La «Gita Blanda » : Sustenhorn | Club Alpino Svizzero CAS
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La «Gita Blanda » : Sustenhorn

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P. AUGUSTO GIUGNI, LUGANO

( RICORDI DEL PASSATO REMOTO ) Con 2 tavola ( 123/124 ) Lunedì, 19 agosto Provenienti da varie parti del Cantone, eccoci riuniti in un alberghetto di Göschenen per un pò di pranzo. Siamo in sette, cioè: un capo, un sottocapo e cinque alpinisti ( o quasi ), dei quali uno della landsturm e, più di uno, della scuola reclute!

Lo stato maggiore non rivela i piani di operazione; e noi, dopo inutili tentativi, ci rassegnamo a lasciarci guidare ciecamente. Un « Novellino » ( così si è definito lui stesso ) si mostra tanto sim-paticamente entusiasta che vien caricato di qualche istrumento comune. Ricevendo una delle corde, esclama, con un accento tragicomico:

« Bene, questa mi servirà in caso di scoraggiamento supremo! » Partiamo per la Voralphütte, seguendo la mulattiera della Göschenental; e mulattiera la è veramente per noi, che, in quell' ora meridiana di mezz' agosto, nell' afa di un' atmosfera temporalesca, schiacciati sotto il peso di sacchi rigonfi, avanziamo meccanicamente, evitando di distogliere con qualsiasi attività di pensiero o di sensibilità, le energie concentrate unicamente nello sforzo fisico. Ogni tanto ci capita di sonnecchiare, mentre le gambe seguono automaticamente il loro ritmo, e gli occhi socchiusi intravvedono vagamente il dorso ricurvo del compagno che lo precede. Prima di lasciare la mulattiera per il sentiero che ci condurrà alla capanna, facciamo una sosta; mentre il corpo si riposa, lo spirito si ridesta dal suo letargo per ammirare questo cantuccio idilliaco, composto, in perfetta armonia, di praticelli lucidi e di ridenti « chalets », di cascatelle canterine, di vellutate e raccolte pinete: è il Wicki. Poi il facchinaggio ricomincia; per poco tempo: una provvidenziale pioggia dirotta ci obbliga rifugiarci in una grotta selvatica, rifugio di pecore, ma oggi ricovero di muli umani!... Solo quando l' acqua accenna a diminuire, riprendiamo il nostro monotono, faticoso salire. Alla capanna, accoglienza cordiale; té caldo; stufa accesa. Ci ristoriamo con una cenetta di risottino alla « Tita ». Poi, dopo una serata allegra andiamo a nanna.

Martedì, 20 Si parte per il Sustenhorn; così hanno deciso i capi. Il tempo è passabile. Si incomincia con parecchie giravolte per cercare un passaggio, o meglio, un seguito di passaggi, fra le tortuose dira-mazioni del torrente capriccioso. Attacchiamo le rocce ci stanno di fronte, molto sane ma molto lisce. Il « grognard » della landsturm brontola: « Che gusto balordo! Si poteva passare tranquillamente a sinistra. No, proprio di qui! » Il « Novellino » ( e non soltanto lui ) si fa assicurare per bene; e non bada troppo allo stile. Altri brontolamenti e altre emozioni nell' attraversare i seracchi del ghiacciaio, che abbiamo raggiunto. Anche il cielo s' imbroncia. Ma eccoci al più bello; il crepaccio terminale ci sbarra la via: voragine bianca, che difende, quale fossato larghissimo, la rocca della vetta. Per varcarlo c' è una sola soluzione: un ponte di neve crollato per metà e che minaccia il tra-collo definitivo! Qualcuno, più leggero, si offre per tentare il passaggio; ma il capo non cede a nessuno questo onore. Assicurato solidamente con una piccozza infissa nella neve, vien calato, piano piano, fin sulla parte inferiore del ponte concavo. Ora risale cautamente la riva opposta, ripida e rotta a metà, tagliando dei minuscoli scalini, con mille precauzioni, per non far crollare tutto. Tratteniamo il respiro... ma ecco egli arriva; ancora un passo ed è sull' altra sponda. A sua volta, conficca profondamente la piccozza nella neve dura, vi fa passare attorno la corda e si incomincia il trasbordo dei membri della comitiva, con una solida assicurazione d' ambo i lati. Ultimo a passare sono io, con l' aggravante che non posso più usufruire dell' assicurazione di partenza per lasciarmi calare sul ponte, sul quale potrei arrivare in cannonata, provocandone lo sfasciamento! 1 miei amici, sull' altra sponda, tengono la corda ben tesa, pronti ad ogni eventualità. Tutto pei ò procede per il meglio e possiamo sferrare l' ultimo attacco alla cima, scalando un canalino di ghiaccio molto « pendoriv » come dice l' impressionista della comitiva. Ad un certo punto il canalino si fa talmente ripido e di ghiaccio vivo che dobbiamo abbandonarlo per non arrischiare di stabilire il primato assoluto della discesa libera. A stento raggiungiamo le rocce, che si ergono a pochi metri sulla nostra sinistra. Quando vi arriviamo notiamo con disappunto che sono marce, stra-marce; ogni appiglio è malsicuro; ad ogni passo è un continuo franare di sassi sui poveri disgraziati che stanno di sotto. Allora sono rimbrotti, raccomandazioni da parte del vecchio e « spaghetti » in massa da parte del « novellino ». Finalmente arriviamo ad una selletta sotto la prima cima del Sustenhorn. E qui facciamo una buona, meritata sosta. Il « novellino », più loquace che mai, irrompe in una diatriba magniloquente, feroce, « contro quei pazzi da legare... ( ecco lo scopo della corda in montagna !), che prendono gusto a rovinarsi il fisico e il morale, sciupando quelle brevi vacanze, che avrebbe potuto e dovuto passare tranquillamente nei dolci ozi della città! ». ( Dall' ana ci accorgiamo che vuoi parlar di sé e dei casi suoi.«Consolati, caro, che il più bello non è ancor venuto. » - Il vecchio non dice nulla, ma sta ruminando un ultimatum da presentare allo stato maggiore, appena arrivati in capanna! Poi si prosegue. La catena del Dammastock ci appare, come un Sinai, tutta avvolta da nembi turbolenti, minacciosi. Dopo di aver raggiunto la vetta del Susten, scendiamo, par la Sustenlimmi, verso la Kehlenalphütte. In cammino, la pioggia ci raggiunge. Però verso sera il tempo si rischiara. Lo stato maggiore si raduna a consiglio. Il vecchio prepara le sue batterie: « Che cosa faremo domani ?» - « Ecco, si parte di buon mattino. A traverso il Maasplankjoch, raggiungeremo la Trifthütte; oppure, direttamente, per un Joch qualunque dei Diechterhörner, arriveremo alla Gelmerhütte. » E ci mostrano sulla carta il tracciato, semplicis-simo... Ma dalla finestra della capanna si vede la prima parte della via progettata: un ripidissimo canale di neve o forsanche di ghiaccio! Allora il vecchio interviene: « Sentite, cari amici. Io non voglio intralciare affatto i vostri progettile molto meno esservi d' impaccio. Però non me la sento di fare ciò che avete progettato. Andate pure, io ritorno per mio conto... NoAllora, facciamo riposo domani; oppure accontentiamoci di una „ gita blanda " che non richiede troppi sforzi. » - « D' ac. » I capi, dopo di aver consultato la guida stampata ed esaminata la carta, accettano la soluzione di una gita blanda. Il nuovo progetto comporta meno rischi e meno sforzi. La pace e la con-cordia vengono così ristabilite appieno.

Mercoledì, 21 Diana alle due. Alle recriminazioni di qualche poltronaccio si risponde che arriveremo all' altra capanna prima di mezzogiorno e che potremo riposarci tutto il pomeriggio. Partiamo nel buio pesto, al chiaror incerto e limitato di qualche lanterna. Per abbreviare, si scende dritti, perché il sentiero fa troppe gira volte. Ma ci smarriamo, fra le tenebre, in una « briiga pendoriva » e poi in camini « ortighent » ( sono espressioni colorite dell' impressionista ). Il vecchio brontola: « Che razza di gita blanda! Incominciamo bene! » A cui seguono delle risposte secche e rudi del capo. Finalmente arriviamo in fondo alla valle, ma con quale perdita di tempo e di energie. « La linea retta non è sempre la più corta! » sentenzia il filosofo. Mentre risaliamo il Kehlengletscher, incomincia ad albeggiare. Una grande seraccata ci deve portare al piano superiore del ghiacciaio. Uno scivolone del novellino ci consiglia di incordarci: una cordata di tre e una di quattro. Ad un tratto si sente urlare: « Tiraaa... »; è uno della prima cordata che, nonostante i ramponi, ha perso piede e scivola in un crepaccio; per fortuna la corda lo trattiene sull' orlo della bocca spalancata e lo riporta a riva. Poco più innanzi, lo stesso ( si direbbe che vuoi dar spettacolo ) perde l' equilibrio su una crestina di ghiaccio che separa due crepe, e, pancia a terra, eseguisce una ginnastica molto simile al movimente delle rane! Per fortuna questi diversivi ci fanno sembrare meno lunga e monotona la salita. Tre brutti crepacci terminali, simili a quello di ieri, ci ritardano assai. Ma ormai la bocchetta pare tanto vicina. In una buca che sovrasta uno di questi crepacci, che sembra una grotta azzurra, ci fermiamo per prendere un boccone. L' ambiente è pittoresco. Proseghiamo poi per la parete di ghiaccio che si fa sempre più ripida: cerchiamo di spostarci verso le rocce, che si rivelano molto friabili; qualcuno ne esce contuso. Torniamo sulla china ghiacciata, che obbliga il capo ad un penoso lavoro di piccozza per scavare scalini abbastanza sicuri. Siamo in fila indiana verticale, gli uni sotto gli altri, per non fare doppia scalinata. Procediamo, passo a passo, sospesi su quei minuscoli intagli nel ghiaccio, senza una vei a assicurazione, benché la corda sia sempre tesa fra noi. Durante quelle continue soste snervanti, la mia perfida fantasia continua a rappresentarmi uno che perde l' equilibrio e che trascina tutti verso l' abisso! Tale orribile visione si fa così insistente che non riesco più a dominarla; ma soffro il mio acuto, assillante tormento, in silenzio. Verso mezzogiorno, mettiamo piede su terreno più sicuro, abbiamo raggiunto la bocchetta. Che sospirone di sollievo. Facciamo una lunga fermata per sostentarci. Ma tira un vento birbone che ci agghiaccia. I più validi danno la scalata al Thierberg di mezzo. Io sono decisamente in ribasso su tutta la linea: tremo di freddo e di ansia; timori eccessivi mi assalgono di nuovo. Bisognerà tagliare dei gradini anche nella discesa; chi lo farà se gli inesperti dovranno scendere per i primi? E, nella nostra compagnia, gli esperti non sono molti. Finisco con l' accasciarmi; ci sono dei momenti in cui il fisico indisposto seriamente tira giù anche il morale. Capisco che mi trovo in uno di quei momenti e cerco di vincermi di rimontarmi. Il novellino deve ruminare anche lui dei pensieri poco allegri: osservando la cordata che torna dal Thierberg, nota che l' ordine è invertito, che i primi in salita sono gli ultimi in discesa, per cui toccherà a lui scendere per il primo. Infatti il capo, ristabilite le cordate primitive, ordina proprio a lui: « Hinunter!»- « S' al vö di hinunter?»- « Al vö di da' nâ giô. » — « In gió in duva?»- « Oh bela da lì, davanti al to nas.»- « Ma, car signor, cuma sa fa a'ndà in gio da li ?» - « Su, su, pocc stori, giô da lì, e un pò in pressa. » - Il cipiglio del capo non ammette replica; e il nostro novellino si rassegna a scendere in bilico sulla lama di ghiaccio, che inizia la discesa; finisce per abituarsi, si rinfranca quando trova la neve; e scende a ritroso ma deciso per la parete ripidissima, facendosi dei comodi scalini con calci poderosi. « Bravo il novellino. » Ri-trovo anch' io la serenità e il buon umore. Arriviamo su di un costolone roccioso, facile, che percorriamo pigramente, sicuri ormai di arrivare facilmente in basso. Ma nossignori! Quando già incomincia ad imbrunire, troviamo all' estremo dello sperone uno sbalzo quasi a picco. Bisognerà procedere con la massima cautela per non fare un volo diretto sul ghiacciaio sottostante. Noi, poi, che siamo in quattro legati alla stessa corda, procediamo più lentamente, dovendoci spostare solo uno per volta, con un tratto di corda più corto. Quando gli amici della prima cordata arrivano al ghiacciaio, noi siamo ancora alle prese con le più insidiose difficoltà. Frattanto i primi partono alla 180 ricerca di un punto di attraversata per raggiungere senza perder quota, il sentiero della Trifthütte. Noi tocchiamo il ghiacciaio che ormai è notte. Abbiamo una sola lampadina. ( La mia fa sciopero. ) Il Thierberggletscher, composto di ghiaccio nero, abbastanza crepacciato, è tutto cosparso di sassi morenici. La nostra discesa quindi, in tali condizioni, è un continuo susseguirsi di scivolate, di strappi di corda, di cadute dolorose... Non ci si vede più. Anche il primo di cordata stenta ad oriz-zontarsi. Scorgiamo finalmente, lontan lontano, un lumicino. Mandiamo un richiamo; ci rispondono; sono i nostri compagni; ma per il fragore di una cascata, non riusciamo ad intenderci. Chissà da dove sono passati? Il lume scompare; brancichiamo di nuovo nel buio. Propongo di bivaccare per non correre rischi peggiori. Riappare il lumicino; viene verso di noi. Aspettiamo fiduciosi, ma fa un freddo cane; finalmente i nostri amici ci raggiungono e si decide di scendere fino al Triftgletscher. Sono le 23 quando ci arriviamo. Siamo molto stanchi. Per evitare la lunga salita alla Trifthütte, optiamo per la Windegghütte, che si trova sulla sponda opposta del ghiacciaio. I capi fanno il punto, prendono la direzione con la carta e la bussola, e si riparte. Ma quando stiamo per approdare una muraglia ci sbarra lo sbarco. Cerchiamo un varco. Mentre si salta un crepaccio, qualcuno si ferisce alla faccia con la piccozza! Ci voleva anche questa... Pervenuti finalmente sulle rocce, si sale a tastoni alla ricerca della sospirata capanna. Dopo parecchi, vani tentativi, qualcuno scopre felicemente delle strisce di minio su di un macigno; e così troviamo il sentiero che conduce al rifugio. Arriviamo alla capanna a mezzanotte e mezzo, dopo ventun ore di « Gita blanda ». Quel piccolo, disadorno, primitivo rifugio mi resterà nella memoria come uno dei più cari; così come la cenetta in sette con una pagnottella secca, sbricciolata con la piccozza, mi appa-rirà sempre come un simbolo dell' unione di coloro che la montagna affratella.

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