«Senza l’incidente non avrei vissuto molte cose» | Club Alpino Svizzero CAS
Sostieni il CAS Dona ora

«Senza l’incidente non avrei vissuto molte cose» Thomas von Däniken 60 anniCAS Weissenstein garagista e programmatore di software Socio della sezione Weissenstein da più di 35 anni.Foto: Sophie Stieger

È successo più di 15 anni fa. In una magnifica giornata d’autunno. Il sabato mattina presto ho preso la prima corsa per la Fiescheralp, in Vallese: una mecca per il parapendio. Giunto in cima ho spiegato la mia ala e ho osservato le nuvole: le condizioni erano perfette. Dopo il decollo ho volato sopra il ghiacciaio dell’Aletsch ammirandone il panorama impressionante. Dall’alto, le capanne CAS sembravano scatole di fiammiferi. Già in giovane età mi ero lasciato prendere dal volo, e quasi ancora di più dalla montagna. A vent’anni, assieme ad alcuni colleghi, facevo giri pazzeschi. Abbiamo scalato pareti nord e messo alla prova i nostri limiti sportivi. Fummo tra i primi, negli anni Ottanta, a importare dalla Francia le scarpette da arrampicata. All’inizio le provavamo a casa, per non diventare lo zimbello della vecchia guardia. In seguito divenni membro della sezione CAS Weis­senstein, guidai escursioni con gli sci e fui capo soccorso.

Volai sopra il Grimsel e il Furka in direzione di Oberalp. Non ero mai andato tanto lontano, nell’aria aleggiava un primato. Mi sarebbe piaciuto arrivare fino in Austria. Alle sei avevo una riunione a Sursee e sarei dovuto tornare indietro, ma la cosa mi risultava alquanto spiacevole. Forse si è fatto strada un po’ di menefreghismo, non lo so. Fatto sta che volevo spingermi il più possibile in direzione di Sursee in modo da poi percorrere solo una breve tratta in treno fino al luogo della riunione. Arrivai fino ad Amsteg, una stretta valle con molte correnti, un’autostrada e solo piccole aree di atterraggio. Poco prima di atterrare, a circa tre metri da terra, schivai un alberello – e il parapendio si ripiegò sul lato sinistro. Con molto slancio e le gambe tese andai a sbattere contro una scarpata laterale. In realtà fu un incidente stupido. Avevo già vissuto numerose situazioni precarie. Però lo capii subito: qualcosa non andava nella mia schiena. Le mie gambe ronzavano. Afferrai il cellulare e chiamai subito la Rega. Il secondo pensiero fu per la mia giacca e la mia imbracatura: in qualità di capo soccorso, sapevo che durante gli interventi si finisce sempre per tagliare tutto. L’imbracatura me la sfilai sdraiato, mentre con la giacca nuova non arrivai in fondo e un braccio rimase infilato. Poi attorno a me cominciarono a ronzare anche paramedici e poliziotti. Nell’elicottero che mi trasportava al centro di paraplegia di Nottwil ero perfettamente lucido e scherzavo con tutti. Paura? Non ne avevo. Anche dopo l’operazione, quando fu chiaro che le mie gambe erano paralizzate, mi lamentavo raramente della mia sorte. Forse tutto quanto dipese dalla mia situazione di allora: ero nel bel mezzo di una crisi di mezza età. Nell’alpinismo avevo raggiunto il mio zenit e stavo per cedere il campo ai più giovani. Lavoravo moltissimo nel garage ed ero a un passo dal divorzio. L’incidente mi aveva improvvisamente fornito un nuovo obiettivo: testare i limiti della sedia a rotelle. Rapidamente imparai a padroneggiare il mio veicolo, a rovesciarlo e girarlo, e facevo delle gare con i miei figli. In tutto rimasi a Nottwil nove mesi. In tutto questo, lo sport ebbe senz’altro un ruolo enormemente importante. Tornato a casa, cominciai a praticare il monoscibob, volando sulle piste a oltre 100 chilometri orari. Ben presto cominciai con lo Swiss Paralympic Ski Team. Oggi gioco moltissimo a tennis. Mi alleno fino a dieci ore per settimana e sono nei titolari. Giochiamo ovunque nel mondo: in Spagna, in Turchia, negli Stati Uniti. Le gare sono estremamente famigliari: ci si conosce, si discute, dopo la partita ci facciamo sempre una birra assieme. Senza l’incidente non avrei vissuto molte cose. Sono contento della mia vita.

Ritratti di soci del CAS

Per Helvetia Club, il volume pubblicato in occasione dei 150 anni del CAS, 35 soci del club sono stati fotografati. «Le Alpi» ne ha scelti sette per offrirne anche un ritratto a parole.

Feedback