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Sogno mediterraneo in calcare Arrampicare a Siurana

A Siurana, nella provincia catalana di Tarragona, si ­scrivono pagine di storia dell’arrampicata. Sino a oggi, il sito non ha perso nulla della sua attrattività, e il ­potenziale di sviluppo è sempre ancora elevato.

Non si va avanti né indietro, nelle strette viuzze di Siurana. Come spesso accade nei bei fine settimana di primavera e d’autunno, furgoncini VW e camper con l’intera panoplia di targhe europea si incuneano all’ingresso del villaggio che dà il nome al sito di arrampicata più conosciuto della Catalogna. È situato su un altopiano e offre da ogni parte una vista perfetta sui vigneti e gli oliveti del Priorat. Per vivere qui, proprio non bisogna soffrire di vertigini: ogni lato di questo pulpito naturale, sopra il quale sorgono le case in pietra del villaggio, la cappella e le rovine dell’antica fortezza moresca, precipitano infatti in verticale. Una pietra si stacca e vola giù come un proiettile per un centinaio di metri. Dopo una o due birre in più, meglio non avvicinarsi troppo al margine del precipizio.

Da sotto risuonano un clangore metallico e richiami poliglotti. Sporgendosi oltre l’orlo della terrazza calcarea è possibile fare un cenno di saluto agli scalatori che, proprio sotto il villaggio, affrontano i settori «Can Perdut», «Frankenbolo», «El Tren de la Bruixa» e «Can Famal» che grazie alle loro vie dai livelli di difficoltà compresi tra 4+ e 8b+ e agli accessi estremamente brevi, sono solitamente i più frequentati.

Roccia vergine per chilometri quadrati

La solitudine la si trova per contro nel settore «Onassis». Arrampicando lungo le sue nuovissime e in parte ancora non pubblicate vie si sente solo il tintinnio del materiale, il proprio respiro e – sempre ancora – i richiami dei compagni che assicurano. Siccome la maggior parte dei settori di Siurana dispone di accessi brevi, sono pochissimi coloro che affrontano i circa 25 minuti per arrivare fin qui. A Siurana vale una regola: più sei lontano dal parcheggio, più sei da solo. E d’altro canto, la breve marcia attraverso arbusti nani e macchie di timo e rosmarino rimane comunque un ottimo esercizio di riscaldamento. Una coppia di avvoltoi sfrutta la corrente convettiva e descrive cerchi nel cielo. Con un po’ di fortuna, qui si possono avvistare persino i bianconi e le aquile reali.

Le dimensioni del sito si percepiscono già nel corso dell’avvicinamento. Dalla strada serpeggiante, asfaltata solo nel 1996, si scorgono innumerevoli successioni di rocce allungate, in parte con strapiombi capaci di incutere rispetto. Dopo ogni curva, lo sguardo si posa su sempre altre masse striate di nero e rosso di calcare conchilifero, disposte l’una sopra l’altra a mo’ di terrazze. Tra di esse, chilometri quadrati di roccia vergine, nella quale il sole si specchia come una promessa.

In queste formazioni ricche di fossili, che tra 200 e 250 milioni di anni or sono costituivano il fondale del mare primordiale di Tethys, i geologi possono leggere pagine di storia. Tuttavia, l’età della roccia è interessante anche per chi arrampica: infatti, più è antica la roccia, più è compatta. I settori situati più in basso risultano perciò piuttosto monolitici e caratterizzati da strutture estremamente ruvide, mentre quelli più alti presentano numerose fessure orizzontali, piccoli tetti, fori, cenge e appigli laterali. Spesso si incontra della roccia grigiastra e fortemente porosa, dalla superficie rugosa, che ricorda una spugna e nella quale sembra ancora riconoscere l’antico reef.

Sopravvissuto grazie all’arrampicata

Dalla comoda terrazza dell’apprezzatissimo «Refugi Ciríac Bonet», ecco la panoramica: nel «Barranc de Fontscaldes» e nel sito di «Cingles de la Trona» una quarantina di settori con oltre 1400 vie invitano alla danza nella verticale. Da qui, a chi arrampica nel settore «Can Ciríac» si potrebbe addirittura sputare direttamente sulla testa. Più sotto ecco l’azzurro profondo del lago artificiale, che d’estate offre refrigerio alla conclusione di una giornata di arrampicata. D’inverno, dalla terrazza si possono godere gli ultimi raggi del sole, mentre la valle si ricopre del manto di nebbia tipico della stagione.

Nella luce del crepuscolo si stagliano frastagliate a est le Muntanyes de Prades e a ovest la Serra de Montsant. L’intera provincia di Tarragona, la più meridionale della Catalogna, è un unico parco giochi all’aria aperta. Una serra rocciosa si sussegue all’altra. Il clima mediterraneo, perle culturali come il monastero di Poblet, iscritto al Patrimonio dell’umanità, o la Cova dels Moros con le sue pitture rupestri nelle immediate vicinanze dei famosi siti di arrampicata e la Costa Daurada con le sue spiagge di sabbia sottile fanno da complemento alle vacanze in parete.

«Siurana è sopravvissuto grazie all’arrampicata», afferma Toni Arbonés, trasferitosi negli anni Ottanta in questo villaggio che contava allora solo sette abitanti. Siurana stava per condividere il destino di centinaia di altri villaggi catalani, caduti vittime dell’esodo dalle campagne nel corso degli anni Sessanta. Oggi, gli abitanti sono ben 21. Come gestore del Refugi Ciríac Bonet e fondatore del campeggio, nel quale oggi soggiorna la maggior parte degli arrampicatori, Arbonés ha svolto un ruolo non indifferente nella rinascita del villaggio.

Il salto mortale della regina moresca

«Allora avevamo l’acqua corrente solo d’inverno – e inoltre, solo se non gelava», ricorda il robusto 48enne. Assieme ad altri nuovi arrivati ha ricostruito il villaggio e, armato di trapani e di tonnellate di metallo, ha realizzato ciò che oggi attrae arrampicatori dall’Europa intera. Negli ultimi anni, Arbonés si vede più impegnato nel risanamento delle vecchie vie più che nell’allestimento di quelle nuove. Ciò nonostante, negli ultimi due anni quelle che hanno visto la luce sono oltre 200. La maggior parte di esse si trova nei settori denominati «l’Herbolari» e «Onassis», ma anche nel settore più vecchio, «El Salt de la Reina Mora», il «salto della regina moresca». A Siurana si cominciò a lavorare già nel 1959. Proprio nel punto in cui, stando alla leggenda, una principessa moresca precipitò nel vuoto con il suo cavallo per non cadere nelle mani della crociata della Reconquista, due scalatori della vicina città di Reus aprirono la prima via, lunga 90 metri, El Salt de la Reina Mora, in stile tecnico: quando negli anni Ottanta assistette all’ingresso dell’arrampicata sportiva, Siurana era già da tempo famoso come campo giochi dell’arrampicata alpina.

Informazioni ben protette

Pete O’Donovan, autore di «Tarragona Climbs», la guida più recente della regione, ricorda quei tempi: «Quando, più di vent’anni fa, al Refugi Ciríac Bonet chiesi una guida della regione mi guardarono come se avessi chiesto di essere ammesso a una cerchia celeste.» Solo malvolentieri si fornivano quelle informazioni gelosamente custodite agli estranei. Come uno dei primi stranieri negli allora nuovi siti, O’Donovan, che vive nella zona da ormai più di 30 anni ed è sposato con una catalana, fu guardato con grande scetticismo.

Dagli anni Novanta, tuttavia, il flusso dei visitatori internazionali non si è mai arrestato. Numerose vie dai massimi livelli di difficoltà, come La Rambla, una 9a+ attrezzata nel 1994 da Alex Huber e successivamente ampliata da Ramon Julian, fanno sì che Siurana sia regolarmente citato nella stampa specializzata. Gli ultimi titoli cubitali sono quelli dedicati a Alexander Megos e alla sua prima onsight di una 9a (Estado Critico).

Classici tra i 40 settori sono il piccolo «La Regleta» o il «Can Piqui Pugui», uno dei primi settori aperti a Siurana. Le 60 vie da 6a a 8c+ corrono generalmente su una roccia eccellente con appigli dagli spigoli affilati. Una varietà di vie facili è invece presente nel settore «El Grau de Massets». Nella parete prevalentemente verticale di «La Siuranella», vie con innumerevoli fori, fessure fantastiche e tetti verticali offrono un massimo di diversificazione. Va infine citato ancora «El Pati», con 20 vie dell’ottavo grado francese, due 9a (Estado Crítico e La Reina Mora, entrambe attrezzate da Julian), una 9a+ (La Rambla, che prende il nome dal famoso corso di Barcellona) e la 9b di Chris Sharma, Golpe de Estado. Numerosi progetti attendono poi ancora la prima.

Polizia e contadini con la doppietta

Qui incontriamo Dani Andrada, pioniere spagnolo dell’arrampicata sportiva e uno dei più importanti protagonisti della trasformazione di Siurana in mecca della scalata. Ogni anno, questo instancabile 38enneprepara una cinquantina di vie, molte delle quali a Siurana e nelle immediate vicinanze. Se di notte, in un sito di arrampicata catalano si vede una lampada frontale riflessa su una parete e si sente girare un trapano, non può trattarsi che di Andrada. Che così facendo non abbia attirato solo zanzare, ma anche la polizia e persino dei contadini armati di doppietta è solo uno degli innumerevoli aneddoti che si sentono narrare su Dani Andrada.

Malgrado tutto questo, la via che per lui divenne un’ossessione non è una sua creazione: «In La Rambla, contrariamente alle mie abitudini ho lavorato davvero sodo – ma ciò nonostante non ce l’ho fatta», confessa colui che, al tempo in cui l’arrampicata diventava sport agonistico, fu più volte campione spagnolo e, nel 1999, addirittura mondiale di speed. La ricetta del suo successo risiede nel suo entusiasmo mai domo che, quando spiega il percorso de La Rambla, si esprime attraverso ognuno dei suoi ampi ed energici gesti e scintilla nei suoi occhi mediterranei, mentre le sue mani larghe e nerborute, dai palmi callosi, fendono selvaggiamente l’aria.

Nella sua modesta finca situata al centro di un piccolo sito di bouldering non lontano da Siurana, la diligente descrizione di tutte le sue scalate riempie numerosi classificatori: sono oltre 2800 le vie di ottavo e poco meno di 40 quelle di nono grado francese – tra cui più di una nel vertiginoso 9b – quelle percorse rotpunkt da Andrada. Ma, almeno sinora, La Rambla gli è stata preclusa. «È raro che lavori a un progetto più di un paio di giorni. Tuttavia, in La Rambla mi sono davvero ostinato», dice, e storce espressivamente il volto. Nel 2000, dopo quattro anni di tentativi, fu sul punto di farcela, ma fallì nell’ultimo tiro: «poi mi passò la voglia di andare avanti.»

«Un po’ animalesco»

Ora, però, sembra che la voglia sia tornata. «È come quel sassolino nella scarpa che prima o poi ti devi togliere», scherza Andrada, che gli amici più stretti chiamano «la scimmia». È sospeso nello strapiombo mozzafiato, grigio-rossastro della Rambla con i piedi piantati contro la parete. A trattenerlo, un solo dito in un minuscolo foro, mentre l’altra mano tasta la roccia alla ricerca di un’altra presa. La tensione del corpo mette in evidenza ogni muscolo – una lezione di anatomia per tutti coloro che, ora affascinati, guardano verso l’alto. Con un grido si lancia in avanti, penzola brevemente le gambe nel vuoto, avanza arrampicando metro dopo metro, fino a quando lo spettacolo d’arte si conclude con una brusca caduta. «Peccato», ride Andrada. «Ma il mio stile è un po’ animalesco, da cui il mio soprannome», aggiunge.

Più tardi, sulla terrazza del Can Ciríac, racconta come gli arrampicatori di tutto il mondo, che anno dopo anno raggiungono in numero sempre maggiore la spopolata provincia catalana, sono sì all’origine della particolare atmosfera, ma portano con sé anche molti rifiuti. E per la un tempo tanto famigliare scena catalana dell’arrampicata, il fatto che li abbandonino volentieri nella natura sino ad ora intatta comincia a costituire una preoccupazione.

«Qui in Catalogna, quasi tutte le rocce da arrampicare si trovano in terreni privati. Più gente viene, più è importante che lascino pochissime tracce. Altrimenti, i contadini ne avranno ben presto abbastanza e vieteranno l’arrampicata nei loro terreni», avverte Andrada, che ritiene la tutela della natura il maggiore problema futuro e incita a organizzare sempre più interventi di pulizia nei siti: «Anche se fosse soltanto una goccia nel mare, dimostrerebbe che ci stiamo dando da fare.» A Siurana, originalità e solitudine sono ormai cose perdute. Tuttavia, le masse si suddividono in settori e vie sempre nuovi, e la fine degli ampliamenti non è per il momento in vista. «A Siurana, la roccia è sfruttata al massimo al 20 percento», afferma Toni Arbonés.

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