Sarek : Parco Nationale Svedese | Club Alpino Svizzero CAS
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Sarek : Parco Nationale Svedese

Hinweis: Questo articolo è disponibile in un'unica lingua. In passato, gli annuari non venivano tradotti.

Am Spannörter-Joch machten wir älteren Jahrgänge eine sonnige Siesta, während die Jungen das Grosse Spannort erstürmten. Gegen Westen sank die Sonne immer tiefer und vergoldete nicht nur Zinnen und Firne, sondern auch unsere dankbare Erinnerung an unvergessliche Bergerlebnisse und Wanderfreuden in Gottes unerschöpflicher Höhenwelt.

Sarek Parco Nazionale Svedese

( LAPPONIA SETTENTRIONALE ) DI GIUSEPPE RITTER, CHIASSO Con 6 tavole ( 26-31 ) Nella metà di agosto 1950, scendendo la « Kungsleden » dal Rifugio Teusajaure verso il Lago di Suorva ( Vakkotavarekâtorna ), vidi sporgere all' orizzonte, sopra una leggera striscia di caligine, un magnifico gruppo di montagne.Vasti ghiacciai e vette innevate si stagliavano dai colori di un cielo che soltanto le latitudini subpolari possono creare. Una visione irreale che m' impressionò profondamente. Da allora ho continuato a coltivare nel più recondito angolino del mio cuore il desiderio di ritornare un giorno per calcare quelle alture che, a quanto mi si disse, erano rimaste le più selvagge d' Europa. Si trattava del Sarek, Parco nazionale svedese nella Lapponia settentrionale.

L' esplorazione del Sarek, che conta 7 vette fra 2000 e 2100, 151 fra 1900 e 2000 e 21 fra 1800 e 1900 metri d' altitudine, fu compiuta in massima parte dal professore di geografia dell' Università I di Uppsala, Axel Hamberg. Egli passò l' estate per ben 36 anni in questi magnifici, ma terribilmente discosti angoli della sua patria, lasciando come frutto di queste fatiche l' unica guida turistica tuttora esistente. Fra i lavori, pubblicati in lingua tedesca, sono degni di segnalazione:

1. Die Gletscher des Sarekgebirges und ihre Untersuchung ( 1910 ).

2. Gesteine und Tektonik des Sarekgebirges, nebst einem Überblick der skandinavischen Gebirgskette ( 1910 ).

3. Die Geomorphologie und Quartärgeologie des Sarekgebirges.

Dichiarato parco nazionale, con divieto di caccia e di pesca, il Sarek non offre né sentieri mar-cati né rifugi o bivacchi. Nel Rapadal, la valle più suggestiva della Lapponia svedese, esistono tre stazioni scientifiche per lo studio delle condizioni atmosferiche e l' osservazione della flora e della fauna. Ma queste baite non sono accessibili per i turisti. È quindi indispensabile portare seco il materiale di attendamento, ciò che rende maggiormente difficile le lunghe marce d' un soggiorno prolungato.

Le vie d' accesso al gruppo del Sarek si snodano dai seguenti rifugi della STF ( Federazione Turistica Svedese ):

a ) Aktsestugan sulla sponda settentrionale del Laitaure. Possibilità di farsi portare a nord del vasto delta del fiume Rapa con fuoribordo lappone ( risparmio di una giornata di estenuante marcia attraverso la giungla di salci ). Da questo punto la base ai piedi del gruppo principale ( con la vetta di massima elevazione: Sarekjâkko, 2089 m ) è raggiungibile in tre giorni.

b ) Sitojaurestugan sulla sponda settentrionale del Sitojaure. Pure possibilità di farsi portare ( in circa quattro ore ) con fuoribordo lappone alla testata nord del Laitaure.

e ) Sjöfallstugan, scalo della navigazione STF sul nastro blu della Lapponia ( Stora Lulevatten-Akkajaure ). Raggiunto l' altopiano del Petsaure si prosegue a settentrione della bizzarra montagna, a perfetta forma di cono, di nome Slugga.

d ) Akkastugan, pure scalo della navigazione STF citata sotto e. Aggirando YAkka a destra, si può avvicinare il gruppo principale per la Kukkesvagge. Lasciando invece YAkka a sinistra, si può penetrare nel gruppo attraverso la profonda insellatura formata dalla Ruotesvagge.

Informazioni dettagliate sull' attrezzatura dei rifugi e le vie d' accesso si trovano nel prospetto STF Wanderwege im schwedischen Gebirge.

Carta topografica: Svenska Fjällkartan, Blatt 3 = Sitasjaure—Sarek—Sulitelma—Kvikkjokk ( rev. 1955 ) 1:200000.

Sabato, 8 agosto 1959, m' imbarcai a Luspebryggan, accompagnato dall' amico svedese che già nel 1950 mi fu fedele compagno attraverso il gruppo del Kebnekaise. Una gran folla, composta di escursionisti, villeggianti e soprattutto pescatori, popolava il ponte del motoscafo. Dopo tre ore di movimentata navigazione ( temporale ) giungemmo allo scalo di trasbordo, imposto da ripiano morenico che, con pochi metri di dislivello, separa lo Stora Lulevatten dal Lago Langas. Mentre i passeggeri si recavano a piedi allo scalo di partenza sul lago superiore, il bagaglio venne caricato su appositi carrelli che, su binario di tipo industriale, vennero trainati dal personale della navigazione, rinforzato da turisti volonterosi. Poco dopo le 18 venne raggiunta la stazione turistica Saltoluokta. Dato che il battello proseguiva per la Sjöfalls-Stugan ( altro scalo di trasbordo ) soltanto alle ore 9 di domenica, tutti i passeggeri furono obbligati a scendere ed a cercarsi una possibilità di pernottamento. La stazione turistica di Saltoluokta, da tempo insufficiente per accogliere il sempre crescente afflusso di turisti, è in fase di potenziamento. Una grossa tenda doveva supplire il grande dormitorio in costruzione, ma si dimostrò pure del tutto insufficiente. Dopo ore di trattative e di ricerche potemmo sistemarci, con altri otto compagni, in una Kâta privata.

Nella sua guida del Sarek, il professor Hamberg dice che un turista, non particolarmente allenato per escursioni in Lapponia, può portare un peso di circa 10 kg sulle spalle. Con dovuto allenamento, questo peso avrebbe potuto essere portato a 15 kg. Orbene, partendo da Saltoluokta la mattina di domenica, 9 agosto, il mio sacco pesava 30 kg abbondanti! Questo peso non subì nessuna diminuzione nei successivi otto giorni, essendo costituito di materiale logistico ( tenda ), alpinistico ( corda, staffe e moschettoni ) e di equipaggiamento personale. Si comprenderà facilmente che le otto ore di cammino, che ci occorrevano per raggiungere la Sitojaure-Stugan, non potevano considerarsi mero divertimento!

Il rifugio STF, sulla sponda settentrionale del Sitojaure, è posto vicino ad un insediamento di lapponi i quali, fra altro, esercitano la navigazione sul Kaskajaure e Kâbtâjaure ( tratto lacuale della « Kungsleden » ). A giudicare dall' aspetto esteriore dei tuguri, nulla sembra cambiato nelle secolari abitudini di questo popolo nomade che, pochi decenni or sono, viveva ancora nel « comfort » dell' età della pietra. Ma su questa o quell' altra Kâta l' attento osservatore scopre oggi l' antenna della radio. Da tempo, almeno nella Lapponia svedese, il tipico costume lappone è scomparso e fra i pescatori, boscaioli e pastori del Norrland il Lappone è riconoscibile soltanto per la sua fisionomia mongoloide.

Lunedì, 10 agosto, verso le 8 il fuoribordo lappone, noleggiato pel tragitto prospettato, ci prese a bordo per portarci alla testata nord del Sitojaure. Anche questo lago, come gran parte dei 96000 laghi svedesi, è poco profondo e rende la navigazione assai difficile. Solo raramente il navigatore può abbandonare la corsa a zigzag e spesso ci toccò spostare il peso verso prua onde evitare che l' elica s' impigliasse nella vegetazione subacquea.

Dal puto di sbarco, una strana baia in mezzo ad alte montagne, s' iniziò la lunga marcia attraverso la tundra e che avrebbe dovuto terminare in quel giorno sulla riva meridionale del Letsitjaure, ai piedi del magnifico sottogruppo del Äpartjäkko. All' ultimo momento il Lappone ci confidò che lassù avremmo potuto trovare una Kâta di recente costruzione. Questa fortuna, per nulla prevista, ci fu di grande conforto in quella letale solitudine che non conosceva nemmeno il fruscio delle fronde al vento.

Assai tardi, dopo aver guadato l' ingrossato torrente che convoglia le acque della Pastavagge, giungemmo sulle rive del Letsitjaure. Ma della Kàta nessuna traccia. Dopo lunga perlustrazione e soltanto per puro caso la scoprimmo ai piedi di un ripiano roccioso. Durante questa ricerca, che ci obbligò alla temporanea separazione, avemmo campo di constatare l' utilità d' un consiglio contenuto nel vademecum turistico svedese. Infatti questo raccomanda di portar seco uno zufolo pel richiamo del compagno in caso di smarrimento. È incredibile come nella tundra ( oppure nella giungla di salci ) una persona possa rimanere invisibile a poca distanza, a meno che porti capi di vestiario a colori stridenti. Da ciò l' usanza dei Lapponi di portare costumi a colori vivissimi. Il richiamo a voce si perde nello spazio e soltanto coll' aiuto di uno zufolino si riesce a rivelare la propria posizione a chi sta cercandoci.

Dopo una notte fredda ( il termometro era sceso a 0° ), ci apprestavamo la mattina dell' U agosto a dare l' assalto alla corona di vette dell' Äpartjäkko. Ma prima di raggiungere la rampa d' accesso, il compagno, troppo provato dagli sforzi del giorno precedente e privo di allenamento alpinistico, rinunciava definitivamente ad ogni tentativo. Dato che le rocce, di stratificazione inclinata, erano coperte di leggero strato di neve fresca, l' arrampicata solitària non poteva entrare in linea di conto Perciò mi limitai all' ascensione della « Cresta favorita », di 1900 metri circa, che offre una splendida vista sul Sarekjâkko come pure sul gruppo occidentale delle alte Scande svedesi.

La « Cresta favorita », che forma il contrafforte settentrionale d' un vasto bacino collettore, ali-mentato dai nevai che scendono dalle cinque vette circostanti, culmina in un crinale simile a quello della « Krönte » nel canton Uri. Salendo trovai di tanto in tanto gli scheletri di giovani renne, asportate dal gregge dall' aquila che in questa regione ( Parco nazionale con divieto di caccia e pesca ) ha resistito fino ai nostri giorni. La vetta, che porta il tipico ometto, è staccata dalla susseguente elevazione da una profonda insellatura e si presenta, in misure minore, come il passaggio dalla Wellenkuppe all' Obergabelhorn.

Il 12 agosto, dopo un' altra notte nella Kâta sulla riva del Letsitjaure, riprendavamo la marcia verso il cuore del Sarek. Sulla sponda del Perikluobal trovammo i resti d' una miniera di quarzo, sfruttata durante la seconda guerra mondiale ( il quarzo venne asportato mediante idroplano ). Dagli avanzi della baracca, da tempo crollata, i Lapponi costruirono la Kâta che ci aveva ospitato per due notti.

Sulla testata occidentale del Perikjaure il nostro cammino fu arrestato dal torrente in piena che raccoglie le acque dallo spiovente nord della Pastavagge. Individuato il passaggio meno pericoloso, guadammo l' ostacolo senza alcun incidente. In questi paraggi erravano alcune renne coi loro vitellini. Staccate dal gregge e cacciate dai lupi, non avevano osato sforzare lo stretto alla testata sud del Perikjaure.

Assai tardi nel pomeriggio, dopo una marcia estenuante ( terreno spesso paludoso ), giungemmo sulla terrazza occidentale che delimitata l' altopiano del Perikjaure verso la Val Rapa. Un panorama spettacolare si aprì davanti ai nostri occhi. Il fiume Rapa, spadroneggiando indomito nel suo letto, formava bacini palustri e lacustri, assumendo i più svariati colori. Una ricca vegetazione ( trovammo persino magnifici esemplari dell' Aquilegia Maggiore ) copriva il pendio rivolto verso sud-ovest. Ma questa ricchezza non era sempre di nostro gradimento. La fitta giungla di salci, che ora cominciava ad intralciare il nostro cammino, ci portò non di rado al limite della disperazione.

In un primo tempo avevamo prospettato l' ascensione del Sarekjâkko. Per raggiungere l' usuale base logistica alla confluenza del torrente che scende dalla Routesvagge col fiume Rapa, avremmo dovuto proseguire sull' altopiano del Perikjaure in direzione Nord. Considerando però lo stato inquietante di totale esaurimento, manifestato dal mio compagno svedese, decidemmo di scendere la Val Rapa per uscire il più presto possibile da quelle terre inospitali. Ma la sede umana più vicina era raggiungibile, nella migliore delle ipotesi, soltanto in tre giorni di marcia.

Tenendo testa ad ostacoli di ogni genere, lottando incessantemente contro miriadi di zanzare, giungemmo dopo due giorni sul delta del Rapa, alla testata nord del Laitaure. L' epilogo di questa « Via crucis », già pubblicato sull' annuario del CAS, sezione Ticino 1959, col titolo « Aktse », non ha più riferimento diretto con questo lavoro perché il suo scenario è già posto fuori del Parco nazionale del Sarek.

Confrontando le alte Scande, ed in particolar modo le montagne del Sarek, con ciò che ci offrono le Alpi, si potrebbe davvero dubitare se valga veramente la pena di sobbarcarsi quel lungo viaggio per raggiungere il circolo polare. Infatti, alpinisticamente, non viene offerto nulla che a casa nostra non potremmo avere nel migliore dei modi. Eppure qualche cosa di particolare, di attraente ci dev' essere, perché un proverbio di lassù dice testualmente: Chi ha calcato una sola volta le sconfinate terre dell' estremo nord, non potrà mai più liberarsi dall' ardente desiderio di ritornarci ancora. L' attrazione certamente non sta nelle miriadi di zanzare che perseguono il turista dall' alba al tramonto. Sta piuttosto nell' infinita, indescrivibile solitudine che non possiamo più trovare nelle Alpi, nemmeno negli angoli più discosti. Purtroppo è solo questione di tempo, perché anche nelle alte Scande la solitudine sarà scacciata irrevocabilmente. La sempre crescente folla di turisti che percorre la « Kungsleden » annualmente da Abisko a Kvikkjokk, non tarderà ad impadronirsi anche del Sarek. Così l' uomo, circondato, avvolto, premuto, sommerso dall' esistenza, che cerca di staccarsi un' attimo dall' assurdità del suo impenetrabile destino, non avrà più quella « clausura » all' aria libera che fino ad oggi la divina provvidenza teneva pietosamente a sua disposizione.

Altra attrazione che le Alpi non possono darci e che troviamo invece nell' estremo nord del nostro continente è il complesso di quei fattori che compongono, nel loro insieme, le caratteristiche delle regioni subpolari. Quei fattori insomma che possono darci un' idea, seppur molto scialba, di ciò che è quell' estesa infinitamente più grande: il « Barren Land », la terra sterile dell' Oceano Glaciale, la calotta di ghiaccio del Polo Nord. Regioni queste che hanno sempre attratto gli audaci fra gli uomini di tutte le nazioni.

Perciò sarò sempre grato al mio destino che, oltre ai laghi ameni e alle tundre colorite, mi ha lasciato vedere e fatto calcare i resti di quella coltre glaciale che, appena 12 000 anni fa, spingeva i suoi lembi fin verso il centro della Germania.

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