Non scalata (Racconto) | Club Alpino Svizzero CAS
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Non scalata (Racconto)

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Giuseppe Macchiavello, Rapallo

( Racconto ) Sento che questa volta basta, ho davvero finito con le montagne.

Non può dipendere soltanto dal fatto che già da qualche tempo mi sentivo insistentemente stanco ( m' ero lasciato metter sotto dai nervi in ufficio, e il caldo è stato molto fastidioso giù in città, e inoltre trascino qualche piccolo malannoc' è dell' altro, deve esserci un motivo di fondo, ciò ritengo per quanto non sia ancora riuscito ad analizzarmi in modo soddisfacente.

E accaduto che l' altro giorno, mentre stavo salendo con Michele, di pomeriggio inoltrato, ad un rifugio dove intendevamo pernottare per compiere l' indomani un' ascensione, d' improvviso ho cominciato a cedere - non tanto fisicamente, almeno mi parve, bensì nell' atteggiamento psichico e nel morale — e sono andato sempre peggio, sempre peggio ( assenza di volontà, poi acutissima noia ) sinché ad un certo punto ho dovuto dire al mio compagno abbi pazienza, non mi sento bene, giriamo indietro e torniamo. Gli ho detto non sto bene, semplicemente; la verità era troppo difficile da spiegare a me stesso, pensiamo ad altri.

E sì che avevamo per obiettivo una montagna assai bella, della quale s' era parlato sovente sin dallo scorso inverno, da lontano sognandola, va-gheggiandola ( lo stesso vale del resto per le altre cime che avevamo eletto a mete di questa estate: erano splendide, le sentivo intensissimamente de-siderabili; e pensare che ora provo per esse una totale indifferenza, avversione quasi, e mi fa stupore ad esse aver guardato a lungo come a ipno-tizzanti chimere ). Si trattava, dicevo, di una gran bella montagna, larga e alta corona a molte punte tra loro collegate armoniosamente, ghiacciate e corrusche, che domina con grazia ed eleganza estreme su una vallata verdissima. Pertanto, ancor più di sorpresa mi aveva colto la svogliatezza che mi invadeva, la domanda che insistente tornava a pormisi: che ci facevo io lì, in marcia verso un luogo che non m' interessava, a stancarmi - più avanti a rischiare anche - soltanto per raggiungere un punto elevato e deserto? Molestamente mi sentivo protagonista di un non senso. Eravamo intanto pervenuti su un ciglione dominante il ghiacciaio che dovevamo rimontare, ci trovavamo cioè sull' orlo di una delle sponde che lo contengono, aspra costa tagliata a banchi giù per la quale ci si deve abbassare, di gradone in gradone, perabbordarela colata, in quel tratto tutta coperta di detriti e che più su sparisce alla vista, con una svolta brusca, dietro a un pronunciato rostro roccioso. E fu lì che la crudezza dell' ambiente e la assoluta solitudine — quella stessa che tante volte ero salito a cercare con slancio - mi affrontarono con inaspettata ostilità e mi pesarono addosso, insopportabilmente. Tetre, quasi orride, anziché semplicemente severe come d' abitudine, le so-praggiungenti ombre della sera mi precisarono allora che non sarei voluto né potuto andare oltre.

Mentre ridiscendevamo mi dicevo - e così la penso tuttora - che l' unico modo decente per trascorrere una vacanza in montagna ( ma perché poi non lasciar perdere del tutto ?) è frequentare le quiete e riposanti praterie, scostate appropriatamente dalle altitudini disumane. Quanto c' era voluto per convincermene! E nei prati ho tra- scorso infatti la maggior parte del tempo in tutti i successivi giorni, sino a oggi. Tuttavia, ancor ora mi interrogo circa le cause, il meccanismo di questa mia metamorfosi. Anche in passato c' erano stati, naturalmente, come, credo, per tutti gli alpinisti prima o poi accade - i periodi di rallentamento, di delusione, di indolenza. E propositi di piantarla. Provocati da reazioni di paura, o da un senso di saturazione dovuto a qualche eccessivo affaticamento, o dalla usura nervosa cui sottopone sempre l' incertezza: partire o non partire, le vicende atmosferiche imprevedibili, dove e come andare, le proprie condizioni fisiche, se e quanto azzardare. Ma erano proponimenti che già subito sentivo fittizi, ancora un po' e li avevo dimenticati. Questa volta invece non si tratta di una decisione improvvisata, ma di qualcosa che dev' es maturata dentro di me a poco a poco, e che ora è incontrastabile.

Forse è stato solo per lo scadere di un altro anno di età. Penso che nella parte centrale della vita siano inevitabili certi assestamenti: abbastanza naturale, ad esempio, anche se duro da ammettere, sarebbe che il mio spirito di avventura cominciasse a ridimensionarsi. Oppure, la cagione potrebbe risiedere, correlativamente, in una maggior presa di coscienza dei miei doveri verso chi mi è e mi ha caro, doveri comportanti l' eliminazione di ogni rischio gratuito. O magari si tratta di un inconscio mutamento - un' evolu dire, di fede. Mi si rimproverò, ricordo, di vedere nelle montagne il Grande Emblema, di essere quasi esclusivamente lassù capace di sentire qualche anelito dell' anima verso un che di supremo. Convenzionale, troppo facile - questa fu la critica - e soprattutto egoistico, sterile. Al che, riconosco, non seppi ribattere; e rimasi perplesso, incerto.

Comunque sia, il pensiero di essere per sempre guarito dalla tormentosa febbre di altezze e di precipizi è per me un vero sollievo. Mi permette infine di trascorrere quassù qualche tempo serenamente, tranquillamente: il che in sostanza mi mancava.

È bello, ve lo dico, stare sotto a guardare - dalla strada che risale la valle, o dal margine della foresta, dalla placida radura in riva al torrente, da casa perfino ( tanto vicina ai monti l' avevo a suo tempo sceltadabbasso restare a guardare, in spensierata inattività, altri, che si danno un grandissimo da fare per raggiungere qualche vetta.

Le montagne di qui sono tra le più imponenti, un' incredibilità di muraglie pendu creste picchi acrocori intagli alvei smisurati, con estesi dispie-gamenti di nevi e ghiacci. Numerose cime di questo gran assembramento sono dissimulate, celate, e ad esse si accede risalendo lunghi solchi glaciali e scavalcando recondite brecce; ma alcune altre, tra le principali, si stagliano evidentissime, con le loro architetture maestose, sopra la vallata. È così possibile - e tanto meno difficile quanto più si conoscono e si sanno individuare i vari itinerari a ciascuna di queste classiche e ambite sommità — avvistare e seguire, ovviamente con i binocoli, gli alpinisti lassù impegnati. Omini piccolissimi, puntini scuri minimi ma che spiccano contro il biancore dei nevai ( sulle rocce è per contro quasi impossibile individuarli ), cordate remote delle quali... non si scorge affatto la corda e le cui manovre si possono soltanto intuire: ma per un alpinista, anzi per un ex alpinista devo dire nel mio caso, ciò è facile.

Sino a non molti giorni fa, però, e ciò è successo per anni e anni - trovarmi quaggiù ad osser-varli, durante gli intervalli tra l' una e l' altra delle mie ascensioni, era assai meno piacevole. Anzi, era assillante. Dispiacere di non essere al loro posto. Una tensione continua. Uno scrutare troppo attento, specialmente verso le « vie » che non ho mai percorso, per imparare il più possibile dove quei tali passassero, come procedessero, in qual modo le mutevoli condizioni dell' altamon li ostacolassero o favorissero, influenzan-done l' azione e gli orari. E tutto ciò per potere successivamente, quando si fosse presentata l' oc propizia, imitarli.

Ma finalmente ora, essere in fondovalle a o binoculare » gli scalatori, a valutarne condotta e risultati, è diventato, ripeto, un gradevole passa-tempo, una « eccitante distensione ». Che novità non sentirmi più sfidato dai giganti di pietra e ghiaccio, non pretendere più di figurare tra chi sa affrontarli, non provare più la necessità di misurarmi lassù con loro e con me stesso, né più avvertire irrinunciabile la dedizione a quel quasi misticismo che per me era diventato il frequentare i silenti domini delle nevi. Al diavolo. Scac-ciata per sempre la sottile implacabile inquietudine che è radicata nell' alpinista ( o almeno, lo era in me ). Nessun turbamento all' assistere alle imprese degli altri, operanti su quelle elevazioni somme, che paiono in capo al mondo.

In capo al mondo? O ancor oltre? Si tratta di una misura diversa, indicibile. Non hanno confronto, a essere obiettivo, le sensazioni che, negli spiragli fra i triboli e le attenzioni varie di ogni scalata, ho avuto modo di provare lassù: di vera e propria esaltazione; di evasione totale; di nobiltà di scopo, nel fare appello ad ogni mia forza, a tutto un pur misero coraggio, per tentare di avvicinare almeno fugacemente il sublime; di stato di grazia, allorché accade che dalla determinazione nasca una specchiante - ancorché effimera - nitidezza intcriore; ed anche di, riconosciamolo pure, ingenua ma compiaciuta fierezza. Inoltre, qualche eco delle fiabe felici in cui all' inizio della vita ci s' immedesimò, qualche riflesso delle cose grandi che da ragazzi confusamente sognammo, insperatamente - e la considero impareggiabile fortuna - io ho raccolto proprio là in alto, nello scintillante stupefacente regno che è stato anche un po' mio.

E sì che il meglio non l' ho conseguito. Dei tanti programmi, ho svolto piccolissima parte; e alcuni degli obiettivi cui tenevo di più li ho falliti.

La Grande Blanche, per esempio. Essa anzi più di tutte. Più di ogni altra montagna l' ho desiderata. Per me è un simbolo. Anche perché l' ho sempre avuta accanto e sottocchio in ogni mia vacanza, in completa vista da questa abitazione dove da tanti anni faccio base nei miei soggiorni alpini. Una cima straordinaria, regale. Difficile l' itinerario che si sviluppa su questo versante e che avevo scelto: complesso, lungo, richiedente per percorrerlo l' attesa delle migliori condizioni ambientali. Forse al limite delle mie possibilità ( e anche per questo lo trovavo massimamente affascinante ).

In più d' una occasione ho provato, ma con sorte puntualmente avversa. Il maltempo mi ha sempre respinto. Quante altre volte sarei andato, ma le condizioni, appunto, non erano adatte. E quando sarebbe stato il momento, io non mi trovavo qui, o non ero allenato. Aggiungiamo le speciali titubanze, le perplessità incomprensibili che si provano davanti a ciò che troppo si brama. Insomma, l' ascensione non l' ho compiuta. E ciò che maggiormente mit faceva penare.

C' è lassù, proprio questa mattina, una cordata. La sto seguendo da un pezzo, dal mio terrazzo. Li ho scorti, quei due, appena alzatomi, mentre col binocolo eseguivo - per prima cosa, è una vecchia abitudine che non son riuscito a tralasciare - la perlustrazione delle diverse vie alle vette circostanti. Stavano attraversando il largo canalone nevoso, allora ancora in ombra, uno dei passaggi più appariscenti. Sono poi scomparsi durante il tratto seguente, mascherato da una quinta di rupi variamente profilate. ( Per quanto me l' abbiano descritto, quel settore - diversi tiri di corda su placche impegnative e in una obliqua spaccatura, per superare una scarpata; e susseguente un piccolo ghiacciaio sospeso, inclinato, da ramponare in diagonale — non riesco a figurarmelo sufficientemente, resta esso il passo più ignoto dell' ascen, che particolarmente mi incuriosisce e mi avvince. ) Li ho più tardi ritrovati - indovinandone l' ar quasi al minuto - alla candida spalla che sostiene la cresta finale. Han superato lo scivolo di ghiaccio, su di esso le cordate si trovano in mostra spettacolare per chi guarda da valle. Li ho quindi perduti dove sapevo con esattezza che sarebbe avvenuto, sugli scaglioni del crinale. Devono essere partiti dal rifugio tra mezzanotte e l' una, buona parte della salita va fatta con le lampade frontali, se non basta l' eventuale luna; ora siamo a metà mattina, ed eccoli riapparsi sul pendio bianchissimo, dolce ormai, che è già cupola della vetta. Si innalzano trasversalmente, è l' ultimo tratto... La cima è luminosissima, al centro di una giornata perfetta. Beati loro!

Maio...

Ma io.. quasi quasi... ora sì che sarebbero giorni adatti: stabile il tempo, le rocce asciutte, leale il ghiacciaio anche se più rude perché è tarda stagione. E il compagno saprei dove trovarlo. Quasi quasi. Ma no, avevo detto basta. Eppure, potrei ritentare. Devo ritentare! E inutile, prima o poi io devo andarci lassù!

Maledette montagne.

Maledette. Ecco qui che ci risiamo. M' ero illuso. Credevo. Mi pareva di essermi svincolato abbastanza da loro, definitivamente. Invece in qualche modo occulto ero sempre legato ad esse. Addirittura, in questo momento ad esse legato mi sento più che mai. Di questo passo, lo sarò sempre.

E i motivi profondi di rinuncia che credevo di aver individuato? Se c' erano, qualcosa di più forte li ha già superati. Ciò vuoi dire rivincita piena dei monti; e che stanno per ricominciare, con l' azione, le apprensioni, i dubbi, le attese snervanti, gli scoraggianti rinvii, le faticacce, i timori persino terrori.

E le gioie? Si, torneranno esse pure, è ovvio. Questa volta però io mi chiedo: da quale arcano traggono la forza che esercita su di me una così invincibile coercizione?

La Grande Blanche dunque. Già so come sug-gestionante sia avventurarsi tra le maggiori pieghe dei suoi scoscendimenti, con l' animo sospeso, tutto ammantando intorno d' estraneità e di enigma, anche se chiara, la misteriosa notte: il dedalo di rampe e roccioni che torreggia sul rifugio, il retrostante ghiacciaio a gomito, ripido, rotto, intricato da sistemi di crepacce e oppresso da selvaggi appicchi, e i suoi tormentati pendu superiori - o il dorso di scogliere a sinistra - che adducono alla svasatura del canalone centrale, titanico raccordo di tutte le strutture di questa faccia del monte. Ma appena malamente riesco a immaginare quanto debba essere entusiasmante da lì progredire, trarsi, nel primo scialbo lucore, dalle strettoie dei vitrei fondali, e mentre si ritirano le ombre, e i più alti pinnacoli s' incendiano, e dalle brume si passa per gradi al cristallo e allo splendore, impegnarsi a fondo perché si intravede che questa potrebbe essere invero la volta buona. E tenacemente inoltrarsi per le soprastanti regioni, passo dopo passo, ora dopo ora, appiglio dopo appiglio approssimandosi il favoloso momento.

Sino all' estrema criniera di rupi, e allo spiovente sommitale di fulgente neve. Consentiranno, la tensione e lo sforzo, di esultare sempre più, di arrivare sul culmine, e sostarvi, nell' adeguata disposizione d' animo, nel fantasticato stato di perfezione ( almeno un attimo, uno soltantoUn pre-ziosissimo segno, di questo son certo, s' imprimerà comunque dentro di me.

C' è poi il ritorno. Molto più della discesa da qualsiasi altra delle vette che ho salito o che potrei ancora salire, ho sempre immaginato che esso debba essere lieto, incantato. Ore di brillio interiore, di pienezza rara, di appagamento autentico. Camminare ancora lassù, nelle magiche contrade meravigliose che è possibile raggiungere in breve anche se si trovano a incalcolabile distanza sopra le valli degli uomini ( e in tale distanza ogni volta le lasciamocamminare ancora lassù, allontanandosene ma a poco a poco, con la consapevolezza di essere infine riusciti ad arrivare dove svetta il più bel miraggio e di aver potuto lasciarvi, legarvi un pò di noi stessi.

Ci sono nell' esistenza di ognuno giorni essenziali per significato e importanza. Così, in uno di essi, che nuovamente confido sia prossimo, forse ridiscenderò la Grande Blanche, una sorta di segreto trionfo accompagnandomi giù per le sfar-zose chine gelate, tra i sipari immani di speroni e pareti. Trasognate altezze, fasto ed estasi senza scampo dei vertiginosi deserti, smemorante pla-sticità nivale, perpetuarsi del mito dell' avventura eccezionale suprema inimmaginabile, impassibili sovrani monti benedetti. Come si può ritrarsi, una volta toccati dal loro sortilegio? Dopo la Grande Blanche altre vette - temo e spero - mi ammalie-ranno ancora. Indipendentemente dalla mia volontà, dopo l' illusoria tregua già riprende per

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