Fiamme di pietra in un fiume di ghiaccio | Club Alpino Svizzero CAS
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Fiamme di pietra in un fiume di ghiaccio Il Galenstock altrimenti

Attraverso una roccia quasi costantemente compatta, la Galengrat-Verschneidung permette di raggiungere la vetta del Galenstock. Per livello di difficoltà, questa grandiosa via si situa tra le arrampicate più difficili e le grandi e più facili classiche del granito della Furka.

«Come mai nessuno ci ha mai pensato prima di noi?» A 46 anni dalla sua prima della Galengrat-Verschneidung (nella guida anche «parete S del Galengrat»), lo svittese Hanspeter Geier ancora si stupisce della verginità tardiva di questo diedro peraltro così evidente. Partito nell’agosto del 1966 assieme a Dieter Kienast dalla strada del passo della Furka con l’intento di salire una via difficile sul Gross Bielenhorn, i due devono rinunciare ancor prima di averne sfiorato la roccia: la neve rende troppo delicato l’accesso. Durante l’avvicinamento, i due scalatori hanno avuto modo di lasciar errare lo sguardo sulla successione di pareti che racchiudono il Sidelengletscher. Abituati ad aprire nuovi itinerari, ritengono di distinguere una linea chiara che scende dal P. 3252 sul Galengrat: «Probabilmente è stata ignorata fino al nostro tentativo proprio perché non finiva su una vetta.» Oggi 73enne, dopo avere abbandonato nel 1977 l’arrampicata in favore del volo a vela, Hanspeter Geier conserva un ricordo chiaro di quella prima.

 

«Un diedro difficile da assicurare»

Sulle tracce di quei due apritori, li immaginiamo ancora mentre fanno cantare i loro chiodi nel granito della Furka. Una roccia impeccabile, di quelle di cui ti fidi quasi ad occhi chiusi. Anche se è molto meglio tenerli aperti, e saziarsi delle calde tonalità del granito locale. Qui, il fascino del mondo minerale contribuisce ancora alla felicità degli alpinisti. Fiamme di pietra che sorgono da un fiume di ghiaccio. Alla loro base, tuttavia, domina il grigio: durante il suo ritiro, la lingua del ghiacciaio ne ha messo a nudo nuovi strati non ancora ossidati. Il tempo, pittore capace, saprà rivelarne lo splendore conferendo alla roccia la sua patina arancio.

Oggi sono parecchie le cordate che seguono il tracciato ormai classico che porta al P. 3252: dei francesi, degli urani e dei romandi. Qualche spit qua e là facilita la progressione, ma alle imbragature di tutti sono appesi friend e dadi. Il primo tiro, forse il più serio, ripido, e a freddo un po’ difficoltoso, avrà probabilmente confortato gli alpinisti nella loro scelta di non alleggerirsi troppo a scapito della sicurezza. E ora come allora, la via è solo parsimoniosamente attrezzata con qualche spit.

Per quei primi salitori, assicurarsi era ad ogni modo ancora più complicato: chiodi e cunei di legno svolgevano allora il compito dei moderni spit e friend, che fecero la loro comparsa nel 1972. «Un diedro fantastico per l’arrampicata libera, ma difficile da assicurare», ricorda Hanspeter Geier.

 

Una variante elegante

Una volta raggiunto il diedro che dà il nome alla via, l’uscita dista ancora solo tre tiri. Ma quali tiri! Un finale da apoteosi. I gesti si susseguono naturalmente. A ogni sosta, lo scambio di sorrisi la dice lunga. Giunti sulla cresta del Galengrat, la via finisce. Alcuni la ripercorrono scendendo in corda doppia; quelli per cui la vetta è un must avranno appesantito lo zaino con scarponi pesanti e ramponi. Ad attenderli c’è la salita di un ghiacciaio indulgente che costeggia il Galengrat e quindi una cresta sommitale innevata.

Combinata all’arrampicata su roccia che la precede, questa conclusione rappresenta un modo estremamente elegante di raggiungere la vetta del Galenstock. Idealmente situato sul confine tra Uri e Vallese, questo punto panoramico permette di ammirare una miriade di cime ai quattro angoli delle Alpi svizzere. La limpidezza dell’aria lascia spaziare il nostro occhio dal Monte Bianco al Bernina. I giganti delle Alpi bernesi e vallesane si disputano il primato, mentre qua e là si ergono sulla massa le vette che dominano la Svizzera centrale e il Ticino. Una vera e propria lezione di geografia alpina. In simili momenti è difficile scendere dalla propria nuvola... Tanto più che, anche nei dintorni, lo spettacolo non è meno impressionante. La lingua del ghiacciaio del Rodano reca le stimmate di un’estate una volta ancora impietosa, e innumerevoli crepacci ne segnano la superficie. Le prime nevi conferiscono tuttavia una certa dolcezza allo scenario.

 

Più veloce grazie alle doppie

Al momento di pensare alla discesa, ecco risuonare nuovamente le parole di Hanspeter Geier: «Nel 1966, mia moglie ci aspettava in macchina lungo la strada della Furka. Una volta usciti dalla via, optammo per scendere sul versante vallesano lungo il Galengletscher, verso l’albergo Belvédère e il passo della Furka. Abbiamo raggiunto mia moglie solo verso mezzanotte.» Oggi questo lungo giro non è più necessario: delle linee di doppie riportano in terra urana lungo lo scosceso versante orientale del Galengrat. Sulla via del ritorno, il diedro scalato qualche ora prima non cessa di attirare il nostro sguardo.

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