Un alpeggio chiamato desiderio | Club Alpino Svizzero CAS
Sostieni il CAS Dona ora

Un alpeggio chiamato desiderio La ristrutturazione delle costruzioni di montagna: una falsa buona idea?

Già in crescita prima della pandemia, negli ultimi due anni la ristrutturazione di baite e rustici a scopi abitativi è esplosa. I principali vantaggi addotti – sostenibilità, semplicità, salute, risparmio – sono credibili? Non secondo uno studio approfondito condotto da un architetto vallesano.

È probabilmente il migliore indicatore del loro attuale successo: nella sua piattaforma online, il gigante svizzero dell’immobiliare ImmoScout24 dedica una propria categoria di ricerca a rustici, masi e altri edifici alpestri in vendita in Svizzera. Alla chiusura di questo articolo vi figuravano 137 oggetti, dall’alpeggio di tre locali (CHF 540 000) situato a Praden (GR) alla piccola stalla trasformabile di Blitzingen (VS; CHF 60 000) passando per il rustico comodamente ristrutturato (CHF 1 060 000) di Palagnedra (TI).

Stando agli osservatori del mercato immobiliare, la domanda, già in forte aumento prima della pandemia, negli ultimi due anni sarebbe letteralmente esplosa. E i prezzi sono saliti alle stelle. A tal punto da «diventare pure fantasie», come commenta un residente di lunga data del comune grigionese di Surses riferendosi alle baite graziosamente riattate di Munter, situate a oltre 1900 metri di altitudine di fronte al maestoso Piz Mitgel. «Ai tempi di mio nonno, qui si sentivano risuonare i campanacci e il romancio dei luoghi. Oggi, a imperare è il suono delle SUV di marche altisonanti e del dialetto zurighese», aggiunge con una strizzatina d’occhio.

Alcune cattive sorprese

Negli ultimi anni, questo boom della rivendita – e spesso della trasformazione – di edifici rustici incastonati tra le montagne ha fatto scorrere fiumi di inchiostro. Va detto che taluni acquirenti hanno dovuto affrontare delle cattive sorprese. Come nel caso di neoproprietari i quali, sfortunatamente solo dopo la firma del contratto, hanno dovuto constatare che il loro bene non si trovava in zona edificabile. Altri, felici di essere entrati in possesso di una casetta situata in uno scenario da cartolina per un tozzo di pane, sono rimasti allibiti quando hanno realizzato l’entità dei lavori e degli interventi che li attendevano.

Nonostante questo, la richiesta di rustici, fienili e stalle da riattare supera attualmente di gran lunga l’offerta. È da un canto vero che numerosi argomenti sembrano recare sostegno a questo riappropriarsi di edifici rurali in montagna: sostenibilità (rinnovare l’esistente invece di costruire a nuovo), salute (offrire al proprio corpo l’aria fresca e al proprio spirito più quiete), economia (rivitalizzare talune regioni alpine a volte quasi agonizzanti), semplicità (adozione di uno stile di vita più armonioso).

Speculazione immobiliare

Se c’è qualcuno che simili argomenti lasciano perplesso è Patrick Giromini. Confrontato al «numero di affermazioni che intuitivamente mi apparivano come antiverità», il dottore in architettura e docente al Politecnico federale di Losanna ha deciso di vederci chiaro. Durante sei anni ha accompagnato i suoi studenti nelle Alpi vallesane con l’intento di realizzare un inventario degli edifici utilitari propri della cultura rurale. La sua ipotesi di partenza era tanto semplice quanto radicale: «È meglio abbandonare i vecchi fienili che trasformarli applicando alla montagna una logica urbana.»
Per quanto ne sapesse, nessuno studio architettonico approfondito era mai stato svolto sul tema. «Bisogna dire che quando entra in ballo la speculazione immobiliare, come sempre più spesso accade, le cose si complicano…» A questo proposito, Patrick Giromini pone l’accento sulla discrepanza tra il prezzo – spesso assai elevato – dell’idillio montano e l’immagine collettiva della baita, del granaio o dell’alpeggio come sinonimi di frugalità. Paradossalmente, è proprio la semplicità della costruzione a rivelarsi uno dei principali motivi del suo successo commerciale.

La montagna appiattita

Lo studio sul terreno ha confermato l’ipotesi di base dello studioso? «Attenzione: non sto dicendo che queste costruzioni debbano sempre essere lasciate andare in rovina», precisa Patrick Giromini. Ma i due vantaggi più spesso citati dai sostenitori della ristrutturazione e dell’abitabilità di questi edifici – la sostenibilità e la semplificazione dello stile di vita – andrebbero presi con le molle. Per quanto concerne l’uso delle risorse, «il bilancio è negativo, poiché i benefici connessi al riutilizzo e al riciclaggio di materiali o elementi costruttivi sono controbilanciati dal ricorso a materiali nuovi, necessari per il rispetto di criteri normativi e regolamenti in materia». Senza contare «i vincoli finanziari che spesso dettano le scelte: nella gran parte dei casi, adattare una vecchia finestra alle esigenze termiche comporta costi maggiori rispetto alla produzione di una nuova».

Quanto all’immagine della cosiddetta semplicità, cioè del recupero di modalità di vita elementari, «non è necessariamente legata al contesto alpino, poiché è possibile vivere altrettanto semplicemente in una megalopoli che ai margini di un alpeggio a 1800 metri di quota». Ed è forse proprio qui che si cela il principale paradosso – e pericolo – dell’esodo alpino: «La nostra società tende ad ‹appiattire› la montagna per introdurre una somiglianza morfologica con la città, pur mantenendo l’idea che la montagna sia il crogiolo di stili di vita preservati, in quanto autentici e immacolati.» Ma «il modo in cui consumiamo il nostri territorio non viene in alcun modo messo in discussione.»

«
«La nostra società tende ad ‹appiattire› la montagna per introdurre una somiglianza morfologica con la città, pur mantenendo l’idea che la montagna sia il crogiolo di stili di vita preservati.»
Patrick Giromini,
dottore in architettura

Ein einfaches Leben und die Rückkehr zu einer elementaren Lebensweise sind «nicht zwingend an einen alpinen Kontext gebunden, denn man kann in einer Metropole genauso einfach leben wie auf einer Alp auf 1800 Metern». Hier liegt vielleicht der zentrale Widerspruch – und die Gefahr – des alpinen Exodus: «Unsere Gesellschaft neigt dazu, die Berge ‹einzuebnen› und eine morphologische Ähnlichkeit mit der Stadt herzustellen, während sie gleichzeitig die Vorstellung bewahrt, dass die Berge der beste Ort für eine gesunde Lebensweise sind, weil sie authentisch und intakt sind.» Aber eine grundsätzliche Infragestellung der Art und Weise, wie wir den Boden konsumierten, finde nicht statt.

Nuove leve in arrivo!

Questa urbanizzazione – per non dire gentrificazione – delle zone di montagna l’ha osservata anche il nostro interlocutore grigionese, che cita l’esempio degli spazi di co-working, il cui numero è in crescita nei villaggi d’altitudine del suo cantone. «Sono senz’altro utilizzati da turisti adepti del telelavoro, ma anche e soprattutto da persone che di quella secondaria hanno fatto la loro residenza principale dopo la pandemia.» Un problema per gli autoctoni? «Nel comune di Surses abbiamo appena votato un credito per la costruzione di una nuova scuola, poiché il numero dei bambini sta esplodendo. Mentre da decenni, qui ci si preoccupava per l’esodo degli abitanti: non mi sembra che abbiamo di che lamentarci…»

Per approfondire

Patrick Giromini, Transformations silencieuses, Étude architecturale du bâti alpin, MetisPresses, 2022. Versione digitale da scaricare: www.metispresses.ch/en/transformations-silencieuses-numerique

Feedback