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I Monti di Cari

Hinweis: Questo articolo è disponibile in un'unica lingua. In passato, gli annuari non venivano tradotti.

Di Giuseppe Ritter

Con 2 tavole ( 24, 25.Chiasso ) Forse non tutti i miei amici comprenderanno come un alpinista solitario, che di regola preferisce sfogarsi su monti poco noti, abbia ora ad occuparsi della contrada di Cari dove, soprattutto a Croce, si è costituita una colonia estiva alquanto mondana, composta d' una gioventù vispa e rumorosa.

Ma non è questo il Cari del quale intendo parlarvi oggi. Penso piuttosto a quelle vaste zone amene che si estendono da Cari-dentro al Pizzo Campello ed al Passo Predelp, accarezzate da un sole sorridente, avvolte da un silenzio profondo. Quel Cari abbandonato dagli uomini, come lo vidi il primo novembre 1948.

Non era quella la prima volta che salii lassù. Oh Dio, no! Vi salii quand' ero giovanotto innamorato, poi da giovane sposo, ed infine quando fui padre. Salü lassù col cuore strapieno di gioia e di felicità, e vi salii anche da uomo stanco, deluso, disgustato. Potrei quindi dire che le salite ai monti di Cari sono il caleidoscopio della mia esistenza.

Il primo novembre 1948 però non salii solo. Un essere piccino, coi pieducci in scarponi quasi troppo pesanti, mi seguì a debita distanza. Un essere che, pur essendo parte di me, era diverso da me. Era mio figlio coi suoi dieci anni. Il suo sguardo non giunse ancora fino ali' orizzonte lontano, ma fu costantemente attratto dalle piccole cose sparse lungo il sentierino: una ragnatela magari, sulla quale brillavano come gioielli le gocciole di rugiada. Per lui la montagna era ancora una somma fatica. Di tanto in tanto si udiva una vo-cetta: — Papa, aspettami!

Infine raggiungemmo il ridente ripiano ( accumulo di morena ) di Carì-dentro, con le sue baite di rustica grazia. Ci sedemmo al sole ancora assai caldo. Consumando parte delle nostre cibarie scrutammo quel formidabile panorama che si estende dal Pizzo Mezzogiorno fino al Poncione Mezzodì. Facemmo anche di più. Affascinati dal volto tempestato della vasta contrada, leggemmo anche un pò nel grande libro della geomorfologia. Pochi posti, in tutta la Leventina, si prestano a tale uopo come Cari-dentro. Dai più remoti cataclismi ai più recenti scoscendimenti, si vedono da questa cattedra tutte le fasi geologiche che contribuirono alla formazione dell' odierno aspetto tettonico.

Dapprima, tanto per iniziare l' interpretazione dei fenomeni naturali, seguimmo il percorso della Piumogna, rilevando come essa, irrompendo verso Dalpe e Faido, abbandonò in un tempo non troppo lontano il suo letto primitivo che sbucò poi nella conca di Gribbio.

Da questo esempio tipico di corrosione fluviale e conseguente genesi d' un nuovo percorso vallivo, fummo indotti a ricostruire le fasi morfogenetiche della Leventina in generale.Voltando gli occhi a destra scorgemmo la larga spianata di Chierra che servì di base per la definizione dei diversi periodi di sovraescavazione. Orbene, quel ripiano che molti vedono e solo pochi sanno spiegare, appartenne all' antico solco vallivo del Pettanetto.

Molto più facilmente si afferra l' antico fondo vallivo di Bedretto coi terrazzi oltremodo chiari di Cadonigo, Chesso, Olina, Doro e Osadigo. Già diecine di anni fa, molto prima di conoscere i lavori e le teorie di Lautensack e Sölch, ritenni quella serie di terrazzi gli avanzi di una valle scomparsa, sfondata.

Meno visibile, sempre guardando da Cari-dentro, è la serie di terrazzi che compose il solco vallivo di Sobrio. Si notano però i ripiani di Giof, Dalpe e Raslumo ( a destra ) e di Osco, Calpiogna, Rossura e Tengia ( a sinistra ).

Considerazioni intorno ai problemi orogenetici svegliano quelle enormi macchie bianche prodotte da denudazioni del banco di dolomia saccaroide che si estende dai Passi di Campolungo e Cadonighino alla Valle Piumogna. Sono fenomeni questi che interessano anche gli osservatori apatici ed i profani perchè, come s' usa dire, saltano agli occhi. In quegli strati calcari si trovano le vestigie marine, i fossili dei molluschi che vissero negli oceani di epoche sperdute neh " immenso passato.

Da questi segni evidentissimi lo spirito indagatore si azzarda a ricostruire l' origine delle altre masse rocciose dalla più svariata tessitura e dalle più disparate età. Infatti, l' aggrovigliata architettura del massiccio montagnoso intorno al Campo Tencia, con le valli di variatissimo carattere, alcune nude, selvagge e recinte di frane, desta il più vivo desiderio di veder spiegato i punti cardinali del problema orogenetico, di conoscere il carreggiamento degli strati rocciosi e della falde di ricoprimento.

Preda di quel grande stupore che s' impossessa dell' uomo quando silenziosamente lascia girovagare la possente fantasia attraverso le epoche geologiche, noi sedemmo lassù a lungo. Forse il marmocchio, seduto alla mia destra, non risentì le stesse cose. Indubbiamente, guardando sull' ameno ripiano di Dalpe-Cornone, avrà sognato di quel boscaiolo che la gente di quella plaga vuol vedere nei segni bui della luna e che, in tempi remoti, avrebbe vissuto da selvaggio nei vasti boschi che si estendono verso Crozlina.

Terminata la più che modesta refezione, salimmo al laghetto. Sorpas-sammo gli ultimi pini solitari al margine delle abetaie e che, tempestati e storpiati dai venti e dalle intemperie, impressionano il viandante con le loro gibbosità deformi.

I dintorni del laghetto erano coperti da uno strato di neve freschissima. E mentre cercavo la posizione migliore per inquadrare a perfezione questa visione di divina bellezza nella mia macchina fotografica, il marmocchio si divertiva a gettare palle di neve nello specchio lucido, formato dalla superficie immobile del laghetto. L' anima del ragazzo, ancora serena, non lesa ed alterata da impressioni sporche e losche, era talmente affine alla bellezza di quel cielo azzurro e di quelle montagne bianche, ch' egli non potè scorgere gradualità alcuna. Indubbiamente le visioni abbaglianti impressionano solo chi esce dall' ombra d' una vita essenzialmente tragica e chi — avvilito ed umiliato dai colpi gratuiti d' una dura sorte — non ha più sperato d' incontrare sì tanta bellezza, luce ed armonia.

Quando distolsi il birichino dai suoi giuochi per fargli dare un colpo d' occhio a tanta magnificenza, lo feci con la viva speranza che l' impressione ricevuta resti fissa durevolmente nelle profondità del suo animo. Cosicchè quando, dopo anni ed anni anch' egli avrebbe vissuto la sua crisi d' esistenza, queste belle visioni, risorgendo dalle sfere inconsce, abbiano ad aiutarlo a sormontare i momenti difficili, a riacquistare la fiducia in Dio e negli uomini, a trasformare la rinuncia in promessa. Ormai, nessun padre può preservare il suo figliuolo dalla sofferenza, dal dolore e dalla delusione. Ma quello che può fare è procurargli una buona scorta di bei ricordi composti di montagne soleggiate, boschi ombrosi e prati fioriti. È ciò che vale molto di più di un sacco di soldi e di tutte le altre ricchezze di questo mondo.

Quando scendemmo in valle, il sole stava tramontando dietro al Campo Tencia. A poco a poco la policromia del paesaggio s' infoscò e s' imbrunì fino ad arrivare ad una specie di monocromia ossessionante. Cominciò la notte di novembre, chiara e fredda, ostile alla vita. Ed i monti di Carì che noi lasciammo lassù, videro fondersi il ritmo delle ventiquattro ore col grande ritmo delle epoche geologiche, che noi — esseri di breve esistenza — non afferreremo mai.

Però, anche non potendo afferrare con la ragione il ritmo dell' eternità, qualcosa in noi percepisce ugualmente il fiato del destino cosmico, perchè — come disse Giordano Bruno:

« L' uno, l' infinito, lo ente e quello che è in tutto, e per tutto anzo è l' estesso Ubique.

È che così la infinita dimensione per non essere magnitudine coincide coll' individuo. Come la infinita multitudine, per non essere numero, coincide coll' unità. »

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