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Con entusiasmo lungo la cresta

Da metà giugno, Daniel Marbacher dirige il segretariato centrale del CAS

A spingerlo ad aderire al CAS è stata la passione per la montagna e il suo sport, afferma Daniel Marbacher: «Per me, quella di guidare e rappresentare il CAS nel futuro assieme al comitato centrale e al segretariato è una professione da sogno.» Marbacher è d’altro canto consapevole che le esigenze dei soci del CAS sono tutt’altro che omogenee e che, in relazione a determinate tematiche, vi possono essere delle tensioni anche considerevoli. Andreas Minder gli ha sottoposto alcuni aspetti contraddittori.

Minder: Le montagne: santuario o attrezzo sportivo?

Marbacher: Per me sono entrambe le cose. In tale ambito, ognuno dovrebbe poter seguire le proprie esigenze. Chi sull’Eiger volesse meditare lo deve poter fare. Chi ne volesse scalare la ­parete nord alla massima velocità non ha che da farlo. Entrambi gli aspetti devono poter convivere, non essere in opposizione.

Cosa rappresenta meglio lo sport della montagna: il rischio o la ­sicurezza?

Una cosa che mi disturba è che spesso l’idea di rischio assuma una connotazione negativa. Correre consapevolmente un rischio maggiore e osare un’avventura può rivelarsi estremamente soddisfacente e dar luogo a momenti di gioia. Ci permette esperienze che altrimenti non vivremmo mai. Sono convinto che agli alpinisti che assumono consapevolmente dei rischi possa accadere ben poco. Sono estremamente concentrati e si comportano con grande abilità. La gran parte degli incidenti accade in gite facili, a persone che non sono consapevoli dei rischi. Qui, il CAS deve intervenire, infor­mare, sensibilizzare e formare affinché la gente impari a riconoscerli.

Il CAS deve proteggere la ­montagna o servirsene?

Quella di far convergere le aspettative delle regioni di montagna e delle città è una grande sfida. Ma poiché io stesso incarno queste contraddizioni – sono cresciuto in campagna, sono guida di montagna, ma ora abito in città – cerco di gettare dei ponti. La cosa ­importante è potersi sedere assieme allo stesso tavolo. Vorrei poter indurre le persone a sviluppare comprensione per chi sta loro di fronte. Per me, sarebbe importante che trovassimo delle soluzioni all’interno del CAS, e vedo l’alfa e ­l’omega di tutto questo nella comunicazione interna.

Il CAS dovrebbe impegnarsi per il libero accesso o per zone ­protette?

Per me, questa non è una contraddi­zione. Come guida e frequentatore ­della montagna, il libero accesso mi sta a cuore. Se la totalità delle Alpi fosse un parco nazionale, non potremmo più dar sfogo alla nostra passione. Spesso fa­tico a concepire delle zone protette in alta montagna, poiché lassù la pressione è poco marcata. Se tuttavia vi sono motivi validi e comprensibili per una zona protetta, non mi ci oppongo. ­L’integrità della montagna mi sta a cuore e la pressione sul paesaggio aumenta. Fondamentalmente più sensate delle zone protette mi sembrano però le regole di comportamento. Il CAS deve sensibilizzare e motivare i suoi soci a un comportamento rispettoso nei confronti della natura.

Sudore o rotori: cosa preferisci?

Personalmente rinuncio all’elisci, perché compiere la salita è per me una grande soddisfazione. E sono piuttosto scettico per quanto concerne ulteriori zone di atterraggio, anche in zone protette. Tuttavia, un divieto generale di volo non porterebbe a nulla. Una possibile soluzione potrebbe essere la proposta di compromesso con limitazioni temporali e stagionali come quella elaborata per la regione di Zermatt. Purtroppo, però, l’Ufficio federale dell’aviazione civile non l’ha accolta.

Con chi sta il CAS: dighe o ­paesaggi non edificati?

Se intendiamo spegnere le nostre centrali atomiche, abbiamo bisogno di nuove fonti energetiche. Sono piuttosto critico nei confronti degli impianti eolici: il plusvalore energetico è troppo piccolo a fronte di quanto viene pregiudicato il paesaggio. Secondo me, in ­primo piano sta l’idroelettrico. Le centrali idroelettriche esistenti vanno rimodernate per produrre più energia. E neppure escludo nuove centrali, che dovranno tuttavia offrire un contri­buto considerevole alla svolta energetica. Personalmente trovo il progetto della KWO per il Trift un ottimo esempio in questo senso.

Cosa è più importante: lo sport di massa o quello di élite?

Nel CAS devono trovare posto entrambi. Lo sport di massa rappresenta la base del CAS, e in esso vanno ­incentrate le attività. Lo sport d’élite è però importante soprattutto per i più giovani, e può anche essere un mezzo per portarli al CAS. Ad esempio, può darsi che un giovane cominci con lo sport agonistico e, con l’avanzare dell’età, si dedichi sempre più allo sport di massa – il tutto in seno al CAS.

Il CAS deve crescere o ridursi?

Il CAS non deve crescere per forza. Più grande non significa migliore. Trovo tuttavia importante che il maggior numero possibile di coloro che vanno in montagna siano anche soci del CAS. Allora potremo coinvolgerli nelle nostre tematiche. Poi si tratta anche di disporre di una voce forte per gli interessi di chi va in montagna. Il CAS è una delle più grandi associazioni sportive della Svizzera, ma non è percepito come tale. È una situazione che vorrei cambiare.

Daniel Marbacher di persona

Il nuovo segretario generale del CAS ha ­iniziato la sua carriera professionale con un apprendistato come calzolaio e proseguito la sua formazione in Giappone. Ha quindi recu­perato il liceo e studiato geografia, storia e geologia. Nel 2003 ha ottenuto il brevetto di guida alpina e nel 2013 un CAS in economia aziendale. Oggi 44enne, ha lavorato come ­responsabile di progetto e specialista in pericoli naturali per aziende del Canton Berna, terminando come responsabile del settore ambiente per le centrali idrauliche della BKW. Parallelamente, è stato fino al 2016 com­proprietario della scuola di montagna Bergpunkt e attivo come guida alpina.

È socio del CAS dal 1992, impegnato nella sezione Entlebuch come monitore, capogita e vicepresidente. Sciescursionismo, alta mon­tagna e arrampicata sono le sue discipline preferite. Oggi, il ghiacciolo attrae un po’ meno. Marbacher trova liberatorio il clean climbing, poiché gli permette di arrampicare dove vuole e non deve seguire dei chiodi. Meno va in montagna, più ha bisogno di sole. Perciò lo si incontra sempre più spesso sulle piste con i suoi tre figli piccoli, non di rado con gli sci da telemark.

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