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Del paradosso di essere prima

Ho sempre voluto di più: più bicipiti, più resistenza, più tensione. Così, poi, avrei potuto arrampicare vie più difficili. Gli anni lo hanno dimostrato: a ottenere una massa muscolare maggiore non ce l’avrei proprio fatta. E rimanevo ciò nonostante quasi altrettanto brava, dentro una buona media.

Arrampicare è così grandioso proprio perché ci vuole ben più dei muscoli. Prese, idee, tecnica, volontà, buon caffè, il momento giusto, esperienza, meglio se molta.

Nina Caprez lo ha nuovamente dimostrato la scorsa estate: è stata la seconda persona a riuscire nella ripetizione di Unendliche Geschichte nel Rätikon, a dieci anni dalla sua prima ripetizione. Alcuni ancora si mordono le dita per quelle 12 lunghezze, senza successo. Erano psichicamente troppo impegnative e tecnicamente troppo complesse.

La stampa ha giubilato: la prima femminile! Nina Caprez si è difesa contro il titolo nel suo blog: «Ai miei occhi non ci sono differenze tra uomini e donne, in particolare proprio nelle pareti diritte e tecniche del Rätikon. Esiste un’unica differenza importante, e separa la prima dalle ripetizioni. In queste ultime si ha il vantaggio di sapere già che la via è percorribile.»

Chiaro, no?

Eppure, eccola aleggiare ovunque, la prima femminile, ormai diventata FFA, First Female Ascent. Mi sono chiesta: a che scopo? Si tratterebbe di una specie di incoraggiamento al sesso «debole» da parte della comunità alpinistica eminentemente maschile? Qualche forma di premio di consolazione? Oppure sono le donne stesse, a volersi attribuire la loro fetta di fama?

Nel 2015, l’arrampicatrice d’élite americana Sasha ­DiGiulian ha fatto man bassa di FFA. E da buona affarista quale è, ha trasformato immantinente quei «riconoscimenti» in denaro sonante presso gli sponsor. Per la DiGiulian le cose sono chiare: FFA significa avanzamento in carriera. Paradossalmente, per lei questo è vero. D’altro canto, vi sono alcune donne che, quando una loro prestazione viene bollata come «prima femminile», si ribellano. Per loro, una FFA è zavorra – e a mio avviso hanno ragione. Essere la prima donna a percorrere una via suscita attenzione, che oggi vale contante. Ma è tutt’altro che lungimirante: la dicitura FFA riduce la prestazione a una questione di genere e, in fin dei conti, alla mera difficoltà. Mentre arrampicare è ben altro che questo. E la cosa fantastica continua a essere, che nella sua pratica, di fronte a un determinato problema ognuna e ognuno deve trovare una soluzione propria, unica, adeguata alle sue capacità e possibilità. E questo è davvero raro, nelle altre forme di sport.

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