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Arrampicare con la testa e con il cuore I fattori psicologici in sede di allenamento

In otto settimane, con gli esercizi giusti è senz’altro possibile compiere progressi nella tecnica di arrampicata. Ma anche la testa arrampica con noi. A conclusione della serie, ecco alcune cose da sapere sui rapporti tra arrampicata e psiche. Terza parte.

Sono già otto settimane che Aline e Alexandre, una coppia di entusiasti dell’arrampicata, si allenano per superare finalmente la magica soglia del 6° livello di difficoltà. Si sono costantemente esercitati nel movimento standard, confrontandosi regolarmente con le vie corrispondenti. Con risultati decisamente buoni, come ben si dimostra nella palestra. I movimenti sono diventati fluidi, ed entrambi sembrano aver acquisito anche una forza mag­giore.

Tuttavia, accade sempre che per un istante il flusso dell’arrampicata si interrompa senza che sia possibile stabilirne subito la causa. Sono i momenti in cui nell’azione interviene la psiche. Wolfgang Güllich, pioniere della didattica dell’allenamento nell’arrampicata sportiva, ha coniato questa splendida frase: «Il cervello è il muscolo più forte dello scalatore.» E si attiva in ognuno in modo del tutto individuale.

 

Il presupposto: concentrazione

Nelle ultime settimane anche Aline e Alexandre hanno avuto molteplici esperienze in questo ambito. Un fenomeno che molti scalatori dilettanti che la sera frequentano una palestra conoscono è sicuramente quello della concentrazione. Dopo una lunga giornata di lavoro, radunare una volta ancora tutte le forze e compiere puntualmente l’esercizio non è cosa facile. Poiché diversamente dal jogging o dall’attività in un centro fitness, arrampicare bene significa armonizzare al meglio tutti gli aspetti mentali e fisici. «Non è facile trovare la giusta concentrazione, la sera», confermano entrambi.

Tuttavia, anche i movimenti ancora nuovi nelle vie più difficili rappresentano una sfida. «Nelle vie di livello 6 gli appigli sono più piccoli»: Alexandre lo ha sperimentato. «Non tutti gli appigli permettono ormai una posizione di riposo sicura.» Questo causa stress, con il quale bisogna imparare a convivere. E per questo non vi sono ricette brevettate. Lo sa bene la psicologa Maura Graglia, che assiste tra l’altro anche sportivi d’élite con un training mentale su misura: «Ognuno deve trovare la propria via, e integrare costantemente ogni nuova esperienza.»

 

Cautela femminile? Ira maschile?

A questo, i nostri due lavorano assiduamente. Non mancano naturalmente gli insuccessi. E sembra che ad essi reagiscano in modi diversi: mentre nei punti più complessi l’impavida Aline sembra diventare più cauta, quando fallisce un passaggio difficile in Alexandre si vede affiorare rapidamente la frustrazione. La paura è dunque un modo piuttosto femminile e l’irritazione un modo piuttosto maschile di reagire all’insuccesso? Maura Graglia smentisce: «È un’idea abbastanza diffusa. Ma io ritengo che sia le sportive che gli sportivi conoscano e provino entrambe queste emozioni. La differenza sta piuttosto nel modo in cui le gestiscono.»

Dietro la paura si cela spesso la domanda: «Cosa mi potrebbe accadere?» E qualche cattiva esperienza già fatta potrebbe qui risultare in un impedimento ulteriore. Frustrante è per contro l’irritazione che si prova quando non si è conseguito un obiettivo stabilito. In entrambi i casi, il risultato è tuttavia il medesimo: impedisce allo scalatore di continuare ad allenarsi e migliorare. Contro tutto questo, ognuno deve lottare con i mezzi a lui più consoni.

 

L’esercizio rende maestri

In generale, si tratta di sentirsi sicuri con ciò che si fa sulla parete. E questo accade al meglio quando i movimenti sono acquisiti. È quindi necessario ripetere continuamente le sequenze dei movimenti, non solo in parete, ma anche in testa. Perché il cervello pensa a partire dal movimento. Un allenamento costante – sia pratico che menta-le – rappresenta dunque la chiave del successo. E una sana ambizione è senz’altro d’aiuto. Tuttavia, per non perdere il gusto di questo bellissimo sport, è molto importante essere pazienti con se stessi. Dopo tutto, nessuno è un maestro piovuto dal cielo. Per cui: buon divertimento nella scalata al prossimo livello!

 

 

«Le Alpi»: Cosa succede nella testa e nel corpo dell’atleta durante l’arrampicata?

Maura Graglia: È estremamente individuale. Siccome il corpo è il palcoscenico dei sentimenti, ognuno può dispiegare al meglio la propria condizione, forza o tecnica quando l’autocontrollo «funziona» bene. E questo dipende da quali competenze si disponga in relazione all’autocontrollo. Capacità di resistenza, potere di visualizzazione, soliloqui o regolazione dell’affettività ne sono solo alcuni esempi.

 

È possibile allenare le proprie forze mentali arrampicando? Oppure bisogna farlo prima?

Le due cose vanno perfettamente di pari passo. L’uomo è fortemente legato al movimento, e il cervello pensa a partire dal movimento. Ogni movimento del corpo è quindi una fonte di apprendimento. Ma anche qui, non esistono ricette universali: ognuno deve trovare la propria via, costruirle e integrare costantemente ogni nuova esperienza.

 

Quali sono gli effetti degli alti e bassi psichici sulla capacità di arrampicare?

Nei momenti psichicamente positivi si riesce facilmente a superare se stessi, mentre nei bassi è possibile che improvvisamente non si riesca in una via fino ad allora ben padroneggiata. La capacità di arrampicare si esprime quindi al meglio quando i fattori mentali, emotivi, tecnici e di condizione dello sportivo sono bene equilibrati.

 

Dopo una caduta, come è possibile superare l’eventuale paura residua?

A questo servono diverse tecniche di training mentale. Un esempio è la visualizzazione: ci si pone innanzitutto di fronte alla via e si ripercorrono mentalmente le singole fasi dei movimenti. Questo permette di ridurre da subito lo stress e la paura di una nuova caduta.

 

Arrampicare può anche avere una specie di «effetto terapeutico»?

Dipende sempre da che cosa si intende per «effetto terapeutico». Se con questo si pensa che esercitando questa attività un individuo possa trovare equilibrio e intima soddisfazione, è senz’altro positivo. Ma senza l’adeguato sostegno di un terapista o coach bisognerebbe diffidare del concetto per cui «la paura dell’altezza si supera arrampicando».

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