Cima di Piero. Alle Rocce Scarason | Club Alpino Svizzero CAS
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Cima di Piero. Alle Rocce Scarason

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Con i tavola ( 26Di Armando Biancardi

( Torino ) La Cima di Piero fa parte d' una catena, quella del Marguareis, lunga ben due chilometri e mezzo, catena che ha lastronate di calcare volte a nord alte sino ai sei-settecento metri, catena dall' aspetto così forte nonostante la modestissima altezza da poter essere trapiantata degnamente nel mondo dolomitico, così poco conosciuta da concedere illusioni da scopritori agli ultimi arrivati e per me così vecchia amicizia, da essere un po' la montagna sulla quale, bene o male, ho tentato di realizzarmi. Dico bene o male, perché le salite che ancor ragazzo vi ho effettuate, e più tardi le prime ascensioni su queste pareti nord, giuste una dozzina, mi sembrano ben piccola cosa a confronto di quel che nei progetti, nelle aspirazioni e nella fantasia rimane ancor sempre da fare. Si studia, si tenta, si attende. Si va, si ritorna. E qualche volta la si spunta. Una volta arrivati però, ci si convince che era un' altra la salita che per impegno, per tracciato, per bellezza estetica volevamo attingere. No, la salita in cui aspiravamo realizzarci dovrà essere un' altra. Passa altro tempo e si invecchia. Forse il tempo, che qualche volta non è così avaro come si vorrebbe, ci concederà ancora la gioia incommensurabile dell' azione. Ma giunti che saremo su un' altra cresta dopo aver combattuto a viso aperto la nostra piccola battaglia, troveremo che si, la via sarà stata dura, che un tantino più abbondante non ce l' avremmo fatta, che proprio ormai ci dovremmo accontentare. Ma in fondo a noi stessi, trascineremo sino all' aldilà, l' insoddisfa che ci avrà fatto agire.

Compagno alla mia giornata di fine agosto 1950 è Piero Billò. Non ho mai arrampicato con lui e quasi non lo conosco se non attraverso comuni amici. Comunque, a garanzia del suo saper fare, egli mi presenta il suo aspetto atletico di ex-alpino, la sua giovinezza gagliarda ed al tempo stesso pacata di ventitreenne, la ripetizione di due delle vie tracciate sulle nord del Marguareis. Egli è infatti una delle speranze più promettenti fra i rocciatori mon-regalesi sorti attorno all' accademico Sandro Cornino, un tempo compagno di corda. Il gruppo delle Rocce Scarason o anche Scurason com' è stato scritto meno correttamente da taluni — nel dialetto locale, vecchia radice d' albero — formato da due quote, quella occidentale più alta e più imponente, e quella orientale. A proposito delle pareti nord di queste Rocce, Federico Federici che usa sempre termini assai moderati, sottolinea nella guida alpinistica del gruppo il loro « impressionante aspetto », pur affermando, come farebbe del resto uno scienziato di fronte ad un essere umano su una lastra verticale di marmo, come esse « offrirebbero campo a interessanti tentativi d' arrampicata ». Per oggi, non ci alletta la quota occidentale, essa è certamente così terribile nella sua risoluzione centrale, che può solo simboleggiare per noi la salita dell' avvenire. I dintorni di Lecco sono ricchi di giovani intraprendenti e, pur con qualsiasi mezzo a dispetto ed a detrimento dell' alpinismo vero e puro, io sarei ben curioso di vederli affermarsi anche su questo, senz' altro il più duro problema che sia rimasto da risolvere in tutto il gruppo. Ci attrae invece la quota orientale, articolata in centro da un canale che s' innalza d' un terzo fin sotto la compatta bastionata che piomba dalla vetta. La partenza dal rifugio-bivacco Garelli al Pian del Lupo neh " alto Vallone Marguareis, avviene ad un' ora sconcia come in Dolomite. Cosicché, abbordato il laghetto Marguareis e scesi velocemente ai piedi delle pareti nord, abbandonati i sacchi dopo aver prelevato l' indispensabile e risaliti i soliti pendu di detriti, è quasi mezzogiorno quando giungiamo allo zoccolo della quota orientale di Rocce Scarason sulla quale siamo oggi decisi a metter mani. Ci leghiamo e senza perdere un istante entriamo nel canale. Ogni tanto qualche roccetta bagnata. Poi, a distanza, due blocchi lisci che, incastrati come sono, lo interrompono. Giungiamo così senza difficoltà sotto la muraglia verticale levigata e talvolta strapiombante che lo chiude. Qui si presentano due possibilità: traversare a destra e innalzarci fra un dente a lama e la parete qui rigonfia, o traversare a sinistra innalzandoci in un canalino-camino sino ad un colletto per poi seguire la parete. Quest' ultima soluzione ci sembra la migliore nonostante la nebbia ci impedisca, al disopra d' una certa altezza, ogni visibilità. Con tutta delicatezza risaliamo questo camino col fondo ingombro di sassi d' ogni dimensione pronti a partire al minimo tocco. Rile-vanti difficoltà nessuna, ma francamente, vorrei avere ali che non ho, per non rovesciare sulla testa dell' amico interminabili congerie di sassi. Con destrezza, l' amico in allarme le evita e si affretta. Ma quando sale lui, senza più preoccupazioni per terze persone, si sollevano schianti e tonfi che farebbero rizzare i capelli sé non fossimo allenati a sentirne.Vecchie montagne siete! Le acque, come lenta lebbra vi marciscono. Le vostre ossa un giorno, pur gloriose, come quelle di vecchi alpinisti afflitti da reumi, faranno cure salso-jodiche al mare! Per ora, restate ancora al vostro posto, fateci questo piccolo piacere! Solo per oggi 1 Giunti al colletto, risalita direttamente una breve paretina, bisogna effettuare una esse di aggiramento più che per l' ostacolo di leggeri strapiombi, perché così sta scritto sul calcare scistoso, calcare che tradisce quasi quanto le donne. Dall' inizio alla fine di questa esse il nostro procedere è lento, pieno di tentennamenti. La roccia si sbriciola fra le dita, i chiodi entrano nella roccia e poi si tolgono ad ogni severo assaggio crollando con le pietre sottostanti, quelle soprastanti, quelle laterali... Caro Solleder signore del 6°. Tu eri un bel pazzo a cercarti le pareti con la roccia più malferma, perché dicevi, essa aggiungeva ebbrezza ali' ebbrezza! Anche noi però, non troppo saggi, siamo stregati da quest' ebbrezza pazzesca! Traversata a destra e chiodo, traversata a sinistra con innalzamento e quindi con discesa su d' un pino mugo — e chi lo sa al difuori di noi che qui e solo su questo gruppo ci son pini mughi come in Dolomiteindi aggiramento e innalzamento con traversata terminale a destra esposta instabile e poverissima d' appigli, traversata effettuata con un chiodo in partenza che, fissato Dio sa come, dopo vari tentativi, il secondo toglie poi con le dita. Ci innalziamo per una fessura-camino e poi per un tratto aperto, sino ad un costolone che delimita la parete terminale a sinistra. Con un chiodo base di sicurezza, non proprio indispensabile, m' innalzo su d' un pulpito che fa spigolo. Neil' ultimo passaggio però, quando sono a dieci centimetri dall' esserne fuori, mi mancano appigli tali da consentire perfetta sicurezza. Torno allora ad allungamenti guardinghi sui miei passi e un paio di metri a destra m' innalzo di forza dentro un camino che inizia strapiombando ma è inciso sul bordo che lo delimita a sinistra da tre provvidenziali gradini e da un passaggio pur esposto per uscirne. L' amico che dimostra di possedere tutte le buone qualità di velocità, di sangue freddo, di sicurezza e di stile, mi dice di voler provare dove io non ho insistito. Corpo arcuato, lo vedo effettuare brillantemente il delicato passaggio di aderenza. Egli ha un carattere meraviglioso e lo posso dire oggi che lo conosco di più: non si da arie, non è spaccone, non è pettegolo: doti un po' rare, mi si permetta di dirlo, fra i giovanissimi d' oggi. Aggiriamo a sinistra lo spigolo e con un insolito e laborioso passaggio sui pini mughi, giungiamo in cresta con la gradevole inattesa sensazione aerea d' aver navigato a mezz' aria. In breve la vetta è raggiunta. Ritti in piedi ci abbracciamo. Festeggiamo persino in un condiviso compiacimento, con questa, lui la prima ed io la mia trentesima « prima », mentre la nebbia a squarci lascia intravvedere gli orridi precipizi della bastionata che balza direttamente su dal canale d' attacco. Mangiamo poche manciate di frutta secca che riesco a ricuperare dal fondo delle tasche e poi, con la celerità consentita dal nostro allenamento, messo a punto da tutta una stagione di fatiche, completiamo in discesa la traversata per cresta e, lasciato alle spalle un valloncello desolato, imbocchiamo un canale di ripidi sfasciumi e di salti, usciti dal quale ci troviamo nuovamente nel Vallone del Marguareis, alla base delle nostre pareti. Passerà del tempo prima che ci si possa rivedere e ventiliamo qualche progetto per l' avvenire, così, seduti sul sentiero. Poi ci separiamo e prima che diventi buio, mentre in bicicletta com' è salito lui scenderà la Val Pesio, io risalgo al bivacco.

Se mi è nata l' idea di chiamare questa quota, Cima di Piero, caro Billò, è solo ora che sono tornato al piano e che sono ridiventato complicato. In montagna si è d' una disadorna e perciò preziosa* semplicità ed il nome delle persone care lo si porta scritto dentro al cuore fanciullo. Qui in pianura ti ripeto, ci si complica. Così m' è venuta l' idea, te consenziente, di dedicare questa vetta all' unico fratello che avevo e che queste montagne indimenticabil-mente, con me appassionatissimo, sinceramente amò e salì con animo di poeta. Egli aveva solo ventott' anni quandi salì più in alto delle estreme vette. Ti spiace se lo accosto a noi, per un breve istante, e là sulla cima te lo presento con una stretta di mano ed un abbraccio, a farci trovare in tre, invece che in due? Se pur la nostra arrampicata non è stata fra le più ardue e le più avventurose, le più lunghe e le più arrischiate, epperciò le maggiormente degne, compiute sulla catena stessa, son così rare le cime innominate al giorno d' oggi che se non si coglie almeno un' occasione nella vita, si trascorre proprio senza realizzare nulla dei sogni. Il nuovo appellativo non implica deprecabili muta-menti toponomastici, bensì facilita come altri nel gruppo, individualizzazioni alpinistiche, mentre l' appellativo di Scarason viene pertanto conservato alla quota più alta. Lasciami ora dire per chiudere che, da incorreggibili sentimen-tali come siamo, è bello sapere di poter affardellare il sacco in un giorno di tristezza, quelli che immancabilmente ci da la pianura, e poter prendere il cammino quando saremo più vecchi, per una strada di fede che arranca ancora in salita, e poter trovare a salutare, quasi ad accompagnarci come persone care, da un canto e dall' altro della strada, cime amiche di carissimi amici. E del molto che ti devo ti ringrazio. Fraternamente.

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