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Un coperchio per il tetto del mondo Stagione straordinaria per l’Everest

La scarsità di neve ha reso il Monte Everest più pericoloso che mai. Il numero degli alpinisti che lo hanno affrontato nella stessa notte era enorme. E gli sherpa hanno incontrato grandi difficoltà nell’attraversamento della cascata del Khumbu. Il bilancio: 10 morti, sei dei quali in una sola notte.

Tutto era già partito a inizio marzo, quando i capi spedizione erano ancora occupati con i preparativi e i partecipanti riempivano gli zaini con il necessario per la loro avventura sul gigante da 8848 metri. Come ogni anno, gli sherpa delle 84 spedizioni si erano messi in cammino tre o quattro settimane prima dei membri per allestire i campi base delle rispettive squadre. Sul versante sud dell’Everest, in Nepal, già allora ci si ponevano domande sulle temperature elevate. «I miei sherpa mi hanno chiamato dal campo base asserendo che lavoravano in maglietta, il che è del tutto insolito in questa stagione», diceva Russell Brice, uno dei maggiori offerenti commerciali di spedizioni sull’Everest.

 

Nessun affollamento inconsueto

Ad aprile ecco arrivare i capi spedizione, che assieme ai loro gruppi occupano i rispettivi villaggi temporanei, costruiti dagli sherpa in settimane di duro lavoro. Sul versante meridionale, in Nepal, sono presenti 64 squadre; nel Tibet, a nord, sono solo 20. «È normale che in Tibet ci vada un numero minore di spedizioni, perché le pratiche di entrata nel Paese per gli scalatori sono estremamente complicate. Non si può neppure essere certi che le autorità cinesi aprano effettivamente le frontiere del Tibet», spiega Brice, che fino al 2008 organizzava le sue spedizioni sul versante settentrionale. Così, nella parte nepalese si insediano più di 330 partecipanti alle spedizioni e 400 sherpa, mentre in quella tibetana si contano circa 110 avventurosi e 100 sherpa. Secondo Elizabeth Hawley, che registra nella sua banca dati tutte le spedizioni sulle vette del Nepal, non si trattava di cifre insolitamente alte.

Ma cosa è realmente successo quest’anno sul Monte Everest? La prima onda d’urto ha colpito il campo base il 6 maggio 2012, con l’annuncio da parte della «Himalayan Experience», l’impresa di Brice, della revoca della sua spedizione con destinazione Everest, Lhotse e Nuptse a causa delle condizioni incerte della montagna. «Quest’anno, il pericolo oggettivo sulla montagna era semplicemente troppo grande. Nella mia qualità di offerente ho dovuto prendere questa decisione per il mio team, e in particolare anche per i miei sherpa», afferma Brice. I motivi principali citati da Brice nel suo sito web sono il percorso estremamente pericoloso attraverso la cascata del Khumbu, che quest’anno passava proprio sotto i giganteschi seracchi sospesi della spalla ovest del Monte Everest, le frequenti frane di pietrisco sul versante del Lhotse tra il campo II e il campo IV e il tempo insolitamente caldo. Il grande affollamento non rientrava quindi assolutamente tra i suoi motivi ufficiali.

 

150 aspiranti all’Everest su sei chiodi da ghiaccio

«Ovviamente mi sono preoccupato. Quando nelle fotografie del 18 e 19 maggio ho visto come più di 150 persone salivano lungo un’unica corda fissata a sei soli chiodi da ghiaccio mi è venuto un colpo», continua Brice. Secondo Dawa Steven Sherpa, direttore dell’azienda nepalese «Asian Trekking», la ragione per cui così tanti aspiranti all’Everest si sono concentrati proprio in quel giorno è da attribuire alla limitatissima finestra meteorologica. «Siccome prima del 18 maggio non abbiamo mai avuto tempo buono e il vento sopra gli 8000 metri era semplicemente troppo forte, gli sherpa hanno potuto fissare le corde alla vetta solo quel giorno. E dopo quasi due mesi al campo base dell’Everest, molte spedizioni non volevano semplicemente più aspettare e hanno tutte lanciato il loro tentativo nel medesimo giorno», spiega Dawa Sherpa. Ciò che ne è venuto fuori, lo si vede nelle immagini: centinaia di persone allineate in una lunga coda che si alza lentamente lungo il versante del Lhotse. Quando l’esodo ebbe inizio, l’alpinista britannico Ted Atkins si trovava al campo II, a 6400 metri: «Quando alzai lo sguardo non credetti ai miei occhi. Vidi un gigantesco bruco che si trascinava lentamente dal campo III alla sella sud, a 8000 metri.»

I partecipanti che il 19 maggio erano in cammino per la vetta rimasero bloccati anche fino a tre ore allo Hillary Step, il punto chiave a circa 8600 metri. I lunghi tempi d’attesa erano dovuti ad alcuni alpinisti in difficoltà, colpiti da congelamenti a causa dell’inattività prolungata o addirittura in manco di ossigeno. «Un grave problema è che oggi alcuni turisti della montagna ricorrono all’ossigeno già a partire dal campo II (6400 metri). Questo li rende non sufficientemente acclimatati, e quando più in alto l’ossigeno comincia realmente a scarseggiare possono derivarne situazioni molto pericolose», commenta Ralf Dujmovits, alpinista estremo tedesco che aveva lanciato il suo tentativo il giorno precedente alla massa senza riserve di ossigeno.

 

Una valanga di ghiaccio seppellisce il campo III

«A questo bisogna aggiungere che, sull’Everest, il numero degli alpinisti esperti si fa sempre più ridotto, e molta gente ha pochissimo esercizio. Per questa ragione, raggiungono l’ultimo campo a 8000 metri a passo di lumache, molto tardi, e il giorno della salita alla vetta sono completamente esausti, il che li rende ancora più lenti. Questo genera più code che in passato», continua Dujmovits. Che ha avuto grande fortuna: lasciata da poco la sua tenda a 7200 metri, una gigantesca valanga di ghiaccio si è staccata dalle pendici del Lhotse e ha seppellito più di 15 tende al campo III. «La valanga avrebbe potuto uccidere molta gente. È per pura fortuna che in quel momento nessuno si trovava nelle tende. Il fatto che uno sherpa in cammino sul fianco del Lhotse ne sia stato gravemente ferito è stato trascurato da molti», dice Brice. «Ed è anche una fortuna che quest’anno ‹solo› quattro sherpa si siano feriti. Se si fosse trattato dei membri di una spedizione, la cosa avrebbe fatto molto più rumore.»

 

Regolamenti senza opportunità

Gli eventi e la grande ressa hanno sollevato molte domande, e alcuni offerenti occidentali chiedono che il numero degli alpinisti sul Monte Everest venga meglio controllato ed eventualmente addirittura limitato. «Questo non accadrà mai. Il turismo della montagna rappresenta la gran parte del prodotto interno lordo del Nepal, che rimane pur sempre uno dei Paesi più poveri al mondo», commenta Dawa Sherpa di Asian Trekking. «Personalmente ritengo che in futuro dovremmo comunque limitare il numero dei tentativi di raggiungere la vetta.» Secondo lui, gli ufficiali di collegamento assunti dal governo dovrebbero stabilire chi possa lanciare il proprio tentativo in un determinato giorno. Ma Brice la vede diversamente: «Tanto per cominciare, molti ufficiali di collegamento non riescono neppure ad arrivare al campo base, e poi non ne sanno assolutamente nulla di finestre meteorologiche, condizioni della montagna e alpinismo. Non credo che in un Paese corrotto come il Nepal qualche regolamento abbia la possibilità di funzionare.» Brice condivide l’opinione di Dujmovits e argomenta che troppe persone inesperte vogliono raggiungere il tetto del mondo. «Constatiamo costantemente che i partecipanti non sanno usare i ramponi o calarsi con la corda. In futuro, gli aspiranti all’Everest dovrebbero dimostrare di aver già scalato con successo almeno un 8000», conclude.

 

La dignità della «Madre dell’universo»

Con circa 150 arrivi in vetta, il 19 maggio 2012 entrerà probabilmente nella storia del Monte Everest come uno dei giorni di ascensione di maggior successo, e ben presto si dimenticherà che, in quel giorno glorioso, sei persone hanno pagato a caro prezzo la realizzazione del loro sogno. Non sarà mai possibile evitare incidenti tragici sul Monte Everest, e ancora si dovrà discutere se in futuro la sua ascensione dovrà essere in qualche modo regolamentata. Una cosa è tuttavia chiara: il punto più alto della Terra rimarrà sempre una destinazione privilegiata, ed è perciò importante che gli offerenti commerciali e il Governo nepalese forniscano il loro contributo affinché la «Madre dell’universo» conservi anche nell’avvenire la sua dignità.

Le cifre della stagione

Circa 550 ascensioni di successo da entrambe le parti.

10 morti. Circa 950 persone (sherpa, guide, partecipanti) hanno occupato i due campi base. La vetta è stata raggiunta da una giapponese di 73 anni e da una sedicenne nepalese.

Tra il 1953 e il 2011, il Monte Everest è stato scalato con successo 5644 volte, di cui 171 senza riserve di ossigeno, tra gli altri dagli svizzeri Ueli Steck, Jean Troillet ed Erhard Loretan.

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