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L’oro bianco dell’Asia centrale Esplorazioni sugli sci e incontri in Kirghisia

Le montagne ricoprono la quasi totalità del Kirghizistan. wPercorrerne i massicci con gli sci significa anche confrontarsi con la realtà di una popolazione che lotta per uscire dalla crisi.

La dolce luce primaverile d’alta quota che rivela le asperità del rilievo non è una ricompensa da poco per gli amanti delle escursioni con gli sci. Sulle rive del fiume Suusamyr, lasciare la yurta variopinta prima dell’alba rappresenta ogni mattino un appuntamento con lei. Immaginato tra le curve di una carta a scala ridotta, intuito la vigilia attraverso il binocolo da una vetta precedente, un nuovo itinerario si rivela all’occhio dalla strada internazionale che conduce a Bishkek, la capitale.

Nel quinto giorno di esplorazione tra queste «medie montagne» kirghise, durante i quali abbiamo inanellato vette comprese tra i 3500 e i 3800 metri, ora, nella salita al passo Alabel, la luce gioca a nascondino. Questo passo stradale, situato a 3169 metri è aperto tutto l’anno nonostante le tempeste di neve che si possono scatenare a queste quote. Ma quando sfugge all’ultima nube aggrappata alla linea della cresta, la luce kirghisa pervade le tracce gioiose che segnano una polvere spessa 30 centimetri.

Uscire dal caos postsovietico

La strada che scende sull’altro versante del passo Alabel porta da una signora che possiede la chiave di questo viaggio: Ilatbu Saratova. In un abito assolutamente tradizionale, e in un francese tra i più severi, questa matura kirghisa esibisce le palme accademiche ricevute per i servizi resi alla lingua. Professoressa di francese, la signora Saratova ha trasmesso la sua passione per la lingua di Molière a numerose generazioni di allievi di Toktogoul, una cittadina la cui relativa prosperità è dovuta alla presenza di vasti impianti idroelettrici, alcuni dei quali fanno oggi scoprire il Kirghizistan ai viaggiatori francofoni.

Mentre molti suoi compatrioti lasciavano definitivamente il paese alla ricerca di un lavoro, suo figlio Kalinour è andato a studiare turismo in Francia per tornare a casa e aiutare il suo paese a uscire dal caos postsovietico. «Il turismo rappresenta un’ottima opportunità di lavoro scoprendo in profondità le montagne e i loro abitanti», afferma Kalinour Saratov. «Percorrendo il mio paese, vedo quale direzione sta prendendo.»

Radici affondate nelle montagne

Nel corso degli anni 1990, la popolazione kirghisa ha sofferto la predazione delle risorse del paese. Mentre negli anni Ottanta nell’insieme delle sue montagne si contavano ancora più di 12 milioni di abitanti, al volgere del secolo questo numero si era ridotto a meno di tre milioni. Un ritmo ancora più rapido ha accompagnato la successiva chiusura delle fabbriche, dando avvio all’espatrio delle forze attive. La sola classe sociale a non aver subito un improvviso declassamento è quella dei bottegai, nuovi araldi di un’economia dei bazar che allontana un po’ più i kirghisi dalle loro radici.

«È difficile immaginare la vita dei kirghisi senza le montagne», spiega Kalinour. «Viviamo da nomadi da oltre 20 secoli, con l’allevamento quale principale fonte di sostentamento. Già prima dell’islam le montagne erano strettamente associate al tengrismo, la religione dei nomadi. Le rocce, i ghiacciai, i laghi, i fiumi: tutto questo tocca direttamente i nomadi, ne influenza il modo di vivere, la cultura e i costumi. Le tradizioni orali, le leggende, i romanzi kirghisi sono tutti quanti associati alle montagne.» La collettivizzazione e l’allevamento intensivo nelle immense fattorie statali avevano fatto sparire il tradizionale mestiere del pastore, che è rinato tra non poche difficoltà dopo il saccheggio dei beni comuni degli anni 1990.

Il turismo per uscire dalla crisi

I Saratov hanno trasformato la dimora di famiglia in pensione e vede nel turismo un rimedio a questa crisi profonda. «Il turismo delle escursioni svolge già un ruolo nello sviluppo delle regioni d’alta quota, e permette di creare nuovi impieghi: alloggi, guide di montagna, portatori, someggiatori, eccetera.» Questo sviluppo è stato assistito da numerose organizzazioni non governative occidentali e locali. Ilatbu Saratova ne ha istituito una propria, battezzata Jash-Muun (nuova generazione), tesa allo sviluppo di un commercio equo della lana. L’organizzazione si prefigge di aiutare gli orfani, le madri nubili e le famiglie in situazioni difficili. Sono molte le mamme che frequentano la sua casa per cardare la lana e fabbricare un feltro molto caldo, che servirà in seguito alla confezione di numerosi prodotti artigianali, quali le yurte, le pantofole o i copricapo kirghisi, indossati tutt’ora con orgoglio per le strade e nei mercati.

È poi un’altra ONG, Community Based Tourism (CBT), quella che ha permesso di sviluppare il turismo nel villaggio di Arslanbob, nei monti Ferghana. Per raggiungerlo, bisogna innanzitutto scendere nelle gole del fiume Naryn, dal colore blu intenso, quindi, non appena si è raggiunta la fertile vallata della Fergana occorre risalire un altro corso d’acqua, la Karia-Daria. La confluenza di questi due fiumi, scaturiti dai ghiacciai kirghisi, dà origine al Syr-Daria, il grande fiume che attraversa nuova parte dell’Asia centrale per poi sfociare nel mare di Aral. Abitato da una popolazione uzbeca, Arslanbob è appollaiato ai piedi del Babash-Ata, l’imponente montagna che, con i suoi 4427 metri di altitudine, chiude l’orizzonte a nord.

Coltivare e accogliere

Di questo villaggio sono da ricordare le belle escursioni con gli sci sui versanti del Babash-Ata, con in lontananza le prime avvisaglie del Pamir. Facilitate dai cavalli, le marche di avvicinamento permettono di allestire i campi a una quota ragionevole per raggiungere le vette e i passi sciabili nel corso della giornata. Qui, ogni famiglia possiede una piccola casa con un granaio, un forno e un campo propri. Nessuna di esse appare più alta delle altre, e sono separate da filari di pioppi piantati gli uni stretti agli altri. «A ogni nascita, la famiglia ne deve piantare una ventina, che serviranno a costruire la casa del nuovo nato quando sarà adulto», ci spiega Hayat Tarikov, pessimo sciatore, ma coordinatore di CBT ad Arslanbob.

La comunità si è organizzata per accogliere i visitatori cercando di suddividere al meglio il reddito che essi generano. Anche se questo non deve far dimenticare l’essenziale: coltivare il proprio campo, accudire i propri animali e curare la più grande foresta di noci al mondo. Il suo sottobosco, dove l’erba sta cominciando a ricrescere, forma un tappeto che ammortizza gli zoccoli dei cavalli. Con i primi segni della primavera, stiamo passando dal bianco al verde – in tutta dolcezza.

Le terre alte dei nomadi turco-mongoli

Le montagne ricoprono praticamente la totalità del Kirghizistan (95%). Si stima che le terre al di sopra dei 3000 metri di altitudine siano più dei due terzi. I due massicci principali sono a ovest il Tian Shan, che culmina con il Pik Pobedy (7439 m) e il Khan Tengri (6995 m), e ad est il Pamir Alai, con il suo punto più alto al Picco Lenin (7134 m).

Camera di carico al centro dell’Asia centrale, questa ex repubblica sovietica confina a oriente con la Cina, a settentrione con il Kazakistan, a occidente con l’Uzbekistan e a meridione don il Tagikistan. È pure separata in modo marcato da tre massicci interni maggiori che superano i 4000 metri: il Kungej Alatau, che domina le pianure del Kazakistan, il massiccio del Kirghizistan (centro ovest) e quello di Ferghana. Grande circa cinque volte la Svizzera (198 000 km2), il paese supera di poco i cinque milioni di abitanti. La maggioranza kirghisa, di origine nomade, coabita con importanti minoranze uzbeche e russe.

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