Nieve del Sur Con gli sci in capo al mondo
Nell’estate patagonica, Fitz Roy e Cerro Torre sono assediati da una moltitudine di alpinisti ed escursionisti. D’inverno non vi si incontra anima viva – ma la migliore delle nevi. Un paradiso per gli scialpinisti avventurosi.
Patagonia: la terra piena di promesse all’estremità meridionale del mondo. Chi non ne ha mai sentito parlare, e forse anche sognato di avvicinare un giorno quelle guglie spazzate dal vento? Il richiamo della natura selvaggia ha esercitato la sua forza di attrazione anche su di noi. Ma la nostra idea era di andarci d’inverno, con gli sci. Forti dubbi cominciarono allora a emergere. Già d’estate il tempo è imprevedi-bile e tempestoso. Quali condizioni avremmo incontrato nell’inverno australe lungo la famosa, famigerata Ruta 40 argentina e la sua omologa cilena, la Carretera Austral? Il viaggio di più giornate nel sud sarebbe poi stato davvero realizzabile?
Tuttavia, la prima sfida da affrontare doveva essere quella di preparare gli zaini per la prima settimana di escursione. Tenda, sci, ramponi, fornello, sacchi a pelo, materassini isolanti e alimenti per una settimana devono trovar posto in zaini da 50 litri. Tra gemiti e lamenti, allora, ci carichiamo sulle spalle quegli affari da una tonnellata e partiamo. Una sfacchinata di quattro ore e mezza fino al bivacco nella Reserva Nacional (RN) Cerro Castillo, 100 chilometri a sud di Coyhaique. È solo al calare della notte che raggiungiamo la nostra dimora temporanea in un rado bosco di latifoglie. Una nevicata incombente e forti raffiche di vento chiariscono immediatamente chi comanda qui. Ciò nonostante, protetta da un muro di neve, nei giorni a venire i quattro metri quadrati della tenda ci offriranno comunque un po’ di comodità e la sensazione di casa.
Autostrada sterrata
L’avventura è iniziata di notte, allo scalo dei traghetti di Puerto Montt, in Cile. La vettura a noleggio ha dovuto salire sulla nave piena di pesanti autocarri e, dopo una decina d’ore di navigazione sul braccio di mare del Pacifico, l’attempata «Don Baldo» ci ha infine sfornati a Chaitén. Appena sbarcati, eccoci di fronte alla forza indomita della natura. Nel 2008, il vulcano Chaitén ha eruttato. Il lahar, la colata di fango e detriti, ha quasi completamente cancellato i luoghi. È oltremodo titubante il ritorno della vita in questo avamposto della civiltà. Intere file di case sono ancora semisepolte sotto le masse di fango. Le rovine sono ovunque. Chaitén non è ancora un luogo in cui sostare. Noi ci dirigiamo a sud, lungo la leggendaria Carretera Austral, la sola strada a rendere almeno in parte accessibile il meridione cileno. Centinaia di chilometri di strada non asfaltata, solitaria, con molte curve e numerosi passi attraverso vasti paesaggi di grandiosa bellezza. Infine raggiungiamo Coyhaique, il primo punto di partenza per lo sciescursionismo nella Patagonia cilena.
Il Cerro Castillo, la montagna fortezza del Cile
Il primo mattino al bivacco non poteva essere migliore. Cielo azzurro, poco vento e dieci centimetri di neve fresca! Con la curiosità dei grandi esploratori tentiamo una gita di sondaggio per chiarire le condizioni di valanghe e neve e il potenziale escursionistico della zona. Risultato: le condizioni sono perfette e molto promettenti. Nei prossimi giorni il tempo sarà stabile, anche se ventoso. Questo ci permetterà di spingerci ogni giorno in nuove direzioni.
La massima attrazione è il canalone principale del Cerro Castillo: 1350 metri di dislivello con un finale ripido e stretto, 2200 metri sopra le pianure spazzate dal vento della Patagonia. In lontananza luccica in blu profondo il Lago Argentino. Piuttosto tecnica nella parte superiore, la discesa sbocca in ampi e ripidi pendii, nei quali la sensazione del Patagonian skiing diventa infine realtà. Dopo altre scoperte, la pressione barometrica comincia a precipitare. La natura ci fa capire in modo inequivocabile che è arrivato il momento di lasciare questo luogo magico. Andiamo a cercare fortuna nella Patagonia argentina: in viaggio per El Chaltén!
Torri di granito e ghiacciai
Un’occhiata alla carta ci indica una distanza di 800 chilometri. Una corsa su strade polverose attraverso regioni disertate dagli uomini. Prima verde rigoglioso in Cile, ora sempre più secco e scarno in Argentina. Improvvisamente, delle imponenti guglie rocciose si stagliano nel lontano orizzonte. Una visione quasi surreale: il Cerro Torre e il Fitz Roy.
El Chaltén, hotspot dell’élite internazionale dell’alpinismo e dell’arrampicata e meta di trekking nota nel mondo intero, si presenta come un villaggio da film western abbandonato. Il giro della scena alpinistica locale è presto fatto. Siamo considerati esotici, come turisti sciatori prima ancora che come stranieri. Così riceviamo tutta una serie di visite cordiali, nelle quali viene fatto girare il maté. Ma nonostante tutto l’interesse, qui le escursioni con gli sci sono pressoché sconosciute. Abbiamo le montagne tutte per noi.
Il quadro si delinea presto: l’altrimenti imprevedibile tempo della Patagonia meridionale funziona secondo uno schema davvero affidabile. Due giorni di nevicate, da trascorrere comodamente in una roulotte da cantiere fuori servizio a El Chaltén, sono seguiti da due giorni di tempo da sogno, addirittura con poco vento. Questo ritmo ci consente di prevedere escursioni di due o tre giorni. Il rovescio della medaglia? Ci dobbiamo portare ogni volta l’attrezzatura completa da bivacco.
Nella neve, 700 metri di dislivello sarebbero un gioco da ragazzi. Qui, tuttavia, nella ripida macchia senza neve disseminata di rocce che costituisce un elemento imprescindibile del preludio a ogni escursione, diventano un esercizio faticoso e spossante. Quando però la giusta altitudine è stata conquistata e gli sci sono ai piedi, la ricompensa non si fa attendere.
Cerro Fitz Roy come sfondo
Due itinerari ci portano a stretto contatto con l’imponente massiccio del Cerro Fitz Roy. Che questo non sia un tipico terreno per sciatori lo dice chiaramente il laconico cartello esposto nello spartano e ventilato Refugio Rio Blanco: «Climbers only». Le escursioni alla Punta Velluda e al Cerro Madsen conducono nelle immediate vicinanze del gigante. Uno sguardo riverente alla sua maestosa bellezza e poi giù, in ampie curve lungo pendii ghiacciati – assolutamente soli. D’inverno, quassù non si avventura praticamente nessuno.
Non è diverso sul Cerro Electrico. L’escursione regala una veduta mozzafiato sullo Hielo Continental, il terzo ghiacciaio per dimensioni al mondo, e sul massiccio del Cerro Fitz Roy, seguita da una perfetta, ripida discesa lungo il Glaciar Piedras Blancas. Una spettacolare risalita attraverso la frastagliata zona dei saracchi conduce al Paso Guillaumet, ai piedi del Cerro Fitz Roy e dei suoi non meno impressionanti vicini. Nell’ultima luce raggiungiamo i 2600 metri di quota del Paso Superior, il campo base per la scalata del Cerro Fitz Roy. D’estate, qui è un continuo viavai, mentre ora ci gustiamo il crepuscolo in perfetta solitudine e assenza di vento. Nulla si frappone a una notte di bivacco con vista su 1500 metri di granito puro e un cielo disseminato di stelle. Sogniamo l’alba sul Fitz Roy. Ma sarebbe stato troppo bello: un incombente fronte perturbato nasconde il sole nascente e, invece di infiammarsi di rosso, le vette si avvolgono in veli di nebbia.
Sulla berretta bianca
Trascorriamo alcuni riposanti giorni di cattivo tempo a El Chaltén pianificando il gran finale sciistico della Patagonia. La nostra meta si chiama Gorra Blanca, berretta bianca. L’attesa finestra di bel tempo si annuncia, ma i modelli di calcolo dei meteorologi nulla possono contro i capricci della Patagonia. Otto ore di pioggia battente invece del sole. Trasciniamo sci e zaini attraverso estesi margini proglaciali e ghiaccio senza neve. Solo quando raggiungiamo il bivacco la coltre nuvolosa si apre timidamente offrendoci una breve visione dell’immensa superficie gelata dello Hielo Continental. Ad ogni breve risveglio notturno, ci ritroviamo a fissare la luna.
Il giorno seguente ci offre un inizio mozzafiato mentre attraversiamo lo Hielo Continental coperto di neve fresca in direzione della Gorra Blanca. Con i suoi 2907 metri è una delle montagne più alte della regione. La sua vetta è costi-tuita di enormi masse nevose, che le conferiscono l’aspetto di un «coliflores», cioè di un cavolfiore. Si tratta di neve accumulata e compressa dal vento. La sua scalata richiede sì attenzione, ma non è altrimenti difficile. A tratti ci si crederebbe nell’Antartico, e con ogni metro di dislivello superato si apre la vista sulle vette circostanti e le enormi superfici ghiacciate che, ai margini, si gettano in laghi e fiordi come frastagliati fiumi di ghiaccio.
La berretta bianca fa onore al suo nome. In generose volte scivoliamo grazie alla neve fresca nella polvere più sottile lungo gli ampi pendii ghiacciati. Il culmine di sei mesi e mezzo nelle Ande cilene e argentine è raggiunto in questo momento. E la perdurante euforia ci fa superare le faticose ore del tratto di ritorno a El Chaltén volando.