Dall’altra parte del confine | Club Alpino Svizzero CAS
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Dall’altra parte del confine Un periplo alpino all’italiana Alpe Veglia

Chi guarda oltre conosce di più. Lo dimostra anche questa escursione alpina che, dalla strada del passo del Sempione in due giorni porta, attraverso passi solitari, all’italiana Alpe Veglia e ritorno.

Il vento soffia freddo sulla Furggubäumlicke. Talmente freddo che la brina riveste di bianchi coralli i massi attorno a noi. La nostra idea era quella di sostarci, su questo passo. Ma finiamo per fermarci solo un momento, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. A nord, vediamo la valle del Rodano e il Bietschhorn, a sud il Monte Leone e il mare di vette italiane; individuiamo il cartello indicatore svizzero, giallo da una parte del passo e una targa metallica verde su un masso dall’altra: è la Regione Piemonte che ci dà il benvenuto nel «Parco Naturale Alpe Veglia».

Siamo esattamente sul confine nazionale. Facciamo qualche passo avanti e indietro, oscillando tra Svizzera e Italia, quindi decidiamo di fuggire al più presto dal vento da nord e iniziamo la discesa nel versante italiano, lasciandoci alle spalle la Furggubäumlicke – o meglio, ora, la Forca d’Aurona. Seguiamo tracce di sentiero tra detriti e pendii erbosi, mentre con i suoi fianchi rocciosi e i suoi ghiacciai il Monte Leone incombe sempre più maestoso davanti a noi.

Un po’ di fastidio

L’idea di questa gita era tra l’altro nata proprio ai piedi di questa montagna, sul versante svizzero. Più precisamente alla Monte-Leone-Hütte del CAS, nei cui locali invernali alcuni mesi prima avevamo incontrato un gruppo di sciescursionisti francesi, che durante la cena ci chiesero, considerandoci quasi indigeni, delle informazioni sulla discesa in direzione dell’Alpe Veglia. Al che, lì per lì un po’ stupiti, alzammo le spalle e rispondemmo: «Nessuna idea. Quell’alpe sta in Italia.» Un’informazione davvero sciocca da parte nostra, ripensando alla quale provammo un certo fastidio per diversi giorni. E decidemmo infine di andare a esplorare quella terra incognita al di là del versante elvetico del Sempione.

Per cui eccoci qui, in questa fredda giornata d’agosto, a varcare la Forca d’Aurona in direzione dell’Alpe Veglia, un altopiano che ben presto emerge sotto di noi. Circoscritto da boschi, appare come un luminoso lago verde, nel quale i bianchi edifici e le case dell’alpeggio galleggiano come piccole barchette. A dargli forma furono le possenti masse di ghiaccio del Ghiacciaio del Leone e del Ghiacciaio d’Aurona durante l’ultima glaciazione delle Alpi.

Pietraie ben note

Oggi, tuttavia, di ere glaciali e di ghiacciai sull’Alpe Veglia non v’è più traccia. Anzi! Mentre nel sole del pomeriggio percorriamo la verde pianura, l’impressione che ci prende è quella di essere entrati in una fiaba: due asini sonnecchiano fuori da una stalla, le galline razzolano nell’erba e l’acqua di uno stagno si lascia increspare dal vento. Un vento che ora ci accarezza con dolcezza, tanto che poco dopo ci ritroviamo seduti in maglietta su una panca dell’albergo La Fonte, la schiena appoggiata alla parete sbiancata a calce e i piedi nudi sulle calde beole della terrazza.

«È qui, allora», penso, in questo luogo che fino a ieri altro non era che «estero» nella nostra carta nazionale. E più tardi, dopo la cena piemontese – gnocchi all’ossolana, spezzatino e caffè – ci saremmo attardati ancora a lungo a vagare, dall’altra parte del confine.

Ma il giorno successivo avvicina ormai la fine del week-end, e noi imbocchiamo la via del ritorno. Torniamo a salire lungo i ripidi versanti erbosi e le zone detritiche, ci arrampichiamo su massi rocciosi e ci afferriamo a corde fisse. Fino a raggiungere la Forca del Rebbio – o Brotellicke, una volta superato di nuovo il confine – dove subito ritroviamo un pezzo di patria: un cartello indicatore giallo e le marcature bianco-rosso-bianco, che seguiamo scendendo a valle. Attraverso ben note pietraie e pascoli alpini svizzeri, fino alle Bortelhütten e oltre, per i boschi di ontano fino alla fermata dell’autopostale di Berisal.

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