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Dove un tempo sedevano gli dei Escursioni in una Toscana meno conosciuta

Molti sanno associare il marmo, Carrara e la Toscana. Molti meno sanno invece situare le Alpi Apuane. Ciò nonostante, questa affascinante catena montuosa offre escursioni e passaggi meravigliosi. E continue e grandiose vedute della costa e del Tirreno.

L’IC 511 si ferma puntuale nella stazione di Carrara-Avenza. Dall’alto, vicinissime e quasi irreali, ci salutano le cime zuccherine e luccicanti delle Alpi Apuane. Quelli non sono residui nevosi, ma le zone di estrazione delle cave di marmo. Marmo a perdita d’occhio. Proprio dietro la stazione, i bianchi blocchi calcarei sono accatastati davanti alle fabbriche. È l’elisir di lunga vita dell’intera regione e sarà il nostro fedele accompagnatore nel corso dei prossimi giorni. Ogni anno, ne viene estratto, lavorato ed esportato un milione di tonnellate. Le montagne attorno a Carrara sono a tutt’oggi la più grande zona di estrazione del marmo al mondo. Il bianco di Carrara è ovunque: nella sede dell’ONU a New York, nel Taj Mahal, in India, e all’Opera di Manaus, nel bel mezzo della foresta brasiliana.

 

L’oro bianco della Toscana

In Piazza Alberica, a Carrara, le automobili non circolano più dal 2009. Atmosfera meridionale, impressionanti edifici rinascimentali – così immaginiamo la Toscana. L’«oro bianco» è onnipresente, sotto i piedi e davanti agli occhi, in cordoli, busti, monumenti, panchine, vasche da fiori di dimensioni enormi. Andrea Zanetti, vice sindaco della città di 60 000 abitanti, guarda indietro. L’arte della trattativa si è sprecata prima che il cuore della città, il centro storico, fosse liberato dalle auto e pedonalizzato, dice Zanetti, e ricorda: «Il nostro capitale sta nel turismo e sempre più anche in quello di montagna grazie alle Alpi Apuane.» Le cui vette calcaree si ergono ripide proprio dietro la piazza. La corriera arranca sulla sinuosa strada per Castelpoggio. Da qui, dapprima attraverso castagni e lecci, quindi tra faggi e conifere, saliamo il comodo sentiero per il Rifugio Carrara, una capanna del Club Alpino Italiano CAI (ca. 3 h). 1300 metri più in basso, il mare scintilla nel sole meridiano. L’accoglienza dei custodi, Gianni Scaffardi e Maria Grazia Repetto, una simpatica coppia di alternativi, è cordiale. Dopo cena, con un bicchierino di grappa Gianni ci mostra diversi filmati sul marmo e le Alpi Apuane. «Le cave di marmo hanno formato la popolazione di questa regione», racconta, «e lasciato un’impronta nel paesaggio. Il marmo è la ricchezza della regione, ma significa anche uno sfruttamento predace della natura.» Nel corso dei secoli, dozzine di cave hanno scavato in profondità nelle pendici di queste montagne. Ma nonostante questo, da 25 anni questo paesaggio unico è protetto come parco regionale. «È una lotta costante, perché lo sfruttamento continua imperterrito», lamenta Gianni. Fuori, le luci del golfo di La Spezia scintillano come perle di una collana. Dietro si allungano le dolci colline delle Cinque Terre. Il contrasto non potrebbe essere maggiore.

 

Pietra pregiata sotto forma di polvere

Alta 1748 metri, la cima del Monte Sagro si raggiunge in circa due ore e mezza. Dagli antichi abitanti delle Alpi Apuane, i liguri apuani, era considerata la dimora degli dei. Questo non l’ha tuttavia sottratta alla profanazione. Una cava di marmo ai piedi del Monte Sagro ne ha denudato il fianco, rivelandone all’esterno le bianche viscere. Una scavatrice carica del materiale estratto su un autocarro.

Da alcuni anni, la polvere di marmo macinata – il carbonato di calcio – è tornata al centro dell’interesse commerciale. Materia prima per l’industria, la polvere è fortemente richiesta e trova molteplici applicazioni: nella fabbricazione di carta e lacche, ma anche in dentifrici, paste alimentari e compresse. «Molte cave di marmo rimangono in attività solo ancora per la polvere», spiega Pepo Hofstetter, autore di guide che conosce la regione come le sue tasche.

 

Oltre le trincee del Monte Sagro

Alla Foce di Pianza si aprono dei fossati secondo uno schema zigzagante. Sono vecchie trincee della Seconda guerra mondiale, i resti della leggendaria «Linea Gotica», costruita dall’esercito tedesco nel 1943 contro gli Alleati che avanzavano da sud. Dalla cresta della Foce di Faggiola si offre una veduta spettacolare, seppure ben poco paradisiaca, sul bacino di estrazione di Torano, più basso di 600 metri. A questo, bisogna farci il callo: l’intero fianco della montagna è ritagliato come una scala. 500 anni or sono, da esso Michelangelo ha estratto il famoso blocco di statuario nel quale ha scolpito la sua «Pietà». È occorso del tempo. Tuttavia, dall’introduzione del filo diamantato negli anni Settanta, la produttività è cresciuta in modo esponenziale: durante gli ultimi 25 anni si è estratto più marmo che non nel corso dei due secoli precedenti. Sempre a causa delle nuove tecniche, anche il numero dei cavatori si è ridotto in modo massiccio.

Sulla cima della montagna degli dei incontriamo dei gruppi di escursionisti del CAI. Alcuni audaci raggiungono la vetta scalando da sud la direttissima attraverso la cresta esposta. Dal vicino Tirreno si alzano umide folate di nebbia. La parete nord della dimora degli dei precipita a picco. Torniamo al Rifugio.

 

L’«Alta Via» – la via reale delle Apuane

Il giorno seguente inizia con un piacevole passaggio attraverso la Foce di Giove (1498 m) e la Foce di Fanaletto, da dove ci si immette dell’«Alta Via», la via reale delle Apuane, che in sette giorni conduce dal villaggio di Castelpoggio, non lontano da Carrara, fino a Camaiore, nei pressi di Viareggio. Si prosegue attraverso dei faggeti, nei quali dei giovani alberi crescono a boschetti come canne di bambù, fino a una cresta. Da qui, con tempo buono, si gode un’ampia vista sulla valle di Forno e sulla costa. Poi il sentiero serpeggia giù, attraverso scure abetaie, fino all’inattesa Capanna Garnerone – con l’unica sorgente della zona.

Qui il sentiero numero 173 sbocca nel numero 37. È utile confrontare i numeri che figurano sulle varie tavole con quelli indicati sulla carta, così da verificare se la strada è quella giusta. Solo in tal modo è possibile trovare con sicurezza la traversa nel versante occidentale della Cresta Garnerone. Qui, in primavera l’aria si profuma di erbe aromatiche, mentre a inizio estate si incontrano narcisi selvatici, asfodeli e orchidee. I monti calcarei delle Apuane ospitano i due terzi della biodiversità italiana – nonostante le cave di marmo. I climi alpino e mediterraneo danno origine a un microclima unico e ideale. In nessun altro luogo il contrasto con l’industria delle cave è altrettanto marcato.

 

Il Pizzo d’Uccello – il «Cervino delle Apuane»

Sull’ampia sella della Foce di Giovo (1498 m), il Pizzo d’Uccello, il «Cervino delle Apuane», si lascia quasi toccare. La cresta sud invita alla salita, e solo il tempo nebbioso ci trattiene dall’iniziarla. Invece di salire, scendiamo – per 400 metri nella Val Serenaia. Il rumore delle cave, sempre più vicine, aumenta costantemente. Il sentiero diventa improvvisamente la pista polverosa dei camion del marmo. Alcuni, carichi degli enormi blocchi, curvano lungo la stretta strada, altri trasportano il materiale che verrà trasformato in carbonato di calcio. Per fortuna, poco dopo incontriamo una deviazione – ma dalle cave, non ci allontaniamo di molto.

Già il giorno successivo, il nostro itinerario ci porta ai margini della cava di Focolaccia sul marmo bianco e luccicante. L’azienda, situata nel bel mezzo di un paesaggio sensibile del parco protetto, è oggetto di accese discussioni. Negli ultimi anni ha scavato per oltre 70 metri nella via del passo. Più volte i difensori della natura e del paesaggio hanno dimostrato chiedendone la chiusura, finora senza successo. Ma almeno hanno difeso il diritto di passaggio. Tra giganteschi blocchi di marmo, un sentiero conduce sulla cresta del Monte Tambura (1895 m), il culmine della giornata. La cresta ben percorribile sembra senza fine. Premessa la buona visibilità, la vista dalla vetta sulla costa e la Corsica è sconvolgente. Per un attimo, la quiete domina il rumore e la polvere delle cave.

Al Passo della Tambura (1620 m) lasciamo l’«Alta Via» per imboccare la «Via Vandelli», che conduce al piccolo villaggio di Resceto (485 m), sovrastante la cittadina costiera di Massa. La strada abilmente tracciata nel fianco della montagna fu fatta costruire dal duca di Modena nel XVIII secolo al fine di raggiungere più rapidamente la costa. A un certo punto, una deviazione porta al Rifugio Nello Conti, dove è possibile ammirare le impressionanti formazioni rocciose dette «Campaniletti».

Alla fine, ci aspetta una sorpresa: il pezzo più ripido dell’intero itinerario. La «Via di Lizza» è una rampa avventurosa, con pendenze che raggiungono l’80 percento, lungo la quale i «lizzatori» avviavano un tempo a valle i blocchi di marmo pesanti tonnellate. A noi, gravati solo dai nostri zaini leggeri, la ripidezza si fa sentire solo un po’ nelle ginocchia.

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