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All’ombra dei giganti Sulle tracce di Arturo Ottoz nel massiccio del Monte Bianco

Guida valdostana, Arturo Ottoz ha formato alcune belle vie di arrampicata nel granito del versante italiano del Monte Bianco. Christophe Simeon ne ha seguito le tracce lungo tre vie classiche vicine al Grand Capucin e alle Aiguilles de Peutérey.

Il suo nome non evoca forse granché ai non iniziati al massiccio, ma durante quasi trent’anni Arturo Ottoz (1909-1956) ha lasciato un’impronta profonda nel versante italiano del Monte Bianco. Walter Bonatti lo ha descritto come «una delle figure più esemplari del mondo della montagna» (La Repubblica, 17.8.2006). Con al suo attivo tutta una serie di prime di altissimo livello, come la scalata della parete est della Dent du Géant o l’invernale della via Major del Monte Bianco, il suo palmarès può suscitare l’invidia di molti. E ad esso vanno ad aggiungersi numerose aperture eseguite su cime dette secondarie, alcune delle quali sono però di prim’ordine e figurano ancora a pieno titolo tra le classiche del massiccio. Esse offrono soprattutto a coloro che non hanno né il tempo né i mezzi per affrontare imprese su grande scala l’opportunità di vivere splendide avventure in un quadro maestoso.

Un circo selvaggio e austero

Non appena superata la foresta della Val Veny, le vette dell’Aiguille Croux, della Punta Guglielmina, dell’Aiguille Noire e del Mont Rouge de Peutérey possono impressionare l’alpinista diretto al rifugio Monzino. Nessuna sembra volersi offrire al primo venuto. Tra tutte, l’Aiguille Croux presenta il vantaggio di essere sfalsata rispetto alle altre e di beneficiare di un accesso piuttosto comodo. Di che farne un belvedere di prima scelta su un circo estremamente selvaggio, con l’aspetto tormentato dei ghiacciai del Brouillard e del Frêney a drammatizzare ulteriormente il quadro.

Il 5 luglio del 1935, quando Ottoz, assieme a Eugenio Hurzeler, percorse la parete sud-est dell’Aiguille Croux, questa era ancora vergine. Da allora vi sono state aperte un’altra via classica (Bertone-Zappelli) e diverse vie moderne. L’itinerario scelto dal valdostano si addice all’audacia del personaggio. Alcuni tratti tra le zone più deboli richiedono in effetti un certo impegno, se si tien conto del materiale dell’epoca. Attualmente riattrezzata e corretta qua e là per approfittare della roccia migliore, questa via tipicamente di montagna attraversa cenge, gradini, diedri, pareti, placche e fessure, e stupisce per la varietà della scalata e l’atmosfera estremamente alpina che vi si incontra.

Ai piedi delle frecce di granito

Arturo Ottoz non ha imperversato soltanto nei bacini del Brouillard, del Frêney e della Brenva, ma si è pure distinto tra i satelliti del Tacul. Lì, l’universo assume un’altra dimensione, con il ghiacciaio del Gigante ai suoi piedi e, in lontananza, la catena che corre dall’Aiguille Verte al Triolet. In questo scenario decisamente più aperto si ergono le frecce e i pilastri colorati dalla roccia franca e compatta, i cui nomi più evocatori sono Grand Capucin, Aiguilles du Diable e Pilastro Gervasutti.

Il 29 luglio 1940, in compagnia delle guide Evaristo Croux e Laurent Grivel, Ottoz firma la sua ascensione più popolare lungo la cresta est della Pyramide du Tacul. Alla logica dell’itinerario si somma l’omogeneità delle difficoltà, situata per la gran parte nel quarto grado. E non manca ciò nonostante di carattere, proponendo passaggi alternati in fessure, diedri e placche. Il primo in cordata potrà anche approfittare per familiarizzarsi con la posa di assicurazioni nella roccia in previsione di percorrenze più serie, considerato che, nella via, l’attrezzatura si limita a una decina di chiodi.

Una via regale

Più vicino al Grand Capucin, il Roi de Siam riserva dal canto suo belle sorprese, con una scalata più risanata rispetto alla Pyramide du Tacul e alcuni passaggi memorabili – come una fessura lunga quasi 50 metri e disseminata di larghe scaglie o un camino stretto nel quale bisogna saper sgusciare senza rimanere incastrati. Aperta nel 2001, la via proposta riprende alcuni tratti più vecchi, testimoniati da alcuni chiodi che si incontrano tra gli spit posati nei punti chiave. Non è tuttavia sicuro che si stia seguendo l’itinerario percorso da Ottoz durante la sua prima scalata della vetta, nel 1952. Solo il suo libro di guida ne fa menzione, senza però alcuna descrizione. L’ultimo tiro, lasciato nel suo stato originale con qualche chiodo, permette di scoprire l’imponente vicino, il Grand Capucin, da un angolo impressionante.

Al Roi de Siam, come altrove attorno al Monte Bianco, l’eredità lasciata da Arturo Ottoz non lascia indifferenti gli amanti delle linee pure. La sua morte, nel 1956 – fu vittima assieme a due clienti della caduta di un seracco ai piedi della via Major – coincide con la fine di un periodo dell’alpinismo classico che si voleva parsimoniosa in relazione ai mezzi tecnici e l’inizio di un’era di aperture nettamente più estreme.

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