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Dal battello alla montagna Escursioni costiere sul Lago Maggiore

Sul Lago Maggiore, rigoglio subtropicale e montagna aspra si coniugano in un’avvincente unione che già Hermann Hesse sapeva appezzare.

«Quando rivedo questa regione benedetta a sud delle Alpi, ho l’impressione di tornarmene a casa da un esilio, come se infine mi trovassi di nuovo dalla parte giusta della montagna.» Così è citato Hermann Hesse nel sito internet di Carona Turismo: «Qui il sole splende internamente, e le montagne sono più rosse; qui crescono castagne e vino, mandorle e fichi…» In totale, Hesse visse e lavorò in Ticino per oltre quarant’anni, all’inizio spesso a Carona.

E anche se il suo Ticino non è più quello odierno, il calore e l’estate continuano a perdurare con forza nell’aria anche in autunno. Solo pochi metri separano la stazione di Locarno dal lago, nel quale si riflette il blu d’acciaio del cielo. I palmizi sussurrano nella brezza, la passeggiata lungo la riva è immersa in un tripudio di colori autunnali. L’atmosfera serena che già aveva attratto Hesse in Ticino si trasferisce istantaneamente in noi.

 

La forza dei grumi rocciosi

Le onde battono sulla prua, il vento è sul naso. Il battello attracca a San Nazzaro. Sono in pochi a scendere. Il Gambarogno, la riva orientale ticinese, è turisticamente inviolato. Dei cartelli indicano la via per l’antico sentiero di Vairano, e facilitano l’orientamento verso i «grumi rocciosi» del Sasso di Grumo, o Sass da Grüm, come suona in dialetto. Se gli effetti della roccia fossero già stati conosciuti al tempo di Hesse, di certo lo scrittore si sarebbe ritemprato qui, invece che a Carona. Ma per scoprire come stavano le cose dovevano arrivare i Mettler. «Sono accadute cose meravigliose, quando negli anni Ottanta abbiamo acquistato la proprietà», racconta Verena Mettler: «Non solo i dolori alla schiena di mio marito sono spariti, anche gli amici sono rifioriti. Questa o quella lamentela costante, come emicranie o eczemi, erano improvvisamente guariti.» I Mettler indagarono, appresero che il loro predecessore era guarito dalla gotta e commissionarono perizie. Ne venne fuori una quantità straordinariamente alta di irradiazioni, con oltre 40 000 unità Bovis (dal nome del fisico francese Alfred Bovis, che elaborò un sistema di misura delle energie sottili), cioè sei volte i valori medi. Neppure Lourdes reggeva il confronto. Qui dovrebbe sorgere una cappella, proposero gli esperti. Ma i Mett­ler avevano un’altra visione. Ottennero un’autorizzazione speciale per la costruzione di un piccolo albergo, un’eccezione assoluta per un terreno classificato zona verde.

Se poi a infondere quella sensazione di equilibrio sia l’ampia vista sul lago, la quiete e la solitudine del luogo oppure appunto, come molti credono, l’irraggiamento terrestre, è meglio che ognuno lo scopra da sé.

 

Ai Cento Campi

Ricaricate le batterie, imbocchiamo tranquillamente la salita per i Monti di Vairano, da dove il percorso continua in quota. Si tratta dell’antichissima via di comunicazione tra i maggesi. È il maggio a dare il nome a questi alpi, quando il bestiame veniva mandato al pascolo per l’estate. La maggior parte di essi ha perso da tempo la propria funzione contadina e le baite sono oggi utilizzate da vacanzieri o pensionati. Le casupole in pietra sono state tramutate in graziosi rustici; al mattino si issa la bandiera svizzera e nei fine settimana ci si gode la quiete e la vista sul lago.

Sui Monti di Caviano mucche sfacciate si avvicinano quatte quatte cercando di spilluzzicare il picnic. Maggiore sicurezza è offerta dal tavolo allestito in una vecchia stalla dell’alpeggio restaurata con un tetto di paglia. Una superstite della storia edilizia ticinese. «Un tempo qui era consuetudine ricoprire i tetti con fasci di paglia di segale», racconta Walter Keller, l’ultimo contadino di Caviano a preservare l’alpe dall’abbandono con il suo bestiame. Che approfitta pure di un patto con il diavolo: un campanaro – così la leggenda – avrebbe infatti scommesso con il diavolo che neppure lui sarebbe stato in grado di arare in una notte tutti i ripidi pendii dei Monti di Caviano. Spronato dalla scommessa, il diavolo la vinse – e i contadini occuparono i nuovi campi. Da allora, le innumerevoli terrazze sono dette i Cento Campi. Quella di quassù, addirittura senza collegamenti stradali, non è una vita facile. Ma forse è più pacifica.

 

L’occhiolino al lago

500 metri più in alto, l’Alpe Caviano non vede bestiame ormai dagli anni Cinquanta. Gli arbusti hanno conquistato il terreno un tempo faticosamente pulito e gli edifici sono crollati. Nel 1996, gli amici della montagna del Gambarogno hanno trasformato le vecchie stalle in un ospizio unico. Per fortuna! Per rivolgersi agli escursionisti autonomi, il Rifugio Alpetto di Caviano, che si raggiunge dopo una sudatissima salita, è puro lusso: birra, vino, bevande, legna per il fuoco, fornello a gas, morbidi piumoni nel dormitorio – c’è tutto, compresi la doccia e l’orto. Con una grandiosa vista a precipizio sul lago e il Monte Rosa che fa capolino nonostante la foschia.

Deposto l’obolo nella cassa, chiuse nuovamente porte e finestre, accompagnati dal concerto mattutino degli uccelli ci incamminiamo verso la vetta. Il Monte Covreto e il Monte Paglione attendono lassù. Anche i cinghiali amano passeggiare in quest’ora antelucana. L’erba fresca di rugiada emana profumi attraenti e sopra si estende un cielo azzurro raggiante. Pur pieni di slancio è bello attardarsi, gingillarsi, ascoltare gli uccelli. Gli occhi si fermano sui dettagli, rallentano il passo. Ci si vorrebbe sdraiare nell’erba e, come Hesse, tramutarsi in giganti: «Allora giacerei con la testa vicina alla neve di un alpeggio, tra le capre, e le dita dei piedi sguazzerebbero nelle profondità del lago. Così giacerei, senza alzarmi mai più. Tra le mie dita crescerebbero arbusti, nei miei capelli rose alpine; le mie ginocchia sarebbero promontori, sul mio corpo spunterebbero vigneti, case e cappelle. Così giaccio diecimila anni, l’occhiolino al cielo, l’occhiolino al lago. Quando starnuto si scatena un temporale. Se ci alito sopra, la neve fonde e le cascate danzano.»

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