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La Valpelline

Hinweis: Questo articolo è disponibile in un'unica lingua. In passato, gli annuari non venivano tradotti.

DI GIUSEPPE RITTER, MENDRISIO

4 tavole ( 30-33 ) Con la pubblicazione dei fogli 292,293 e 294 della Carta Nazionale Svizzera, tre regioni, politicamente italiana sono entrate nel campo visivo degli alpinisti svizzeri. Mentre quella di Courmayeur è arcinota e quella di Gressoney assai conosciuta, nulla o ben poco si sa sulla Valle di Valpelline. Come stanno le cose realmente in quella contrada che, sprofondata e rinserrata tra alcune delle più importanti cime delle Alpi, sembra tuttora persistere nel sonno della Bella addormentata nel bosco.

C' era una volta...

Nel 1936, nelle sue « Spigolature nella Valpellina ignorata », Adolfo Balliano1 ha osservato: « Tra i pochissimi angoli della terra dimenticati, o quasi, dagli uomini sta certamente la Valpellina e, specialmente, quel ramo della valle che si diparte dal capoluogo e termina, dopo ben sette 1 Cofondatore e poi presidente del G.I.S.M. ( Gruppo Italiano Scrittori di Montagna ), deceduto il 21 marzo 1963. Autore, fra altre opere, del libro « Aria di leggenda in Val d' Aosta ».

ore filate di mulattiera, a Prarayé1 ( che significa prati e cenge erbose adatte al pascolo delle capre ). Le cause della trascuranza sono molte, ma, essenzialmente, si riducono a due: mancanza di mezzi di trasporto e di viabilità e ritardo sulla moda. » Nella sua relazione sulla SENGLA2, G. V. Amoretti disse a sua volta: « La Sengla separa dal mondo la Valpelline, una valle bella, solenne, austera, ma lunga e con l' imperdonabile difetto di non aver vie di comunicazione adatte ai mezzi moderni: una carrozzabile sino a Valpelline, una rotabile accidentata sino al salto di Oyace e poi per ore ed ore una mulattiera a saliscendi per arrivare a Prarayé e di qui per altre ore sino ai rifugi.

L' alpinista innamorato si rassegna ai capricci dei fondi valli, gli altri vanno altrove. Ma chi più ne soffre è la valle stessa: tagliata fuori dal mondo, chiusi i valichi - Col Collon, Col de Valpelline, ( per non riccordare che i più facili ) attraverso i quali scendevano un tempo i forestieri, vede la sua vita ridursi sempre più ad un vegetare. Focolari si spengono, case si chiudono inesorabilmente, chi può se ne allontana e scende al piano e la valle resta abbandonata a sé stessa, coi suoi boschi, le sue acque spumeggianti, gli alti pascoli verdi, e deserti i campi fioriti dove un tempo ondeggiavano al vento ed al sole grano ed avena. » La vita doveva infatti essere dura nella Valpelline. Lo conferma anche il Saint-Loup nel suo volume riccamente illustrato « Le Pays d' Aoste »: « Prarayé comptait quatorze feux à la fin du XIIIe siècle. Ses habitants descendaient entendre la messe à Valpelline3. Quatorze heures de voyage! Un jour de novembre, deux femmes qui remontaient après avoir communié, furent bloquées par une tempête de neige, à La Nuova, dans une étable. Il neigea pendant huit jours. Les corps furent retrouvés au printemps. C' étaient des temps de grands périls et de grandes certitudes... » Poco a poco l' uomo s' è ritirato dalle più alte sedi della valle. Prarayé venne abbandonata verso il 1800 e La Léchère verso il 1880. E il Saint-Loup aggiunge:

« Poïllaye est maintenant presque abandonné. Ce sera peut-être un jour le tour de Bionaz. » Ma questo non avverrà e vediamo subito il perché.

/ tempi nuovi Per molti anni avevo continuato a sognare quella valle solitària che, come surrogato di un rifugio o di un bivacco, non poteva offrire che quattro dita di fieno pesto o il rozzo tavolato d' una baita e dove, camminando per ore ed ore, si doveva recar sulle spalle il proprio ristoratore. Finalmente, il 29 giugno 1964, col foglio 293 della CNS in tasca, partit per la Valpelline. Da quanto avevo potuto dedurre dalla mia carta, la situazione doveva essere la seguente: un piano viabile asfaltato fino alla biforcazione per Ollomont e poi una rotabile accidentata fino ai pressi di La Léchère. Trovai in realtà, con mia grande sorpresa, una larga carrozzabile asfaltata fino ai cantieri della diga di « Place du Moulin » ( località non indicata sul foglio 293 ). Evidentemente qualcuno s' era ricordato della Valpelline, ma non per rendere maggiormente accessibili le straordinarie bellezze di quella valle, bensì per sfruttarne le risorse idriche. Una teleferica, lunga circa 25 km, convoglia il cemento dalla stazione ferroviaria di Aosta al cantiere di « Place du Moulin » e autocarri d' ogni tipo per- 1 Indicato sul foglio 293 della CNS come « Prarayer », mentre la guida « Alpi Pennine » della collana « Da rifugio a rifugio », compilata da Silvio Saglio, indica « Prarayé ».

a Indicata sul foglio 283 della CNS come « La Singla » che dovrebbe, al parere di Marcel Kurz, derivare dalla voce latina « cingula ».

3 Vallepelina nel 1220, Vallepennina nel 1230, Valpellina nel 1305; valle affondata nel massiccio delle Alpi Pennine, quindi toponimo geografico comprensivo.

corrono la valle nei due sensi. Il rumore di questa attività febbrile ha scacciato l' incanto tesso dalle fate. E se un tempo il marmocchio dell' alpigiano chiese al suo genitore « È l' eive qui rhône ?i », oggi il torrente non ha più voce perché dalle pareti rocciose della forra rimbomba il fracasso dei motori a scoppio. La Valpelline d' una volta esiste ora soltanto nei fogli ingialliti di coloro che riposano nel Camposanto di qualche paesello sperduto fra alti monti.

Ma l' incanto non si è ancora completamente allontanato dalla Valpelline. Resiste ancora, qua e là, sulle alte balze delle valli tributarie. Per trovarlo basta inerpicarsi sui sentieri sparsi che conducono, per esempio, alla Combe d' Oren, col suo modesto rifugio del Col Collon2, alla Combe de la Sasse, col suo solitario bivacco3. Lo si troverà pure varcando gli alti valichi del Col Livournia, del Col Montagnaya o quello di St. Barthélémy. Forse l' incanto troverà lassù asilo perenne perché, dei numerosissimi visitatori che percorrono ora frettolosamente la carrozzabile su quattro ruote, probabilmente nessuno si sentirà in grado di affrontare queste salite di 4-5 ore. Così anche nella Valpelline si giungerà, col tempo, alla coesistenza dei due regni tanto diversi: quello della rotabile con la massa chiassosa dei gitanti motorizzati, e quello delle alte quote dove pochi eletti procedono lungo gli aspri sentieri, le tracce rocciose fiorite o le piste ghiacciate, per godere i più sublimi spettacoli che la natura alpina possa offrire.

Infine non si dimentichi che la Valpelline offre accessi a quell' itinerario che si snoda per valli e per colli fra altissime vette: la scintillante « Haute Route », il sogno di ogni amante dell' alta montagna. Ricordiamo la meravigliosa traversata dal rifugio del Col Collon all' Alpe By per il Col Collon, il Col de L' Evêque, il Col du Petit Mont Collon e la Fenêtre de Durand ( ore 7.45 ).

La sera di quel giorno, dopo aver fatto l' inventario poco confortante della bassa valle, crudelmente sacrificata al cosiddetto progresso economico-sociale, mi sedetti un attimo sulla banchina davanti alla chiesa parrocchiale di Valpelline, proprio sotto una lapide, dedicata ad un uomo che era stato un po' il custode ed vivo cuore di questa valle:

Qui per nove lustri l' Abate4 Giuseppe Henry Parroco di Valpellina Letterato, storico, naturalista servì Dio nelle virtù del sacerdozio nella poesia dei fiori nella passione dell' alpinismo.

Guida impareggiabile verso le altezze visibili ed invisibili.

Lo ricorda il gruppo parlamentare italiano del Turismo 11° congresso nazionale, giugno 1951 1 « È l' acqua che mormora? » 2 È situato a m. 2818 nell' alta Comba d' Oren, tributaria della Valpelline sul promontorio a ponente della lingua del Ghiacciaio del Collon. $ una modesta costruzione in legno, sempre aperta, con posti per 40 persone su tavolato, riscaldamento a stufa, sprovvisto di legna, di illuminazione e di materiale di cucina. È proprietà della Sezione Torino del CAI.

3 È situato a m. 2973 nella parte superiore della Combe de la Sasse, tributaria della Valpelline.

4 Trascrizione errata della voce francese « abbé ».

Poi mi raggiunse il parroco attuale, tipico figlio del « Pays d' Aoste ». Parlavamo a lungo dei cambiamenti nella valle e ricordammo quel grande uomo che, con le sue doti eccezionali, si sentì spesso oppresso dalla ristretta mentalità dei suoi parrocchiani. Nel libro « I Cento Anni del Club Alpino Italiano » egli è ricordato con queste parole:

« Tra gli alpinisti che agirono prima e dopo la guerra del 1915-1918 va ancora ricordata quella singolare figura di umanista valdostano che fu l' Abate Joseph Henry ( Courmayeur 1870 - Valpelline 1947 ), parroco di Valpelline e studioso di storia della Val d' Aosta. Pur essendosi spinto più di una volta sulle maggiori montagne della Val d' Aosta fu soprattutto un esploratore diligentissimo e amoroso della sua valle, la Valpelline, di cui stese tra l' altro una piccola guida, frutto della sua conoscenza diretta del terreno. Sereno cultore delle bellezze naturali, si professava alieno dalle forme sportive dell' alpinismo acrobatico, e non cercava la difficoltà per la difficoltà; ma quando questa gli si presentava nel corso delle sue esplorazioni, volte a risolvere qualche problema topografico, sapeva benissimo come venirne a capo. Tra le numerose prime ascensioni alle quali lo portò la sua ricognizione geografica della valle, spicca specialmente la punta settentrionale del Trident de Faudery, che molto opportunamente venne a lui intitolata, e ch' egli aveva vinto il 20 giugno 1907. Dello stesso anno sono le prime ascensioni alle due punte delle Aiguilles Rouges des Lacs, mentre dopo la guerra egli si rivolse spesso alle montagne dell' altro ramo della Valpelline, per esempio con l' ascensione del Doigt du Vélan, I' ll agosto 1923. » Purtroppo, mi confidò il Reverendo, durante il sacerdozio del mio predecessore le anime sono rimaste alquanto trascurate. Penso però che non lo fece per mancanza al suo dovere, ma perché la sua intelligenza gli diceva che questi montanari, tanto testardi, cocciuti e caparbi, avrebbero pur-gato i loro peccati assai largamente con l' esistenza oltremodo dura su questi aridi monti.

Il giorno seguente decisi di salire lungo il ramo minore del torrente « Le Buthier » per esplorare la zona di Ollomont. Prima meta fu la vasta Conca di By, m. 2022, circondata da una superba corona di cime, mentre l' ampia apertura verso sud apre l' orizzonte sulla Grivola e sul Gran Paradiso. Al tenore della guida di Saglio, l' Alpe di By è uno dei più vasti pascoli della regione di Aosta, ricco di fiori e di acque. Durante l' estate, nel complesso, alpeggiano lassù circa 2000 capi di bestiame. Per giungervi si abbandona la rotabile poco prima che questa raggiunge i casolari di Glacier e si rimonta la costa per guadagnare il punto in cui confluiscono due torrenti: quello che scende dalla Conca di By e quello che scarica le acque della Conca dell' Acqua Bianca. Scavalcato il primo, si costeggia per un tratto il secondo, quindi ci si inerpica per la costola divisoria in direzione delle Crottes, dei Martinets e del Cheval Blanc, allo scopo di raggiungere la Conca di By presso la Casa Farinet ( m. 2009 ). Passato oltre, trovai un laghetto artificiale ( non indicato sulla CNS ) e lo sfruttai come primo piano per fotografare la poderosa costiera che va dai Trident du Faudery al M. Morion e al M. Berrio, da cui le rocce nude divallano ripide sul centro di Ollomont. Trovai pure, come indicato sulla guida, una ricca flora alpina e migliaia di capi di bestiame.

Dopo gli strani casolari di Balme il sentiero sale lentamente verso lo spartiacque principale. Alla mia destra l' impressionante muraglia del Morion-Clapier-Berrio ai cui piedi stanno i quattro laghi maggiori ( Cornet, Jnclioüsa, Leitou e Benseya ). Mi fermai ai due laghetti di Thoules ( che sono senza nome sulla CNS ). In un' oretta avrei potuto trovarmi sulla larga apertura della Fenêtre de Durand ( m. 2805 ), compresa tra l' arrotondata dorsale del M. Avril e il poderoso sperone del M. Gelé. Si ritiene che questo storico valico sia stato attraversato da Calvino nel marzo 1536 quando fuggì da Aosta. Pare anche che i Vallesani, in occasione delle contese per il possesso dell' Alpe di Chermontane, siano scesi da questo colle per impossessarsi delle mandrie, delle caldaie e dei for-maggi di By.

Seduto sulle rive del laghetto superiore, ammirai a lungo la via per la parete NO, tracciata sul Morion ( m. 3487 ) il 6 agosto 1930 dalla cordata Amilcare Crétier, Basilio Ollietti ed Alberto Deffeyes, tutta in ramponi, in dieci ore. Tre anni più tardi, Crétier e Ollietti ( che aveva trascorso la sua infanzia tra i monti della sua bella Valpelline, nella lieta conca di Chamen ) caddero, con Antonio Gaspard di Breuil, per settecento metri sul ritorno dalla prima ascensione del Pic Tyndall per la cresta De Amicis. Vennero sepolti l' uno accanto all' altro, nel piccolo cimitero di Valtournanche, il giorno di venerdì, 14 luglio 1933 ( lo stesso giorno in cui Whymper mise piede sulla vetta del Cervino nel 1865 ).

Amilcare Crétier, cadendo mortalmente l' 8 luglio 1933, non aveva ancora 24 anni. Ma aveva già al suo attivo più di cinquanta vie nuove sulle Alpi Occidentali. Era un innamorato della sua valle, dalla quale non era, alpinisticamente, mai uscito. Sapeva che tutta una vita non gli sarebbe bastata per esaurire a fondo le risorse della sua Val d' Aosta. Era sorretto da un naturale fatalismo che lo ras-sicurava nelle difficili imprese:

« I rischi e i pericoli, poco o niente ci avvicinano alla nostra fine, e se pensiamo alle migliaia di pericoli, a prescindere da quelli che sembrano più minacciosi per noi, ci convinceremo che su di un' erta parete o sdraiati su di una soffice poltrona, durante la lotta o nell' apatia, la morte e il destino ci sono ugualmente vicini. » Poi cominciò a sovrapporsi al suo senso di fatalismo il sentimento della predestinazione. Partendo per le Grandes Jorasses, il 29 luglio 1932, lasciò infatti un mirabile testamento alla sua sorella:

« Je suis bien sûr de faire un heureux retour, mais le Destin, divinité obscure, règne sur tout: l' homme ne sait rien et ne connaît rien de sa destinée. Si parfois ma jeunesse s' envole à la montagne, ma chère Nerina, ne te laisse point accabler par le départ de ton frère, car s' il a quitté cette terre, il est mort dans l' action, en luttant pour son ideal. » Ridisceso sull' amena Conca di By, cercai di indovinare il percorso che conduce al rifugio Amianthe1 sotto la Grande Tête de By. Si stacca dai resti di una cappella e dalle baite di La Comune ( m. 2049 ), si spinge verso le baracche di By ( m. 2302 ) per poi proseguire lungo la base della Punta Ratti ( ore 2 ). Il rifugio serve da base per raggiungere le seguenti vette:

M. Sonadon ( m. 3585 ) in due ore ( facileGrande Tête de By ( m. 3582 ) in due ore ( pure facile ); Tête Blanche ( m. 3417 ) in ore 1.15 ( elementareTête du Filon ( m. 3305 ) in ore 1.15 ( facile ); Grand Combin ( m. 4314 ) in ore 5.30 ( media difficoltà ).

La toponomastica valdostana ha dato e da tuttora molto filo da torcere. Sulla rivista mensile del CAI dell' anno 1938, Guido Brocherel ha scritto:

« II repertorio topografico valdostano è stato tramandato, di generazione in generazione, dalla tradizione orale. Alcune voci affiorano di tanto in tanto nei cartari medioevali, nei volumoni mano-scritti seicenteschi che elencano le « Reconnaissances » dei feudi, e in seguito nel primo abbozzo catastale, eseguito per ordine del governo napoleonico, tra il 1805 e il 1812; ma fu solo verso il 1850 che i mappatori, preposti alla levata della Carta topografica degli Stati Sardi di Terraferma, eseguirono metodiche esplorazioni nella Valle d' Aosta, spingendosi alle testate delle valli laterali, e poterono così raccogliere, dalla bocca dei montanari, la quasi totalità degli elementi toponomastici valdostani. Negli otto fogli alla scala 1:50 000, che abbracciano il bacino della Dora Baltea, la 1 È situato a m. 2979 alla sommità di uno sperone a SE della Grande Tête de By e a SO della Tête Blanche, che domina la vasta conca di By. È una costruzione in legno e appartiene alla Sezione Torino del CAI. Pub modestamente ospitare una dozzina di persone. Le chiavi sono depositate presso il custode ad Ollomont.

trascrizione dei toponimi è stata fatta servendosi d' una grafia alla francese, in modo da rispettare più o meno la pronuncia dialettale; ma gli operatori ignorando il vernacolo, furono vittime di svariati abbagli nell' atto di rendere i fonemi dei termini, e diedero veste ufficiale a impensate stor-piature, tanto da alterare ed oscurare il vero significato del nome di luogo. E questi aborti topo-nimici furono fedelmente riprodotti nelle aggiornate carte susseguenti, e pedissequamente riportati nelle pubblicazioni del CAI e nelle guide turistiche. Nessuno si è mai dato la briga di por mente alla stranezza di questi indovinelli.

Un toponimo molto discusso riflette proprio la Valpelline e precisamente la « 1' etsena » ( indicata sul foglio 293 della CNS come « 1' Etsena » ). Questa balorda locuzione dialettale, che vuoi dire « caldo alla schiena », è stata attribuita alla maestosa vetta spartiacque di tre vallate, che s' alza sulla dorsale dell' ultimo tratto del contrafforte, che separa la Valpelline dalla valle centrale di Aosta, poco ad Est del punto trigonometrico MONTE MARY. Il divertente logogrifo è il risultato d' un errore d' ortografia perpetrato dal rilevatore della carta sarda, e siccome questo documento fece testo in materia, il nome sbagliato acquistò diritto di cittadinanza nell' uso comune e nelle pubblicazioni alpinistiche.

Il toponimo un pò ostrogoto cambia sovente i connotati da una carta all' altra. Nel foglio n° 22 della gran carta degli Stati Sardi si legge: Chatalaizena; in quella dell' IGM del 1885: Kantalaizena; nella carta Adams-Reilly del 1865: Chatelaizena; l' abate Gorret, nella sua guida della Valle d' Aosta, scrive: Kantalezaina. Appare evidente che queste varianti devonsi attribuire a diverse pronuncie della stessa parola dialettale, e nessuna ha colto nel segno.

Persone anziane, da noi interrogate a Quarto Pretoria1, ci han svelato la chiave dell' indovinello. Tra le inuguali articolazioni del discusso nome di luogo, una ci ha colpito maggiormente, questa: Tsanté-leino, che vorrebbe dire « sommità facile »; e seppimo che per una facile faccia erbosa si arriva in cima senza la minima difficoltà. Ecco spiegato il vero senso del toponimo, il quale, dovendo designare una montagna, è stato reso femminile, colla permutazione automatica dell' o finale in -a.

Oltre alla confusione, creata da erronee interpretazioni di certi nomi da parte di rilevatori ignari del vernacolo, anche la versione in italiano dei nomi in francese dei comuni valdostani, imposta a suo tempo dal regime totalitario, ha la sua buona parte di colpa al disagio toponomastico della regione d' Aosta. Acquistando il regime di autonomia regionale, si è proceduto a reintrodurre, dopo la seconda guerra mondiale, i nomi in francese. Così spesso non vi è concordanza fra le indicazioni sulla carta topografica ed i nomi esposti alle entrate delle località. Sono pure stati affissi i nomi delle frazioni che non risultano né sulle carte italiane, né sul foglio 293 della CNS.

Come ho esposto in questo breve studio, soprattutto il ramo principale della Valpelline subisce attualmente una totale trasformazione. È perciò augurabile che, prima di stampare una seconda edizione del foglio 293, si abbia a procedere ad un nuovo rilevamento delle condizioni di viabilità e percorribilità. E ciò per risparmiare sorprese agli utenti, gradevoli per chi intende recarsi su alte quote perché risparmia lunghe ore di marcia; sgradevoli per colui che si reca in Valpelline per tro-varvi una valle silenziosa, non ancora corrotta dal progresso tecnico.

1 Indicato sul foglio 293 della CNS sotto il nome di Villefranche. Quart = Quarto 1620, Quart, Borgonio, 1680. Deve il nome alla pietra miliare romana « ad quartum lapidem » segnante la distanza di quattro miglia da Aosta ( Augusta Praetoria Salassorum ).

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