Nel mare di ghiaccio dell’Oberland | Club Alpino Svizzero CAS
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Nel mare di ghiaccio dell’Oberland La discesa dello Zäsenberg

La discesa lungo il ghiacciaio dell’Ischmeer era un tempo tra le predilette delle Alpi bernesi. Oggi, invece, non è quasi più frequentata – a torto.

Dietro l’Eiger il sole è già scomparso da tempo. Il cielo volge gradualmente al blu notte; nel firmamento si accendono le prime stelle. Mentre all’interno della Berglihütte ancora arde un moccolo, ce ne stiamo al freddo sulla terrazza, dalla quale il nostro sguardo scivola oltre la conca del ghiacciaio, verso nord, verso il Mittelland, dove abitano milioni di persone. Qui non v’è altro che l’oscurità. Nessuna luce, neppure quella di un’altra capanna. È una vastità invisibile quella che si diffonde, e una quiete indecifrabile colma l’intero spazio.

Quale contrasto con questa mattina, quando a Grindelwald siamo saliti sulla Jungfraubahn. Erano a centinaia sul marciapiede, più che mai, persino molti di più. Stranamente, non si trattava però dei soliti visitatori dall’Estremo Oriente. Tutti i collegamenti ferroviari erano triplicati, una frenesia mai vista, le code umane non finivano mai. Solo alla Kleine Scheid­egg abbiamo capito il perché: tutto quell’affollamento era dovuto allo «Snowpenair», un evento sotto le stelle a 2061 metri sopra il livello del mare, una festa con musica a pieno volume ai piedi dell’Eiger-Mönch-Jungfrau. Non abbiamo avuto alcuna difficoltà a lasciarci alle spalle la Kleine Scheid­egg. Sullo Jungfraujoch, poi, la consueta miscela di turisti stanchi morti e di escursionisti sugli sci pieni di aspettative. Dopo una breve pausa, riprendiamo il cammino verso la Mönchsjochhütte, che lasciamo a sinistra per ritrovarci ben presto sull’orlo del semicerchio formato dall’Eiger, dai Fiescherhörner e dallo Schreckhorn. Una breve discesa in una leggerissima neve polverosa ci ha quindi portati al nostro alloggio notturno: la veneranda Berglihütte.

E ora eccoci qui, ad ascoltare un silenzio che alle nostre orecchie suona ben più armonioso di qualsiasi pur brava orchestra rock. E per quante star grandi e piccole abbiano fatto la loro comparsa sulla Kleine Scheidegg, noi, ora, ne ammiriamo migliaia – autentiche.

 

Passata di moda

La piccola capanna su uno sperone roccioso sovrastante l’Ischmeer – 22 posti, classe 1903, costruzione in legno, paglia sotto i materassi e un arredamento semplice, ma pulitissimo – è diventata un nido per gli appassionati delle escursioni solitarie. Nel 1912, la costruzione della ferrovia dello Jungfraujoch le tolse la sua importanza di punto d’appoggio per la regione dell’Aletsch, e da allora non è praticamente cambiata, per cui emana ancora oggi il profumo dei pionieri. E la nostalgia è un dolce richiamo sul quale volentieri ricamiamo le nostre escursioni.

Come si deduce dal libro della capanna, la gita sugli sci attraverso l’Ischmeer fino a Grindelwald – la leggendaria discesa dello Zäsenberg – è ormai da tempo passata di moda. Persino molte guide alpine locali la conoscono solo per sentito dire, oppure come un lontano ricordo. Eppure, un tempo era una meta molto amata, spesso raggiunta in escursioni di un giorno, in particolare da Berna. Una guida per lo sci bernese del 1931 la loda come «particolare e sensazionale discesa attraverso la zona di alta montagna», mentre nel medesimo anno il periodico «Der Schneehase» la definiva una delle più belle discese della Svizzera. E nel pregiato tomo «L’Oberland bernois à ski», Daniel Anker rileva che, alla fine degli anni Quaranta, con la discesa dell’Eismeer la ferrovia della Jungfrau si faceva persino pubblicità. «Allora, quella che si vedeva nelle belle giornate di primavera dall’uscita della galleria alla fermata Eismeer della ferrovia dello Jungfraujoch, attraverso l’Obere Ischmeer, come qui è chiamato il ghiaccio eterno, il ghiacciaio dell’Ischmeer, lo Zäsenberg e l’Unterer Grindelwaldgletscher fino a Grindelwald, era praticamente una pista.»

Ma il ritiro dei ghiacciai ha dato il colpo di grazia a questa chicca sciistica. L’accesso dalla galleria della stazione Eis­meer diventava sempre più delicato e più tardi, l’Unterer Grindelwaldgletscher si abbassò talmente da rendere impossibile l’allora consueta uscita dalla valle incassata attraverso una cengia rocciosa. Ciò nonostante continua a essere una leccornia, la discesa dello Zäsenberg – pure se un po’ diversa, un po’ più avventurosa e più lunga di allora: dallo Jungfraujoch invece che dalla fermata Eismeer. E con un pernottamento nella Berglihütte.

 

Accanto a blocchi di ghiaccio alti come case

Dopo una notte tranquilla, il sole sorge sul Lauteraarhorn. I suoi caldi raggi sono bene accolti dalle nostre articolazioni ancora rigide, poiché la discesa inizia con un buon esercizio di ginnastica: si tratta di scendere in corda doppia dalla ringhiera di legno vicina al gabbiotto dei servizi igienici. Con gli sci fissati allo zaino, la manovra richiede una certa padronanza del proprio corpo, se non si vuole rischiare un’involontaria capriola e finire sospesi a testa in giù. Ma subito dopo aver ritrovato il terreno sotto i piedi, gli sci riprendono la loro giusta funzione: tra seracchi alti come case e su ponti di neve scodinzoliamo con il massimo piacere giù, verso la gigantesca terrazza del ghiacciaio dell’Ischmeer. Tagliamo obliquamente il pianoro in velocità, sempre con le seraccate della Fiescherwand sott’occhio: quelli che sulla carta da scialpinismo apparivano come minuscoli zuccherini si rivelano in realtà come un enorme assembramento di torri di ghiaccio pronte a cadere – un chiaro indizio della vivacità della possente parete nord. Fortunatamente la terrazza è sufficientemente ampia da mantenersi a distanza dalla fonte del pericolo.

Ma anche gli sviluppi meteorologici ci incalzano, poiché contrariamente alle previsioni, dalla valle sale un compatto mare di nebbia. Ma la fretta è vana, e ben presto la nebbia ci avvolge come ovatta. Grazie a una certa conoscenza dei luoghi riusciamo comunque a trovare il passaggio presso il Simelibergli, il cui terreno irregolare richiede un buon fiuto. E il fiuto ci abbandona al momento di affrontare la controsalita per il sentiero dello Schreckhorn, che riesce solo al secondo tentativo: un giro vizioso che un più attento studio della carta ci avrebbe risparmiato. Oltre un pendio morenico a tratti faticoso e irto di ontani guadagnamo infine quota – il pedaggio che dobbiamo pagare al ritiro dei ghiacciai.

 

A piedi fino a valle

Ancora un paio di curve e, presso le rovine di quello che fu il Gasthaus Stieregg – altra vittima del cambiamento climatico – dobbiamo togliere definitivamente gli sci. Il sentiero è sgombro dalla neve: un aspetto sul quale avevamo anche contato, poiché in caso contrario la discesa verso Grindelwald sarebbe stata troppo pericolosa. Una buona ora più tardi, ecco emergere le propaggini del villaggio dei ghiacciai. Da una fattoria ci saluta una ragazzina che gioca, il primo essere umano da ieri a mezzogiorno.

Una cosa tuttavia sinora non ci è chiara: perché mai questa impressionante escursione con gli sci tra i ghiacciai non sia più frequentata. Perché è semplicemente un’escursione dal mille stelle. Uno Snowpenair solitario e frusciante proprio dietro l’Eiger.

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