Ed il suo discorso infocato e la posa tartarinesca ci fan rimpicciolire. Ci copriamo la testa colla coperta, talmente indegni ci sentiamo di stare a fianco di tanto ardimento!

Di buon mattino scendiamo sul ghiacciaio diretti alla Jungfrau e seguiti da altre cordate. Incrociamo nuovi gruppi che scendono dal Jungfraujoch verso la capanna Concordia. Notiamo fra tutti una guida che porta con sè due Inglesi, moglie e marito. Suggestiva immagine del secolo scorso. L' uomo porta il casco coloniale con pantaloni corti e guarda dagli occhiali, con occhi intelligenti. Ha il sacco appiattito, quasi contenga una formagella. La donna, una gonna larga rivolta all' insù, dalle saccoccie enormi e rigonfie. Porta un cappello a tese piane, dal quale scende un velo a metà viso. Set-tanta primavere han l' aria di pesare su quei prototipi di vecchio alpinismo, eppure marciano sicuri e spediti.

Ora il cielo s' è fatto grigio. In alto, il vento soffia forte e sospinge le nubi a mezzodì. Ciò da adito alla speranza di poter così raggiunger la vetta. Nello scalare la sella del Rottal c' imbattiamo con le prime cordate di ritorno e sebbene la neve cominci a cadere, non per questo disarmiamo. Un crepaccio si sprofonda sotto una ripida china e per comodità turistica è attraversato da una scala a piuoli. Assistiamo ad una discesa comica. Una guida aveva preso in consegna una coppia di Berlinesi. Questi, giunti a quel critico posto, non vogliono più scendervi. Li prega la guida, li esorta a proseguire, ma quelli non si muovono. Urge pertanto abbassarsi e lasciar libero il passo e la signora, più larga che alta, arrivata a qualche metro dalla scala, finisce per rotolare: le sue gonne s' impigliano cosicchè viene a trovarsi esattamente sopra la scala in modo tale da esporci quella che si dice la parte non anteriore e due polpacci che di femminile avevano soltanto il nome.

Dopo questo episodio, ci rendiamo conto della nostra situazione. La neve cade ora abbondantemente e poiché riteniamo di poter guadagnare la cima, il vento aumenta la violenza sua, da toglierci definitivamente questa speranza.

Le cordate che ci precedono in salita rinunciano alla conquista. Sostiamo in attesa di migliori condizioni, ma purtroppo esse peggiorano di momento in momento. Mogi, mogi seguiamo l' esempio degli altri e si ritorna.

Nella fratta il vento sembra aver pacato le sue ire, epperò dobbiamo presto convincerci che la nostra ritirata è frutto di una ben vagliata prudenza. Arrivati sotto il gendarme tra il Jungfraujoch e lo sperone che scende dalla Jungfrau, un colpo di vento alza di peso il nostro battistrada. Questi evita prontamente una scivolata, ancorandosi colla punta della sua picozza. Riprendiamo il cammino per superare quel piccolo dislivello, ma il vento non dismette e prepotente ci caccia addosso i ghiaccioli, ci taglia il respiro e ci obbliga ad aderire alla neve con tutto il nostro corpo. Il sacco balla tutte le danze; continua e violenta è la bufera. I guanti messi a riparo delle mani son divenuti di ghiaccio duro; non hanno le dita senso della vita.

Dopo un sforzo ininterrotto di circa un' ora, riusciamo a liberarci dalla tortura d' un viaggio difficile e pieno d' incognite. Alle finestre della stazione alpina, numerosi curiosi salutano il nostro arrivo.

Gli scarponi erano di nuovo all' asciutto, ma sulla carta spiegata avevano tracciato un nuovo itinerario.

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