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Sulle tracce degli alpigiani Dalla Valle Maggia alla Val Verzasca

Qualche anno fa, l’Alpe di Spluga era in rovina. I suoi edifici sono stati rinnovati grazie al volontariato e oggi l’alpe all’estremità della Valle di Giumaglio è una capanna per escursionisti autonomi.

«Natur konkret» si legge nel cartello all’ingresso della località di Coglio, nella bassa Valle Maggia. Il turgoviese Guido Leutenegger vi ha costruito una stalla e installato il quartier generale di un’azienda di carne bio. Dal 1997 i suoi manzi scozzesi percorrono i pascoli che vanno dalle Centovalli alla Val Colla, sopra Lugano. In assenza di sfruttamento, queste superfici diventerebbero boscaglia o bosco, e diverse specie animali perderebbero il loro habitat. Questi bovini cappelloni stanno tutto l’anno all’esterno e la stalla serve in realtà soltanto quando un animale è malato.

L’iniziativa di Leutenegger ha rappresentato un piccolo punto di contatto con uno sviluppo che negli ultimi anni ha caratterizzato il Cantone Ticino. L’agricoltura alpina e di pianura – un tempo attività lucrative fondamentali nel Cantone – sono costantemente regredite. Oggi, il settore primario non svolge che un ruolo marginale. Molti alpeggi e pascoli non vengono neppure più occupati.

È così anche per l’Alpe di Spluga, sopra Giumaglio, il villaggio vicino a Coglio. L’alpeggio al 1838 metri di altitudine è la prima tappa della nostra traversata di due giorni dalla Valle Maggia alla Val Verzasca. Il sentiero parte vicino ai grotti, proprio dietro il vecchio nucleo del villaggio e la chiesa di Giumaglio. Le numerose svolte delle ripide scalinate lungo la Valle di Giumaglio portano fino all’Alpe Arnau. Il lavoro richiesto dalla loro costruzione è inimmaginabile.

 

La pergola crea spazio per coltivare

Soprattutto, diventa chiaro quanto fosse difficile la sopravvivenza nella Valle Maggia. Si sfruttava ogni metro quadrato di terra, dal fondovalle fino sugli alpeggi. Ne sono ancora testimoni i terrazzamenti che successive generazioni hanno realizzato attorno ai villaggi per strappare terreno ai ripidi versanti. Oppure le pergole: la vite veniva distesa in alto su pilastri in granito – ma non per potersi sedere alla sua ombra, bensì per piantarvi sotto altre colture.

Ad Arnau si incontrano dei rustici ristrutturati dai proprietari. Un tempo semplici stalle, sono oggi diventati piccole case di vacanza. I ticinesi investono molto tempo e tante energie nella trasformazione delle cascine, che poi frequentano volentieri nei fine settimana assieme alla famiglia. I simboli di quella che fu l’agricoltura alpina sono ormai diventati icone del tempo libero. Le bandiere svizzere nei giardini evidenziano il patriottismo; le croci, le cappelle e le madonne affrescate indicano la tradizione cristiana – con occasionali eccezioni: su un rustico di Arnau spicca visibilissimo un ritratto di Che Guevara.

 

La Maggia è un ruscello

In fondo, tuttavia, i rustici rinnovati rispecchiano la forte identificazione dei vallerani con il passato rurale. Questo legame emotivo dei ticinesi con i loro antenati è piuttosto difficile da comprendere nella lontana Berna federale, per i cui funzionari le riattazioni dei rustici – al di fuori delle zone edificabili – sono e rimangono una spina nel fianco. Ciò che accade quando nessuno si occupa più delle vecchie stalle lo si osserva a Berzona. Arnau è raggiungibile da Giumaglio anche passando per questa località: la strada è un po’ più lunga, ma in compenso meno ripida. Qui il bosco ha ormai da tempo sopraffatto gran parte dell’antico insediamento.

Piccole aperture nei castagneti offrono sempre nuovi scorci sul piano della Maggia. Qui il fiume si apre la via attraverso un paesaggio rivierasco che si gode importanza europea. Dagli anni Cinquanta, gli affluenti della Maggia sono per la gran parte trattenuti o deviati dietro le dighe della società elettrica Ofima e ricacciate a valle attraverso le turbine, per cui nel suo stato normale il fiume porta poca acqua. Un ruscello. Nelle generazioni più vecchie, le opere idroelettriche hanno prodotto un trauma o, come si espresse Bruno Donati, ex curatore del museo di Cevio: «Al momento in cui l’acqua fu catturata seguì un grande silenzio, un vuoto, come quello che lascia la perdita di una persona amata.» Solo dopo forti piogge e intemperie è possibile immaginare ciò che la Maggia era un tempo. Allora il fiume si trasforma rapidamente in una corrente impetuosa.

Da Arnau, il sentiero conduce attraverso betulle e faggi sulla dorsale dopo Costa e infine alla sella per l’Alpe di Spluga. Le cime delle montagne fanno da corona a questo alpeggio, abbandonato più di cinquant’anni or sono. Fino al 1957, Giuseppe Franchina e suo figlio Cristoforo caricavano l’alpe con una quindicina di vacche, 100 capre, alcuni maiali e un toro.

Tempi passati. Sull’alpe, solo un piccolo «museo» con alcuni strumenti agricoli ancora li ricorda. Fa parte di un gruppo di 11 edifici interamente ricostruiti e rinnovati tra il 2004 e il 2005 dal Patriziato di Giumaglio, proprietario dell’alpeggio. Il risultato si vede: tre di questi rustici servono da alloggio di montagna per gli escursionisti con 14 posti letto, l’edificio principale dispone di una cucina e di una sala comune, mentre un’altra costruzione funge da dispensa con generi alimentari e bevande. Per i gruppi è a disposizione un altro rustico con dieci posti letto.

Per portare in questo stato l’Alpe di Spluga, abbandonato da decenni, più di 100 volontari hanno eseguito un lavoro enorme, sacrificando una ventina di fine settimana. E i risultati parlano da soli: l’Alpe di Spluga è diventato un gioiello. C’è addirittura la corrente, grazie a una microcentrale che sfrutta l’acqua del vicino torrente. «Per motivi estetici non abbiamo voluto dei pannelli solari», spiega Davide Cerini, presidente del Patriziato di Giumaglio.

 

Capanne per autonomi

L’Alpe di Spluga non è solo rinnovato in modo autentico, ma rappresenta al tempo stesso il crocevia di due assi. Da un canto sorge sulla Via Alta Maggia; dall’altro sul passaggio dalla Valle Maggia alla Val Verzasca. La Verzasca, che è anche la destinazione di questa escursione. Il passaggio dall’Alpe di Spluga ha luogo il secondo giorno, lungo un sentiero ben marcato, attraverso la Bocchetta Canòva (2226 m). Dopo la sella, con vista sul Monte Zucchero, si scende in ampi archi su un terreno detritico e infine in curve fino alla Capanna Osola, situata sull’alpeggio omonimo – che, questo ci rallegra, d’estate è caricato. Al pari dell’Alpe di Spluga, la capanna è allestita per escursionisti autonomi ed è attualmente in fase di ampliamento. Attraverso la Val d’Osura, una laterale poco percorsa della Verzasca, detta anche Val d’Osola, si continua a scendere e infine, lungo una strada che sembra non voler finire, si raggiunge Brione/Verzasca. I rustici, queste testimonianze di un passato rurale, sono anche qui onnipresenti. Proprio questo accomuna la Maggia e la Verzasca, peraltro anche morfologicamente tanto diverse.

Capanne non custodite

Molte capanne ticinesi sono pensate per escursionisti autonomi, cioè non prevedono la presenza costante di un custode. Solitamente, queste capanne sono però controllate dai loro proprietari, per la gran parte patriziati o associazioni. Spesso vi si trovano generi alimentari e bevande che gli ospiti possono acquistare. Il pagamento di pernottamenti e consumazioni ha luogo direttamente in cassa oppure mediante polizza di versamento. «La maggior parte paga ancora direttamente nella cassa», osserva Davide Cerini, presidente del patriziato di Giumaglio, proprietario dell’Alpe di Spluga.

Il sistema funziona apparentemente senza grandi problemi. «È difficile verificare se proprio tutto quanto viene pagato, ma abbiamo l’impressione che la disciplina sia ottima», commenta Aron Piezzi, sindaco di Maggia. Analogamente si esprime Lorenza Gianettoni, segretaria della Comunità Alpe Osola, proprietaria delle capanne Osola e Sambuco – che ha tuttavia purtroppo dovuto constatare anche un aumento di piccoli atti di vandalismo, soprattutto alloggi lasciati in disordine e oggetti rotti. Lorenza Gianettoni fa perciò appello a tutti i frequentatori della montagna affinché rendano attenti i trasgressori alle loro responsabilità e notifichino tali eventi.

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