Il Monte Rosa al dente Menù italiano a 4000 metri
«Antipasti sorpresa del Breithorn alla maniera di Castore e Polluce
Pasta del Liskamm con salsa alle Tre Vette
Filetto di Punta Parrot con contorni
Dolce ghiacciato alle scorze di Punta Zumstein»
A prima vista il menù è troppo abbondante: dieci cime di oltre 4000 metri, forse 11, in queste cinque brevi giornate nel cuore del massiccio del Monte Rosa. Di che allettare più di un gastronomo: Breithorn, Castor – e Pollux, per chi è in forma. Naso del Liskamm, Piramide Vincent, Cristo delle Vette, Corno Nero. Qualcuno ha l’acquolina all’idea di gustarsi della vera pasta all’italiana? Se non avete ancora ceduto alla tentazione, la portata successiva dovrebbe convincervi definitivamente: Ludwigshöhe, Punta Parrot, Signalkuppe – anche Punta Gnifetti con il Rifugio Regina Margherita. Infine, la Punta Zumstein, o Zumsteinspitze: è il momento del dessert. A queste altezze a cavallo del confine italo-svizzero le leccornie associano dolce e salato in una sottile miscela di italiano e tedesco. Ma non è che gli occhi siano più grandi della pancia?
Quando alla fine il piatto l’abbiamo davanti, tutto sembra più ragionevole. Verrebbe persino da chiedere un supplemento. È vero che, come aperitivo, la teleferica del Klein Matterhorn, il Piccolo Cervino, ci ha portati a oltre 3800 metri di altitudine: un po’ leggero, come amuse-bouche! Con il bel tempo, tutto appare facile: una buona traccia, molta gente. Viene voglia di correre. Ma attenzione all’indigestione! In Italia, il minestrone è abbondante, e non si sale tanto in alto a grande velocità senza rischiare la frittata!
Diamo perciò un’occhiata al libro di cucina, giusto per scorrere una ricetta che conosce un successo ormai pluridecennale. Dal 1979, più precisamente, l’anno della costruzione della teleferica. «Quando gli spaghetti erano ancora al dente», commenterebbe qualche nostalgico. E di rimpiangere il tempo passato vedendo che, sul versante italiano, gli impianti di risalita raggiungono anch’essi i 3000 metri. Fino ai piedi del Rifugio Città di Mantova, un famoso rifugio interamente ristrutturato. Qui si servono ancora dei piatti. Quelli veri, quasi con il logo. E la pasta è sempre al dente.
Il segreto della nostra ricetta si cela nei rifugi, tutti situati tra i 3425 e i 4559 metri di altitudine. Non mollate il cucchiaio: avete letto bene! Uno di questi, il Rifugio Regina Margherita CAI (4559 m), è la più alta capanna custodita delle Alpi, appollaiato su una falesia alta più di 2000 metri. Abbastanza da dare le vertigini o, con cattivo tempo, piuttosto il mal di mare – pardon, quello di montagna!...
Ogni gastronomo che si rispetti sa che un buon pasto si prepara con cura. Qui, questo si chiama «acclimatazione alla quota», preferibilmente prima di partire. Qui si flirta con il limite dei 4000 metri. Un po’ di insensatezza, un ritmo di marcia troppo sostenuto e l’edema attende alla prossima svolta! Bisognerebbe sostare in alta montagna, prima dell’escursione, anche per un breve momento. Dormire almeno a Zermatt la vigilia della partenza e non rientrare dalle Baleari la settimana precedente. Altrimenti, l’ottimo Barolo che accompagna il nostro pasto potrebbe girarsi in aceto.
Quasi ogni giorno si scende a «bassa quota» a mezzogiorno. Al rifugio, per degustarvi un minestrone e un abbondante piatto di pasta. Pensione completa con zaino e stomaco quasi leggeri. Se ne vedono anche alcuni che rinunciano persino alla corda. Ma diffidate! A volte il diavolo si cela nei contorni, sottoforma di perfidi crepacci dissimulati sotto la traccia, proprio nel senso di marcia. Il pasto potrebbe allora trasformarsi in indigestione terminale. Meglio quindi prevedere tutti gli ingredienti necessari e farci accompagnare da un cuoco. Scusate: una guida o un alpinista esperto. Con il passo lento apprezzeremo meglio le creste aeree che si disegnano nell’azzurro profondo del cielo e, alla sosta, degusteremo il nostro picnic su un belvedere che svela una successione infinita di orizzonti. Quando fa davvero bello, la vista spazia fino al Monte Bianco, al Gran Paradiso e al Bernina. E se l’azzurro dovesse tingersi di riso al latte, o la nebbia facesse la sua comparsa altrove che nella nostra testa – i buoni pasti possono lasciare delle tracce – scopriremmo il vero valore del capo cordata.
Appoggiati al parapetto del Rifugio Regina Margherita, contempliamo la danza delle nubi che vengono e vanno. Ci si direbbe in riva al mare. Lembi di foschia scherzano con le sensazioni. Tinte di porpora all’ora di cena. L’alone luminoso di Milano nel cuore della notte, sotto le stelle. Ore blu intenso prima di quella della colazione. Il tutto, senza mal di testa! E ad ogni modo, che importanza avrebbe una notte in bianco in contrade altrettanto celesti? L’ultimo giorno, l’immersione verso Zermatt si svolge timidamente e maestosamente ai piedi delle pareti nord delle cime della Liskamm, i cui seracchi minacciosi hanno valso loro il nome di «orchi divoratori di uomini». Crampi allo stomaco? Forse è appetito… prima della fine. La terrazza della Monte Rosa Hütte saprà rimetterci completamente a nuovo: ottimi rösti, tanto per marcare il ritorno nell’Alto Vallese.