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Ascensioni al paradiso, o quasi Neve polverosa e altro ancora in Valgrisenche

A poca distanza da Aosta, all’ombra del parco nazionale del Gran Paradiso, la Valgrisenche (I) non disdegna alcun mezzo di sostentamento, incluso l’elisci. Qui, gli escursionisti devono condividere neve polverosa e cime immacolate con gli sciatori elitrasportati.

Seduti a fianco della Madonna della vetta, ci godiamo un panorama non consueto. Nello spirito dei conoscitori della Valgrisenche, la Testa del Rutor resta imprescindibile. La muraglia formata a nord dal massiccio del Monte Bianco attrae inevitabilmente lo sguardo. Abbiamo dovuto raggiungere l’ampio tavolato del ghiacciaio del Rutor per scoprire questa prospettiva straordinaria. Un’ascensione di buona portata e piuttosto tecnica nella sua parte centrale – un canalone sostenuto – precede quella che può essere percepita soltanto come un’apoteosi finale. Vorremmo che questi istanti durassero ancora, ma sappiamo che il sole primaverile non ci perdonerebbe una siesta prolungata e calziamo i nostri sci per affrontare la discesa. Un altro dettaglio ci spinge a non indugiare oltre: i discesisti elitrasportati sembrano puntare verso il Rutor a quest’ora del giorno, e non intendiamo lasciar loro l’onore di lasciare le prime tracce nella polvere vergine dei pendii sommitali.

 

Un paradiso – o quasi

È difficile parlare dello straordinario potenziale della Valgrisenche in termini di scialpinismo senza toccare la problematica dell’elisci nella regione. Delle quattro vallate principali a meridione della Valle d’Aosta, la Valgrisenche è la più occidentale, e la sola a non beneficiare della protezione derivante dal parco nazionale del Gran Paradiso. Una legge promulgata all’inizio degli anni Ottanta dai valdostani, che vedevano di cattivo occhio l’afflusso di elisciatori dalla Francia, dove la pratica era appena stata vietata, autorizza i trasporti dal 20 dicembre al 15 maggio tra le 7 e le 16.

Ogni anno, da 1200 a 1500 sbarchi: sono le cifre fornite da Danilo Garin, guida alpina e responsabile dell’eliporto di Valgrisenche. Nelle belle giornate, da sette a otto gruppi di quattro o cinque sciatori possono effettuare fino a tre o quattro voli ciascuno. Un affare notevole, non ci piove! E la guida non lo nasconde, difendendo la pratica con argomenti anche economici: per ogni volo effettuato dalla società, 65 euro finiscono nelle casse del comune di Valgrisenche, sommandosi nel 2010 a un totale di 100 000 euro. «Senza questo apporto la valle morirebbe», spiega. Grazie a questa manna, il comune è in grado di assicurare la sopravvivenza dei pochi impianti di risalita meccanici. Inoltre, gli amanti dell’elisci – per l’80% di origine straniera – partecipano maggiormente alla prosperità della regione rispetto ad esempio agli escursionisti, che spendono meno. «Senza dimenticare che la Valgrisenche non beneficia della fama del parco nazionale», aggiunge Garin.

 

Volontà di coabitazione

Se crediamo alla guida, qui la coabitazione tra le sue specie dihomo skiensis è possibile: «All’inizio, negli anni Ottanta, con gli anziani era molto difficile. Ora la gente è più aperta, nonostante vi siano ancora degli estremisti che fanno sparire i segnali di atterraggio. Dal canto nostro cerchiamo di disturbare il meno possibile gli escursionisti, adattandoci giorno per giorno e depositando i nostri clienti nei luoghi di minore frequentazione.» Danilo Garin ha d’altro canto preso l’abitudine di discuterne con gli escursionisti che risiedono nei diversi alloggi. «Le nostre informazioni sulla nivologia sono preziose, per loro», aggiunge, per poi precisare che anche i soccorsi sono di competenza della società responsabile dell’elisci, un vantaggio evidente per la loro efficacia.

 

Una discesa da sogno e voglia di tornare

Il ritorno nella valle mantiene tutte le sue promesse. I nostri sci si immergono allegramente nella polvere fin nei pressi del Rifugio degli Angeli (un tempo Scavarda). Costruito nel 2003 da un gruppo di volontari con materiali portati a spalla, esso testimonia degli approcci contrastanti che conosce la Valgrisenche, dove il modernismo sembra voler evitare alla valle una morte lenta.

Prima di lasciarci scivolare nel canalone che scende a est della capanna, osserviamo i pendii che ci rimangono da scoprire. Poche valli possono pretendere di offrire altrettante possibilità. Al termine di una discesa da antologia, torniamo al villaggio di Bonne con nella testa qualche progetto per la prossima stagione.

 

Una tradizione lontana

Attraversando il villaggio di Valgrisenche non si può fare a meno di chiedersi di che cosa vivano i suoi abitanti. Come in molte altre località alpine, alcune tradizioni sono perpetuate dalla volontà della popolazione. Il mondo agricolo sussiste e negli alpeggi si produce la Fontina, l’apprezzato formaggio che costituisce anche la base della fonduta valdostana. In un altro ambito, anche la tessitura del «drap», un tipico tessuto rustico di lana di pecora, ha attraversato i secoli. Un tempo, ogni famiglia possedeva un telaio, e si approfittava del lungo periodo invernale per dedicarsi alla tessitura. Anche gli uomini partecipavano, soprattutto per maneggiarne i pesanti elementi in legno. Gli abiti confezionati erano resi impermeabili con un procedimento di feltratura e proteggevano dal freddo. Erano i capi indossati ad esempio da Jean-Antoine Carrel, la celebre guida di Breuil, e dai suoi colleghi. A un certo punto, la domanda crebbe sino a dar vita a una produzione commerciale. Lo spopolamento della valle in seguito ai due conflitti mondiali e l’abbandono dei villaggi sommersi costrinse tuttavia i tessitori a cessare l’attività negli anni Cinquanta. Nel 1966, però, l’amministrazione comunale organizzò un corso di tessitura aperto a tutta la popolazione e nel 1969 fu costituita la cooperativa «Les Tisserands». Da allora, nella valle risuona ancora la melodia dei telai in movimento. Il futuro sembra assicurato: la tessitura viene infatti insegnata persino agli allievi della scuola elementare.

 

Tolleranza e buon senso

Nella Valgrisenche, la manna dell’elisci non è di certo estranea alla conservazione di queste tradizioni ancestrali. Screditata a ragione, forse questa pratica merita qui una certa tolleranza da parte di noi escursionisti. Alcuni semplici provvedimenti basati sul buon senso permettono di evitare al massimo il disturbo dovuto alle macchine volanti. Si opterà per una partenza all’alba, una visita durante la settimana o nella seconda parte della primavera, dato che gli elisciatori preferiscono in generale la neve polverosa.

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