Mordere il cielo con le Dents du Midi | Club Alpino Svizzero CAS
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Mordere il cielo con le Dents du Midi Oltre la Haute Cime arrampicando

Le Dents du Midi rappresentano un monumento immenso all’ingresso del Vallese. L’escursionista ne può compiere il giro in due, tre o quattro giorni. Con il superamento della Haute Cime, il massiccio dello Chablais offre un’escursione impegnativa con un finale in arrampicata appena percettibile.

Sugli aguzzi contrafforti che precedono le Dents du Midi si estendono boschi di abeti rossi e latifoglie. Verso i 1400 metri lasciano spazio ad alpeggi e pascoli per le pecore, come l’alpe di Rossétan. Sopra Rossétan torreggiano la Dent de Chaux, la Dent de Rossétan e la Dent de Bonavau, che racchiudono la valle come un anfiteatro. Qui pascolano le pecore di Albert Ecoeur, il pastore di Rossétan. Seduto su una panca fuori dalla stalla, osserva gli escursionisti che spesso passano di qui. «La maggior parte pernotta alla Cabane de Susanfe e il giorno dopo sale alla Haute Cime. Altri fanno il giro delle Dents du Midi», spiega.

 

«Denti del mezzogiorno»

Con le loro sette cime, le Dents du Midi svettano come una corona nel cielo all’estremità orientale del lago Lemano. Chiamate un tempo «Dents de Tsallen» sono diventate «Dents du Midi» per il semplice fatto che indicano il sud agli abitanti della sponda svizzera del Lemano. Il massiccio calcareo dalle vette simili a denti segati fa parte di una catena lunga appena tre chilometri che costituisce il limite meridionale dello Chablais vallesano o i contrafforti del massiccio dello Haut Giffre. Da Champéry, un tour di due giorni permette di vivere l’intera diversità di questo massiccio, dalle verdi Prealpi al mondo roccioso delle vette.

 

Albert Ecœur, il pecoraio di Rossétan

Albert Ecœur trascorre l’estate tranquillo e ritirato sull’alpe con le pecore, senza comodità e senza elettricità. «Da sempre preferisco di gran lunga questa vita a quella moderna», confida. Con la saggezza dei suoi 83 anni racconta della vita sull’alpe, del fatto che il bosco minaccia di invadere i pascoli, e anche di aggressioni dei lupi. «L’ultima volta è successo cinque o sei anni fa. Ma da quando i ‹patou›, i cani dei Pirenei, sorvegliano il gregge le cose sono fortunatamente più tranquille.»

Nella valle vivono come sempre alcuni lupi, e anche due o tre linci – ma se ne stanno nascosti, dicono coloro che conoscono bene la zona. «Di lupi non ce n’è nemmeno una decina», stima la guida alpina Fernand Rey-Bellet, «ma tollerarne la presenza e promuovere al tempo stesso l’allevamento ovino, tenere in equilibrio questi due opposti in uno spazio piccolo come il nostro, sembra piuttosto difficile.»

Oggi non vediamo alcun lupo, ma per contro una coppia di aquile reali che si librano nel cielo dopo aver lasciato il loro nido della Dent de Bonavau.

 

Un passaggio difficoltoso

Oltre il limite dei 1800 metri lo scenario cambia nuovamente, diventando pietroso e alpino. La diversità piace ad Annick Dardenne, che ci accompagna: «In un’unica giornata, nel massiccio delle Dents du Midi si attraversano tutti i livelli di vegetazione, dal bosco ai pascoli fioriti, e i paesaggi rocciosi d’alta quota, che ricordano quelli lunari.»

Il Pas d’Encel segna esattamente il confine tra i due mondi alpini. «Molto tempo fa, il superamento del Pas d’Encel era più difficoltoso, e bisognava quasi arrampicare. Poi mio padre ha assicurato i punti chiave, scolpendo dei grandini e attrezzando delle catene», racconta Anne-Marie Berthoud, ex custode della Cabane de Susanfe. Una volta superato il passo, le alte vette sembrano a portata di mano: il Mont Ruan, la Tête des Ottans, la Tour Sallière. Direttamente raggiungibile dal passo è tuttavia la Dent de Bonavau, che invita a una deviazione avvincente, ma senza sentiero e decisamente impegnativa. Ad ogni modo, al passo segue ancora una breve salita, poi ecco apparire la Cabane de Susanfe.

 

L’anima dell’alpinista

Continuando la tradizione di genitori e nonni, Anne-Marie Berthoud ha trascorso 33 anni alla Cabane de Susanfe. Dapprima con i genitori, poi con Fernand, suo marito e guida alpina. Per cedere infine il posto a un’altra coppia, Muriel e Roger Gillabert, subentrati nel 1987. Hanno vissuto qui assieme ai tre figli fino al 2007 (vedi «Les Alpes» 5/2004). «Questa capanna è un po’ l’anima dei montanari di Champéry», continua Anne-Marie Berthoud. «Quando fu costruita, nel 1932, molti uomini della regione hanno partecipato al cantiere, portandosi in spalla il materiale fin quassù.»

 

Gitanti in alta montagna

Il fascino dei luoghi non lo subisce solo l’attuale custode di Susanfe, Fabienne Debossens: «D’estate, oltre agli alpinisti, accogliamo anche moltissimi escursionisti. La diversità dei sentieri di montagna fa delle Dents un paradiso escursionistico.»

Un’esperienza particolare è il tramonto dietro le Dents Blanches, uno spettacolo godibile dalla terrazza della capanna. Questa sera, il sole brilla attraverso alcune nubi innocue. Il cielo si infiamma e promette un’altra splendida giornata. Nelle conversazioni che precedono la cena, l’argomento principale è l’escursione alla Haute Cime (3257 m), il punto culminante delle Dents du Midi. Diversamente dai due «denti» vicini, che richiedono esperienza in alta quota e in scalata, la salita alla Haute Cime costituisce un’iniziazione all’alta montagna senza le difficoltà tecniche che solitamente la accompagnano. Matthias e David, due escursionisti tedeschi, già se ne rallegrano: «Per un escursionista allenato e dal passo sicuro, la Haute Cime è raggiungibile. Questo permette anche a noi di compiere una gita in alta montagna, un ambiente che altrimenti ci sarebbe precluso.»

 

Ampio panorama

Sorprendenti mucchi di piccole pietre, quindi lastre e, in alto, blocchi rocciosi selvaggiamente sovrapposti. Isolata sulla roccia, la croce di vetta domina il panorama. La Haute Cime è quasi un balcone che offre alla vista montagne di tre Paesi, tra cui il Monte Bianco. «Credo che questa vista piaccia particolarmente alla gente. Qui hai davvero la sensazione di trovarti nel cuore delle montagne, circondato da tutti i ‹denti›», afferma la guida Gregory Bueche. Prima della discesa, ognuno si prende il tempo di esplorare la vetta e di godersi il panorama. Alcuni citano le cime attorno. I più esperti le conoscono tutte dalla Cime de l’Est a La Forteresse, La Cathédrale, L’Eperon, la Dent Jaune, i Doigts de Champéry e i Doigts de Salanfe, fino alla Haute Cime.

 

Un’altra discesa

Normalmente, dalla Haute Cime si scende lungo la medesima via per la quale si è arrivati. Altri itinerari meno frequentati, e peraltro più impegnativi, consentono tuttavia un attraversamento e quindi un giro chiuso. Uno di questi inizia a ovest del Col de Paresseux e, lungo l’Arête des Lacs, porta sul versante nord attraverso la Pente des Lacs e in un canalone non lontano dall’Arête de Sélaire, per scendere ai Lacs d’Antème. Tranne per un paio di ometti e di macchie di colore, questa via alpina non è segnalata e richiede quindi molta esperienza in alta montagna, padronanza dell’equipaggiamento da scalata e doti di arrampicata. Un passaggio in roccia attraverso una cengia sotto il Gendarme de Sélaire e la discesa in un canalone si rivelano tecnicamente impegnativi. «Se non si conosce la regione, trovare il passaggio giusto in questo labirinto roccioso non è facile. A chi ci si avventura senza guida consiglio di percorrere la via in senso opposto: trovare la strada salendo è più facile», commenta Gregory Bueche.

In questo punto completamente roccioso le frane sono frequenti. «L’ultimo franamento importante si è avuto lo scorso anno. Durante più giorni, sotto la Dent Jaune si vedeva sempre della polvere nell’aria. Sembrava il fumo di un vulcano. Si sono staccati dei grossi massi», ricorda la guida. Le colorazioni diverse attestano l’evento. «Non sono più frequenti di un tempo, ma di questo pericolo imprevedibile occorre tener conto.»

Gli intermezzi alpini richiedono attenzione. All’uscita dell’Arête de Sélaire, il passaggio al tappeto erboso che porta ai Lacs d’Antème è una piccola vittoria. Nel blu dell’acqua si specchia l’imponente massiccio che abbiamo appena superato. Osservandolo, viene da chiedersi se sia davvero stato possibile, tanto inaccessibile e oscura appare la montagna.

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