A spasso nei paesaggi di Ramuz e Hodler | Club Alpino Svizzero CAS
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A spasso nei paesaggi di Ramuz e Hodler Il giro del Grand Muveran per la Frête de Saille

Ritrovarsi nel cuore dell’opera – dello scrittore dapprima, e poi del pittore. Attraverso la frana di Derborence e poi nelle pareti del Grand Muveran, il giro ci conduce sui luoghi che ispirarono questi artisti affascinati dalla montagna.

Nulla. Non un rumore. Non un alito. Solo pietre e cielo azzurro. Solo la massa dei Muveran sopra di noi. Ovronnaz non è lontano, ma già eccoci immersi nell’atmosfera di Derborence, di Charles-Ferdinand Ramuz, avvolti dal «silenzio dell’alta montagna, il silenzio di questi deserti d’uomini nei quali l’uomo non compare che temporaneamente». Quello dove «si ha un bel tendere l’orecchio, si sente che non si sente nulla». Ma diversamente dal romanzo, nel quale questa assenza di rumori appare insopportabile, in questo sabato d’autunno e dopo una settimana in città, questa quiete assoluta si assapora.

Sensi risvegliati

Il giro del Grand Muveran invita non soltanto a esplorare una regione selvaggia tra Vaud e Vallese, ma anche a percepire in se stessi un angolo di paese che ha ispirato due grandi artisti elvetici. L’itinerario parte da Ovronnaz e raggiunge Derborence, un pascolo seppellito da una frana, raccontato da Ramuz nel suo romanzo omonimo, pubblicato nel 1934, per riportarci infine indietro attraverso lo spettacolare versante occidentale del Grand Muveran, cui nel 1912 il pittore Ferdinand Hodler ha dedicato numerose tele.

Sino dai primi passi, la natura titilla i sensi. Un sentore di rododendri aleggia in un bosco di larici dalla corteccia ­screpolata. Il Grand Combin si staglia simile a una meringa sullo sfondo azzurro del cielo, mentre una marmotta prende il sole sul ciglio del sentiero. Solo qualche cavalletta osa rompere il silenzio. Per un attimo si potrebbe diventare ­poeti.

Frana gigantesca

Tuttavia, Ramuz non celebra soltanto la bellezza della regione. Il luogo è geologicamente molto particolare. Derborence si trova nel cuore di tre falde tettoniche. Proprio dove quella di Morcles passa sotto quella di Diablerets, che si infila a sua volta sotto quella del Wildhorn. Il 23 settembre 1714, un pezzo alto 1000 metri delle Diablerets era crollato su un fronte di cinque chilometri, travolgendo 15 persone e il loro bestiame. «È caduta la montagna», ripetono i personaggi del romanzo.

Tre secoli dopo, la serenità che accoglie l’escursionista è tale che si fatica a immaginare che questo circo sia stato teatro di una simile catastrofe e che il pascolo originale si trovi 70 metri più in basso, sotto dei massi a volte più grandi di uno chalet. «È solo una piccola correzione sulla carta», scriveva Ramuz. Sarà necessario ridisegnare il catasto, «poiché per ora non è colorato di verde. E il verde significa l’erba, e l’erba vuol dire la vita.»

Rinascita botanica

Oggi, tuttavia, su questo gigantesco ammasso si ergono dei pini. A tal punto che, sulla carta, dei cerchietti verdi punteggiano il grigio della frana. «È la vita che ritorna», commenta commosso Charly Rey dal suo chalet che domina il sito. «Il pino è una specie pioniera, non ha bisogno di quasi nulla per crescere», aggiunge il botanico, coautore con la moglie Sabine di un libro su Derborence. I semi dei primi alberi sono probabilmente germogliati una ventina d’anni dopo il crollo, sull’humus generato da piante perenni. «La dinamica continua. Questi pini producono essi stessi dell’humus che servirà da terreno di coltura per altre piante.» Ritiene che, un giorno, la zona sarà ricoperta da una foresta di abeti rossi.

A Derborence, la vita ha riconquistato i suoi diritti. Addirittura ribolle. Gipeti barbuti e aquile reali nidificano nelle sue falesie. Inoltre, il varco del Pas de Cheville, che collega i luoghi alle Prealpi vodesi, funge da porta d’ingresso per delle specie assenti nel resto del Vallese, come il marasso (vipera berus) o la cavalletta (polisarco deniticauda). E ci permette di lasciare il circo per proseguire il nostro giro sulla facciata ovest del Grand Muveran.

Paesaggio hodleriano

Sul versante vodese, i pascoli si fanno più dolci. Si incontrano i «begli chalet» del Pays de Vaud, di cui parlava Ramuz, «che sono lunghi, bene intonacati in bianco, con i tetti rivestiti di assicelle che sembrano scaglie di pesce». A parte il fuoristrada nel cortile, lo Chalet du Richard, di fronte all’Arête de l’Argentine, corrisponde perfettamente a questa descrizione. La barba del nonno intento a preparare le tomme e la severità dell’accoglienza sembrano anch’esse d’epoca.

Poi, quando si sbuca ai piedi del Grand Muveran, fuori dal bosco che sovrasta Pont-de-Nant, gli chalet spariscono. Si entra a piedi pari in un quadro di Hodler. Senza esseri umani, dove a dominare è la natura. Taluni specialisti dell’artista bernese ritengono che i suoi paesaggi di montagna rappresentino degli autoritratti. Che la vetta solitaria possa essere considerata come l’espressione della forza vitale o il simbolo della solitudine dell’individuo.

Fortezza inespugnabile

In effetti, ci si sente davvero piccoli e soli sotto queste pareti. E ce ne vorrà molta, di determinazione, per salire al passo della Frête de Saille. Poiché come di fronte al Grand Muveran, la tela che raffigura l’imponente blocco, in diretta, ai piedi della montagna, ecco che una domanda si pone: un sentiero può davvero passare per quelle falesie? «Sì, ma fate attenzione: su quel sentiero si cade una volta sola…», ci avverte il simpatico alpigiano della Vare.

E sa di cosa parla. Il sentiero è tanto stretto quanto scosceso. 700 metri diritto sopra di noi, il Grand Muveran appare come una fortezza sorvegliata dai camosci. 700 metri diritto sotto di noi, le vacche pascolano nel Vallon de Nant. Nell’ombra mattutina il silenzio dell’alta montagna torna a riempire lo spazio. Ma il momento non è quello della contemplazione, quanto piuttosto della concentrazione. Lungo quasi tre chilometri, il Muveran va abbracciato. Bisogna aggrapparsi alle sue rocce, tenere gli occhi fissi sulle pietre del sentiero per non vedere il vuoto, sempre ammirando da vicino le venature della montagna. All’arrivo al passo, la ricompensa: la vista si apre sul Cervino da un lato e sul Lemano dall’altro.

«Un paesaggio che ci è famigliare ci commuove più profondamente», diceva Hodler: «Bisogna averlo vissuto per afferrarlo.» In questo caso, lo abbiamo afferrato. Non guarderemo più il Grand Muveran allo stesso modo.

Lifting per la Cabane Rambert

Tappa nel giro dei Muveran (4-5 giorni), la Cabane Rambert CAS è chiusa nel 2015 per ristrutturazione e ampliamento. La sezione Diablerets, che ne è proprietaria, ne prevede la riapertura nel 2016. Per la maggiore comodità degli ospiti, la nuova capanna offrirà 34 posti, sei in meno rispetto alla vecchia costruzione del 1952. Un’ampia vetrata consentirà di gustare appieno il superbo panorama sui massicci del Grand Combin e del Monte Bianco. Per maggiori informazioni: www.cas-diablerets.ch/rambert.htm.

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