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Al San Salvatore per direttissima

Hinweis: Questo articolo è disponibile in un'unica lingua. In passato, gli annuari non venivano tradotti.

Di Augusto Giugni.

Chi non conosce il S. Salvatore? la montagna classica di Lugano, il Pilatus del Ticino, il nostro Salève; la montagna che appare su tutte le fotografie, illustrazioni e cartelloni-réclame di Lugano, colle sue forme armoniose e morbide; la montagna dal panorama incantevole, sulla splendida conca del Ceresio e sul vasto anfiteatro delle Alpi, dal Monviso al Bernina. Essa offre il grande vantaggio della funicolare, con l' attrattiva di una comoda e pittoresca mulattiera.

Anche dalla parte del lago, che è il lato più impervio, ci sono sentieri e canaloni praticabili. La nostra salita però voleva essere qualche cosa di più; una via inedita, per parete sud; una direttissima dalla base al vertice, una specie di perpendicolare dalla strada alla cima ( e, se si è dovuto fare delle piccole deviazioni, invero, non è stata colpa nostra ). Eppoi, io almeno, intendevo fare esercizi di corda, ai quali mi aveva appena iniziato l' amico carissimo e maestro impareggiabile: Magg. Gianola. ( Faccio notare che ero e sono tuttora un principiante. ) Avevo scoperto al Club Alpino un compagno a tutta prova: Tita Calvi, il quale mi comprese perfettamente. Senza di lui, non avrei potuto fare nè questa, nè altre salite interessanti. Studiai, dalla strada di Melide e dal lago, il tracciato ideale. E... una sera di fine inverno, si decise. Bisognava andare prima che le vipere, velenosissime e numerose in quella regione, fossero uscite dal loro letargo. Certo non sarebbe stato molto simpatico trovarsi naso a naso con simili bestiacce in qualche posizione esposta della parete!...

Alle 7 del mattino siamo al punto di attacco, a circa cento metri dalla cava. Il cielo è coperto; il lago grigio, la strada deserta.

Il primo tratto, sebbene erto, si sale abbastanza facilmente, ricorrendo raramente alle mani. Ma, eccoci alla prima seria difficoltà: un piccolo strapiombo ci sbarra la strada... Calciamo le scarpette da roccia e ci incordiamo. Calvi sale sulle mie spalle e così può superare la parte più impervia della gobba, scomparendo sopra il mio capo. La corda, che mi scorre lentamente fra le mani, si arresta...; sento Tita che brontola... mi riechiede poi, ad alta voce, tutta la corda, che fila via veloce! Non riesco ad indovinare cosa stia facendo, quando mi sento colpito, come da una frustata, dall' altro capo della corda; comprendo: egli torna a corda doppia; mi spiega poi che fu fermato da un secondo strapiombo, insuperabile a causa della roccia troppo friabile.Voglio tentare a mia volta e salgo sulle sue spalle tarchiate, servendomi anche della corda doppia, passata da Tita attorno ad una piantina. Purtroppo, constato che non c' è nulla da fare... Mi guardo attorno, e mi pare che si possa forzare il passaggio, prendendo un po' sotto a sinistra. Lasciamo la corda avvolta all' arbusto; ci servirà così di assicurazione per la traversata, abbastanza esposta. Tita, che è partito per il primo, passa per un terrazzino minuscolo e molto aereo, ove lascia il suo sacco, poi sale direttamente fino a un' altra piantina. Mi getta la corda di riserva, alla quale attacco il mio che, disgraziatamente, nell' attraversare s' impiglia in uno spuntone di roccia e vi resta incagliato. Passo allora sul terrazzino e, preso sulle spalle il sacco di Tita, salgo per liberare il mio. Ma Tita nel frattempo da uno strattone e, così, stacca una delle mie scarpe appese al sacco; l' acciuffo a volo e, siccome devo salire a quattro mani, la porto in bocca come farebbe un cagnolino; raggiungo il mio sacco prigioniero, lo libero colla testa, dopo di aver preso fra i denti anche l' altra scarpa. Arrivo a questo modo fino a Tita. Egli supera poi l' ostacolo salendo sulle mie spalle e anche sulla mia testa. ( Oh! la dolcezza dei tuoi chiodi, caro amico mio!, mentre contemplo, attraverso le gambe inarcate, l' abisso; e, giù in fondo, il lago plumbeo !) Arriviamo così ad un tratto buono, che percorriamo rapidamente, dopo di esserci calzati.

La china si fa di nuovo molto ripida; mentre mi aggrappo ad uno spuntone di roccia, che mi sembra sano, si stacca la lastra alla quale mi appoggio, e cado riverso; Tita, fulmineo, s'incurca ed assicura la corda; gli casco in pieno addosso... e mi ferma!... passato il primo spavento ( il rischio fu serio ), egli mi dice semplicemente: « Due minuti di riposo, vero? »... « Sì, Tita. » Riprendiamo a salire ed arriviamo ai piedi della parete strapiombante, che forma una macchia biancastra, a tre quarti del costolone che scende direttamente dalla cima.

Disegno di Carl Moos.

Sulla sinistra c' è un camino slargato, costituito dall' incontro della parete con una gobba, che fa come da contrafforte; dalla cima di questa gobba parte una cengietta, che attraversa tutta la parete e per la quale si dovrebbe raggiungere il filo del costolone; di là si arriverebbe facilmente alla vetta. Purtroppo non abbiamo chiodi per eventuali assicurazioni o forzato ritorno; dobbiamo arrischiarci ?!... Si poteva, è vero, prendere per un valloncino a sinistra: ma avevamo stabilito di salire in linea retta, senza deviare per le difficoltà, a meno che non fossero insormontabili. Tita attacca il camino, che tanto l' attira: l' aderenza è difficile; più di una volta i suoi piedi scivolano, raschiando la roccia friabile; ed io lo seguo trepidante;.. .esce dal camino... e s' aggrappa, come può, agli appigli scarsi e malfidi... a poco a poco scompare; come sarà di sopra ?!... Mentre sto facendo queste considerazioni, un colpo secco e tagliente mi colpisce alla testa!... vi porto istintivamente la mano e la ritiro sanguinante; è un biscottino che mi manda Tita; non lo ringrazio perchè lo so in cattiva postura!... finalmente mi grida che ha trovato un punto di appoggio...; mi domanda l' altra corda; l' annodo al cordino che mi ha lanciato.

— « Ed ora, a lei. » Arranco su pel camino e, quando riesco a sbucar fuori, vedo Tita assicurato ( se così si può dire ) ad un arbusto, sporgente dalla parete quasi a picco. Appena l' ho raggiunto, egli riprende la difficile salita... Io seguo ogni passo, ogni gesto... con l' animo sospese... neh' ansia di una irreparabile caduta... ( con un simile sbalzo, a che servirebbe la mia fragile assicurazione?... ). Finalmente egli arriva ad una piantina mezzo disseccata, che insinua le sue radici sotto un masso traballante...; gli mando i sacchi per mezzo della corda di supplemento e poi lo raggiungo! ci stiamo a stento; lo aiuto a salire sopra la pianticella, un sasso si distacca e mi sfiora il viso, balzando poi nel vuoto... Tita si trova in difficoltà, perchè non può aggrapparsi al masso traballante; si sposta sulla sinistra, mentre io tento di svincolare la seconda corda, restata assicurata al primo arbusto; mi sento, però, molto stanco... quasi sfinito!... Mi assicuro alla prima corda... coi denti; ed avendo così le due mani libere riesco, sebbene a stento, a ricuperare la seconda corda. Tita non può più proseguire, è bloccato... cerco di raggiungerlo; ma ecco, scopro una via di uscita, un po' a destra! tento, riesco; e sbuco su di un terrazzino ( la testata del contrafforte ), ove potremo sederci e respirare... Finalmente!...

Purtroppo, non siamo alla fine delle nostre pene... Esaminiamo la cengietta che, attraverso la parete bianca, dovrebbe portarci sul dosso del costolone, al punto ove s' incurva dolcemente verso la vetta. Ma quella benedetta cornice sfuma prima di arrivare dall' altra parte!... di lì non si passa;... sopra il nostro capo la parete strapiomba!... nulla da fare. Indietro non si torna!... sarebbe andare incontro a morte certa! A sinistra ?! vedremo Per ora riposiamo!... Raccogliamo alcune scheggie disperse, e ne facciamo un minuscolo « Steinmann », al quale affidiamo un biglietto coll' indicazione della salita, la data e il nostro nome.

Il cielo è andato sempre più rabbuiandosi; ora pioviggina... Alcuni uccellacci, disturbati nel loro dominio aereo, fanno certe evoluzioni poco rassicuranti attorno alle nostre teste!... L' ambiente non è molto festoso...

In quell' istante sale verso di noi, da diverse parti, il suono grave e giulivo delle campane. Già mezzogiorno ?!... Quel lieto scampanìo ci ridona speranza e forza... Vado ad esplorare verso sinistra, curvandomi sul bàratro, scorgo un troncone di albero fulminato... Bisognerebbe arrivare fin là, con una traversata diagonale a corda doppia, congiungendo le due corde ( circa 60 metri )!... e poi, sotto?... MaÈ ancora un' incognita!... La traversata è particolarmente difficile per Tita che, partito per il primo, potrebbe vedersi lanciato a mo' di pendolo nel vuoto e brutalmente sbatacchiato contro la parete faccia.

Più di una volta lo vedo annaspare... vacillare... « Oh... mio Dio!... » — No, si è ripreso... continua... « Prudenza, Tita, per carità »; istintivamente ripeto i suoi gesti, mi contorco, mi chino da un lato, dall' altro; m' inarco con tutti i muscoli tesi, doloranti; mi aggrappo convulsamente... al troncone! È giunto...

— « E sotto?... »«Sotto c' è un salto di una trentina di metri; forse ci arriviamo », mi risponde. Faccio a mia volta la traversata con maggior facilità perché egli tiene i due capi della corda. Esitiamo a tirar la corda a noi: se questa non arrivasse in fondo allo sbalzo, ci vedremmo imprigionati sul nostro nido aereo!...

« Ma forse ci arriviamo davvero »... e... tiriamo un capo delle due corde congiunte. Quando le facciamo scendere sotto di noi ci accorgiamo purtoppo che non toccano terra; ma, siccome si tratta di un canalone molto ripido, con un po' di bilanciamento nel vuoto si potrà raggiungere la parte superiore della china. Mi lascio quindi scivolare lungo la corda. Appena distaccato dalla parete incomincio a girare, prima lentamente, poi sempre più rapidamente nei due sensi dell' attorcigliamento;... mi vedo passare davanti agli occhi, in ridda da capogiro, la roccia... il vallone... il cielo...; e poi il cielo... il vallone la roccia...; in tali condizioni, mi bilancio come posso e da ultimo arrischio un salto sulla china ripida... atterrando felicemente senza « capotare ». Mentre Tita ripete la stessa ginnastica, m' avvio per raggiungere il labbro superiore della grande parete. Ci arriviamo e la nostra arrampicata si può dir finita; dopo cinque ore e mezzo di lotta estenuante abbiamo vinto! e ci permettiamo il lusso di un elisir che Tita aveva con sè. Raggiunta la chiesetta del S. Salvatore, scendiamo all' albergo, per telefonare ai nostri; purtroppo siamo poco presentabili, così sporchi, laceri e anche un po' sanguinanti...

« Ma, donde vengono loro? » « Da Lugano. » « Da Lugano ?!... » « Sì, ma per una via nuova; siamo saliti direttamente dalla cava alla chiesa, seguendo il costolone. »

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