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Prossima fermata: inverno Con le racchette sul passo del Bernina

Sul passo del Bernina le racchette si possono allacciare appena scesi dal treno. Le rotaie attraversano infatti un fiabesco mondo invernale.

Si potrebbe pensare di essere in Siberia: una stazione ferroviaria a un’altezza solitaria e spazzata dal vento. Senza le racchette, potrebbe rivelarsi difficile persino lasciare il marciapiede. Situata a 2253 metri, la stazione del passo del Bernina, sul quale dal 1910 si arrampica una linea ferroviaria, è unica nelle Alpi. Violente raffiche fanno cantare i fili del palo telefonico, proprio come se una mano invisibile stesse tentando con poco successo di accordare una chitarra. Cristalli di ghiaccio colpiscono il volto come proiettili. Solo dopo una breve quanto ardua salita dalle rotaie ecco emergere nella solitudine due altri edifici. Accanto all’ospizio, l’albergo Cambrena, presso il quale abbiamo preso quartiere. La gerente Alice Bontognali ci accoglie cordialmente. Nella sala è appeso un ritratto di suo nonno, Carlo Giuliani, che ancora all’epoca della costruzione della ferrovia, durante l’inverno guidava i someggiatori attraverso il passo. Un’altra immagine mostra la quantità di neve che può cadere a quella quota. Il 20 aprile 1986, ad esempio – Alice ne ha tutt’ora un ricordo vivido – c’erano sette metri di neve fresca. Gli autocarri rimasti bloccati ne furono schiacciati.

Ma il tempo è cambiato, commenta: «Inverni più asciutti, più vento.» Che ci soffia letteralmente giù fino all’Alp Grüm. Un itinerario di acclimatazione ideale con panorami fantastici, soprattutto quando, simile a un serpente scarlatto, il trenino della Ferrovia Retica serpeggia nella luccicante distesa innevata. Abbiamo fortuna: alle dodici in punto il vento, che aveva abbassato la temperatura percepita a -20°C, cessa, permettendoci di gustare il nostro picnic. La vista verso la Val Poschiavo è grandiosa. È una specie di dito elvetico che si infila nella Valtellina. Vi si parla un dialetto italiano, detto «pusc’ciavin», un aggettivo che qualifica anche i suoi abitanti – che politicamente hanno tuttavia sempre preferito appartenere alle Tre Leghe, nonostante l’ostacolo del passo del Bernina. Lo sbarramento geografico ha fatto sì che la Val Poschiavo venisse soprannominata «la valle perduta». Forse, ma ora sembra essere diventato un vantaggio. Né folle di sciatori, né templi del wellness: chi viene quassù cerca la quiete e l’autenticità.

Sotto, la ferrovia serpeggia in strette curve a gomito verso l’altopiano innevato di Cavaglia, mentre sotto lo sbarramento delle Alpi bergamasche il lago di Poschiavo già respira la primavera. A destra, il ghiacciaio del Palü lambisce la conca montuosa dell’Alp Grüm. Dall’Albergo Belvedere solo ancora una breve traversata ci separa dall’edificio della stazione, poi il treno ci riporta comodamente al passo del Bernina.

Un rosseggiare soprannaturale ci vede in piedi di buon’ora, pronti ad affrontare il possente fianco del Piz Cambrena. Separate dall’imponente mole del Piz Campasc, dal passo due valli scendono nella Val Poschiavo: lungo la Val da Pila si snoda la tratta ferroviaria, mentre per la Val Laguné corre la strada del Bernina. Quest’ultima definisce l’itinerario che conduce nella Val da Camp. Questa valle laterale è un gioiello ricco di laghi, che nel 1997 ha trovato il proprio posto nell’Inventario federale dei paesaggi di importanza nazionale. Ma che aspetto avrà durante l’inverno? Siamo curiosi, e scendiamo serpeggiando il pendio a destra della strada del passo, piuttosto ripido nella sua parte superiore, fino a La Rösa. Dalla ex stazione carovaniera, un tratto del Sentiero storico permette di raggiungere la Val da Camp. Nessuna automobile in vista. Rustici sommersi dalla neve trascorrono il letargo invernale. Le macchie di neve delle radure luccicano ancora intatte e sembrano attendere soltanto che noi vi si lasci una traccia. Poi la valle si restringe in gola e ci costringe a percorrere la strada. Grossi denti di ghiaccio che il bosco protegge dal sole pendono dalle rocce. Poi appare Lungacqua, un piccolo pianoro «lungo l’acqua» circondato da un’impressionante corona di cime. Là in mezzo, il Rifugio Saoseo, un edificio in pietra a quattro piani costruito per l’eternità. Un tempo caserma di guardie di confine, poi sosta di contrabbandieri – solo pochi chilometri lo separano dall’Italia. Le sue mura sono cariche di storia e il custode Bruno Heiss è depositario di aneddoti dei tempi passati. Gestisce la capanna con la sua famiglia da 38 anni. Qui, anche gli animi più riservati si sentono rapidamente a casa.

Heiss lavora a tempo parziale come esperto di valanghe sul passo del Bernina. I suoi consigli contribuiscono alla pianificazione. Considera un giro con le racchette fin su alla Val Viola senza pericoli, mentre agli sciescursionisti collezionisti di vette raccomanda di essere di ritorno per mezzodì. Di buon mattino risaliamo la valle. La neve turbina attorno alle cime sopra le nostre teste. Attorno al Lagh da Val Viola giacciono i resti di una frana staccatasi un tempo dalla parete nord della Scima da Saoseo, che ora formano un paesaggio di berretti a punta sommersi dalla neve. Più saliamo, più si apre la vista sul Piz Palü e il suo ghiacciaio. Dietro fa capolino il Piz Zupò, che rende così onore al suo soprannome: «il nascosto». In fondo ci sentiamo così anche noi, poiché solo una volta rientrati al Rifugio incontriamo di nuovo qualcuno.

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