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Sulla barriera meteorologica Con gli sci sopra il passo del San Bernardino

Il San Bernardino rinasce a nuova vita. Gli impianti sono di nuovo in funzione. Ciò nonostante, la regione offre molto agli sciescursionisti, soprattutto a quelli che amano le discese ripide.

È in conversioni successive che si sale l’erta Foppa del Piz verso la cresta corniciata. Proprio davanti alle punte dei nostri scarponi, il Piz Uccello precipita quasi verticale verso il passo del San Bernardino, che collega la germanofona valle del Reno all’italofona Mesolcina. A nord, dal vasto mare di nebbia spuntano solo i picchi delle montagne, mentre sul versante sudalpino il tempo mostra il suo volto migliore. Nulla di straordinario, qui, sullo spartiacque nord-sud, che non separa solo l’acqua, ma fa cozzare tra loro anche i fronti meteorologici.

Il monte degli uccelli

Per il passo alpino menzionato per la prima volta come Mons Avium (montagna degli uccelli) nel 942, una strada lastricata correva già in epoca romana. Il nome odierno del passo risale invece al tardo medioevo, quando al suo piede meridionale fu eretta una cappella dedicata al santo Bernardino da Siena. Ma il Piz Uccello ancora ricorda la sua antica denominazione. Molto probabilmente si rifà agli uccelli migratori che, in primavera e in autunno, lo superano in folti stormi – e nel frattempo hanno addirittura scoperto la scorciatoia rappresentata dalla galleria.

Il traforo non esisteva ancora, quando nell’inverno del 1799 un’armata napoleonica avanzava da sud. Giunta sul passo, nella neve e nel gelo dovette affrontare in battaglia 500 uomini della Landsturm dei renani. Nonostante la strenua resistenza degli autoctoni, i francesi ebbero la meglio. Con un po’ di immaginazione si possono sentire oggi ancora i richiami di guerra di allora. Ora, però, a riportarci alla realtà sono i secchi richiami delle taccole. Con prudenza ci lanciamo nelle prime curve nel ripido pendio della vetta, ma ben presto ci ritroviamo a frusciare nella splendida neve primaverile giù per la Val Vignun. Gli sci scorrono quasi imponderabili sopra il tappeto morbido e bianco. Non se ne ha mai abbastanza di questa sensazione di felicità, che libera la testa e permette di dimenticare le preoccupazioni quotidiane.

Nuove speranze per il turismo invernale

San Bernardino, il villaggio all’estremità meridionale del passo, ha trascorso gli ultimi anni da bella addormentata. Da tempo meta turistica per gli sport invernali molto apprezzata da ticinesi e italiani, quattro anni or sono ecco l’infausta notizia: mancano i soldi per rinnovare gli impianti di risalita e il loro esercizio viene sospeso. Crollano allora le cifre dei pernottamenti, l’industria alberghiera deve lottare per la sopravvivenza. Era diventato spaventosamente tranquillo, a San Bernardino. Ora, però, la speranza è tornata. Già da tempo correvano voci secondo cui gli impianti sarebbero stati riaperti. E in effetti, la famiglia Ghezzi, esercente delle installazioni, comunicava a fine ottobre la sua intenzione di rimettere in funzione quelli di Confin a partire dall’8 dicembre, pure se inizialmente solo nei fine settimana e durante le vacanze. Se il progetto verrà effettivamente realizzato è un fatto che al momento della chiusura redazionale non è dato di sapere. Albergatori e ristoratori ripongono comprensibilmente grandi aspettative nella probabilità di una rinascita degli sport invernali a San Bernardino. La pausa forzata ha tuttavia conferito una nota del tutto particolare alle escursioni con gli sci nella regione, e le vette attorno al passo offrono in un modo o nell’altro un’atmosfera alpina e discese da sogno.

La popolazione contraria al Parco nazionale

Nel nostro secondo giorno di escursione, veli di nebbia aleggiavano sulle creste. Nonostante le previsioni incerte ci mettiamo in marcia di primo mattino. Il sollievo giunge all’Alp de Mucia: le nubi si squarciano e ci regalano un’inattesa quanto discontinua vista sulle montagne circostanti. La meta è lo Zapporthorn, al termine di una lunga cresta dentellata a ovest del passo. Ci godiamo la quiete, consapevoli che laggiù, sotto di noi, automobili e autocarri imboccano la galleria. La nuova neve caduta durante la notte ha cancellato ogni traccia e il paesaggio sembra avvolto nell’ovatta.

Solitamente, per il canalone di vetta dello Zapporthorn occorrono piccozza e ramponi. Oggi non è diverso. Nel tratto inferiore, il ghiaccio solido luccica sotto il velo rado di neve fresca. Dopo la sfacchinata nel canalone innevato, in cima ci attende il da tempo presagito sguardo sul cuore del gruppo dell’Adula, il bacino sorgentifero del Reno posteriore. Qui, su 1230 chilometri quadrati attorno all’Adula, era prevista la realizzazione di un secondo parco nazionale: un progetto importante e articolato che, a causa dei limiti alla libertà di movimento nella sua zona centrale, ha suscitato accese discussioni nelle cerchie del CAS e delle guide di montagna. Lo scorso 27 novembre, l’importante progetto è naufragato alle urne. Solo nove dei 17 comuni ticinesi e grigionesi si sono espressi in favore del Parc Adula. Per i promotori si è trattato di una pillola amara, poiché hanno visto andare in fumo 16 anni di lavoro. I timori di un’eccessiva regolamentazione e della limitazione della libertà di manovra hanno apparentemente avuto la meglio sulla promessa di un rilancio economico duraturo.

A sud-est gli ultimi veli di foschia si attardano attorno alle vette innevate, mentre giù in fondo la Val Calanca emerge nei caldi colori del sud. La nostra prossima destinazione si offre in un bianco immacolato: il Piz de Mucia.

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