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Passo dell'Oro

Hinweis: Questo articolo è disponibile in un'unica lingua. In passato, gli annuari non venivano tradotti.

DI GIUSEPPE RITTER, MENDRISIO

Con 3 tavole ( 12-14 ) H Passo dell' Oro, larga sella tra i torrioni antistanti la Punta Milano e il Pizzo dell' Oro NE sulla costiera del P. Porcellizzo, è il valico più breve tra la V. Masino e la V. Codera. Approfittando di una bella giornata autunnale che cadde sul 22 settembre 1964, decisi di tentare questa impresa. Parth da Mendrisio col diretto delle ore 4.27 e giunsi, con la corriera da Morbegno, alle ore 9 a San Martino, m. 927, povero paesello alla confluenza della V. di Mello con quella dei Bagni. Di questo luogo Aldo Bonacossa scrisse ( Val Masino: che passione !):

- Un piccolo slargo tra qualche casetta di modesto o misero aspetto si chiama qui piazza. Due trattorie: quella dell' ex Siro e quella del Bartoli. I ragazzini vi guarderanno ancora selvaticamente stando alla larga ( meglio! Qui si adattano alla lettera le prescrizioni del mio celebre amico prof. Cornel di usare parsimoniosamente il sapone ). Forse dopo che i vostri piedi avranno fatto una prima conoscenza col durissimo granito del Val Masino sulla sconnessa selciatura vedrete spuntare con fare un pò da piccolo moschettiere la più famosa guida della valle, il Giacomo.Se gli ispirerete fiducia, chiedetegli un pò del tempo. Una tirata a un solo baffone, l' altra mano a mettere il cappello di traverso, un' occhiata quasi cattiva verso il cielo e poi magari: Ch' è un vent de sciropp. Sarà questa la vostra prima introduzione nella linguistica della valle.

Sul conto della « più famosa guida della valle » Enzo Gibelli ha aggiunto ( Fantasia all' ombra del Badile ):

- Giacomo non ha mai calzato ramponi in vita sua. Aveva il terrore degli attacchi. « Si slacciano, si scivola e si va a Gerusalemme », spiega nel suo dialetto, per noi abbastanza trasparente. Né ramponi sul ghiaccio, né chiodi sulla roccia.

E i gradi, che ne dice Fiorelli dei gradi? È una storia che non gli va giù.

« A l' è ragiônada, bisogna dire la realtà, ma mi son minga un de,tor de parla de gradi ». Passa la cicca da una parte all' altra della bocca e: « Che ei sti gradi? Se segni la freva o come l' è? » Terzo, quarto, quinto grado? Per lui non esistono, non sono mai esistiti. Quando la pioda tendeva alla verticalità, quando gli appigli si facevano più scarsi e più piccoli, la diventa dura. Uno, oggi, tira fuori i chiodi, i moschettoni, il martello. Il nostro Giacomo quando viaggiava, nel sacco metteva ben altre cose: pane, formaggio, una borraccia di vino, la fiaschetta della grappa. Altro che i chiodi e il martello!

- E allora come se la faceva con le placche?

Bisogna andare « alla naturale », dice. E per essere più naturale, si toglieva gli scarponi, i calze-rotti e partiva... Il quarto grado incominciava quando Fiorelli tornava alla natura. E vinceva. Il segreto di tanti successi? « El spirit », dice. Lo spirito che è fegato e volontà.

Purtroppo a San Martino non ebbi tempo né per considerare le misere casupole né per attendere l' arrivo di Giacomo Fiorelli. Dal primo di settembre le corriere non fanno più servizio fino ai Bagni e così dovetti aggiungere all' orario già troppo teso anche i quattro chilometri della vecchia mulattiera. Di tanto in tanto mi voltavo per vedere come la fiera vetta del M. Disgrazia si stagliava sempre più alta nel cielo. E poi, dopo mezza oretta, eccomi ai Bagni. Sprofondato in un bosco cinto da una chiostra di altissime pareti, questo magnifico posto ci offre una grande attrazione: lo stabilimento che sfrutta l' acqua sorgiva a temperatura costante di 38°. Nel volume « De Balneis », stampato nel 1558 a Venezia, viene raccomandato per cure gastro-enteriche e ginecologiche. Non senza malizia, Aldo Bonacossa osserva:

- Sappiate che una volta questi bagni erano famosi, oltreché per l' ottima cucina familiare, per la decantata virtù dell' acqua che in Lombardia veniva consigliata alle spose desiderose di prole. Ci passò molto della Milano elegante e se incontro talora la discendenza di una delle più note famiglie ambrosiane, devo ammettere che la cura fece bene alle loro madri: sono tutte belle ragazze e signore altissime, ben superiori alla media, e dei maschi uno credo domini attualmente tutti i milanesi dall' alto dei suoi 2,03 metri.

Per ricordare il primo diligentissimo studioso della vallata, il Conte Francesco Lurani, si è provveduto a murare una lapide sulla facciata dello stabilimento.

In partenza dai Bagni si segue dapprima il sentiero che porta al rifugio Omio. Dopo la segheria, varcato il ponticello, si sale a zigzag attraverso un magnifico bosco e dopo 40 minuti si giunge su una radura che offre un primo sguardo sulle ardite vette che formano il circo terminale della V. Porcellizzo ( P. Badile, P. Cengalo, ecc ). Poi si entra nuovamente in zona boscosa con sentiero a zigzag finché, alla Casera dell' Orio ( m 1747 ), si esce definitivamente all' aperto. La pista, ancora chiaramente riconoscibile, aggira dapprima un curioso enorme blocco, sotto il quale si trova la baita superiore della casera. Per piacevoli dossi erbosi si prosegue poi in direzione del rifugio Omio ( non ancora citato dalla guida CAI/TCI « Masino-Bregaglia-Disgrazia » di Bonacossa [edizione 1936] e di conseguenza non inserito nel foglio 278 della CNS ). Riporto perciò le generalità, tolte dal numero speciale del « Bollettino Mensile » della sezione di Milano del CAI ( N.7/1954 ):

- Il rifugio A. Omio sorge a m. 2003 su uno dei ripiani della vasta testata della Valle dell' Oro, con ampia veduta verso le Punte Medaccio e Fiorelli ( che nascondono in parte la costiera di Mer-darolà ), le Cime del Calvo, il Pizzo Ratti e Ligoncio, la Punta della Sfinge, i Pizzi dell' Oro, la Punta Milano e la Cima del Barbacan 1; più lontane appaiono la Cima della Bondasca con la costiera del Cavalcorto, il Disgrazia e le Alpi Orobie. Inaugurato nel 1937 dalla Società Escursionisti Milanesi, Sezione del CAI, è dedicato alla memoria di Antonio Omio, morto sotto la furia degli elementi la notte dal 15 al 16 settembre 1935 sulle balze ghiacciate della Punta Rasica 1 In Val Codera è noto esclusivamente sotto il nome di Boris, mentre Barbacan viene applicato al contrafforte NO del Pizzo dell' Oro. Sempre nella V. Codera il Passo del Barbacan ( m. 2620 ) è noto solo con il nome di « Caurga del Sabbione ».

con altri cinque compagni. È costituito da un fabbricato in muratura con sala, cucina, locale per il custode, servizi igienici e dispensa al pianterreno e 4 stanze al primo piano, le quali, con il sottotetto, possono dare alloggio a 34 persone.

Al mio passaggio il rifugio era già chiuso e così non tentai nemmeno di entrare. Ci rinunciai con rammarico perché un fortissimo vento gelido mi rendeva impossibile una sosta all' aperto per consumare un boccone. Poi, invece di puntare direttamente verso il passo, mi spostai sul dosso che, degradando dolcemente dai pressi della cresta divisoria verso nord, consente un ultimo sguardo sulla Cima della Bondasca. Lo spettacolo si rivelò davvero eccezionale. Ma non meno impressionante era ciò che stava alle mie spalle: la Punta Milano, dopo la Punta di Trubinasca la più ardua della V. Codera. Questa ardita guglia rocciosa incombe verso nord con grandi salti, mentre scende con un poderoso spigolo verso NO in V. dell' Averta. Fu conquistata il 26 luglio 1910 dalla cresta SO dalla cordata Ferrario, Silvestri, Bernasconi con le guide Emilio e Marcello Fiorelli.

Poco dopo mezzogiorno, superato il breve pendio erboso terminale che a guisa di largo canaletto conduce alla regolare finestra del valico ( m.2526 ), mi trovai finalmente sullo spartiacque. Purtroppo ci offre un panorama assai ristretto a causa dei crestoni che, a guisa di barbacani di un forte, calano sulla Val Codera. Il tempo chiaro, ventoso, mi permise tuttavia di individuare, a occhio nudo, le Prealpi Ticinesi e le più alte vette del Vallese.

La discesa nella V. dell' Averta, tributaria della V. Codera, si profilava abbastanza dura, soprattutto perché la neve e la ganda risultavano pietrificate dal gelo. Scesi cautemente e, finalmente, mi trovai fra le baite molto primitive dell' Alpe Averta ( m. 1957 ), in un mondo oltremodo selvaggio. All' intorno, pareti rocciose di bell' aspetto. I Pizzi dell' Oro per esempio, che, dalla Valle dei Bagni, sembrano di importanza del tutto secondaria, assumono su questo versante un aspetto impressionante, con notevoli pareti, spigoli e contrafforti.

Dalle baite dell' Alpe Averta il sentiero scende nel letto del torrente, sconvolto da alluvioni, per poi proseguire, quasi pianeggiante, in direzione sud. Indi penetra in zona boscosa e precipita a valle. La faticosa discesa termina nei pressi delle baite di Coeder ( m. 1330 ) nella V. Codera. Il vasto pianoro di Bresciadega, visto dall' Alpe Averta, sembra essere un vero paradiso. Raggiungendolo ci si convince che è effettivamente una zona di romantica bellezza. Prima di attraversarla, feci una breve visita al rifugio Luigi Brasca, sul quale la guida riferisce:

- Sorge a m. 1195 nei prati dell' Alpe Coeder e appartiene alla sezione Milano del CAI che lo dedicò al socio Prof. Luigi Brasca, compilatore di una guida della Valle San Giacomo. Arieggia a villetta; è in pietra a due piani: in quello terreno si trova un' ampia cucina con camino e fornello e una sala da pranzo; al piano superiore vi sono 4 camere da letto con cuccette per 16 persone. Servizio d' alberghetto durante l' estate. A pochi metri di distanza vi è un alberghetto del custode del rifugio, aperto contemporaneamente a questo.

Mentre godevo della meritata sosta, feci « due chiacchiere » col custode. Da questa conversazione risultò che avevamo gli stessi conoscenti nella vicina Valle Bregaglia. Ciò per il fatto che gli abitanti dell' alta Val Codera comunicano con i bregagliotti attraverso il Passo della Trubinasca1.

Prima di congedarmi da questo posto ospitale, diedi uno sguardo sul grandioso scenario che lo circonda. Di aspetto veramente impressionante le Cime d' Averta. Ma più di queste attrae il circo 1 Sul finire del 1848 si svolse sulle rupi di Verceia, che danno picco sul Lago di Novate, un episodio storico, ricordato dal Carducci nell' ode « A una bottiglia di Valtellina del 1848 ». Duecento patriotti, guidati da Francesco Dolzino di Chiavenna, tennero in iscacco per alcuni giorni le truppe austriache dell' Haynau e, solo quando furono assaliti da seimila nemici, si ritirarono combattendo per la Val Codera, passando poi per il Passo di Trubinasca a Promontogno in Val Bregaglia.

terminale della Valle Spassato, con la grande parete liscia del Pizzo Ligoncio e della Sfinge, con i canaloni di ghiaccio verso la Punta Bonazzola e le belle cascate che allietano i gradini iniziali del vallone. Un tempo si chiamava Valle Arnasca ( nome preso dall' Alpe più alto ). Dopo due tratti ripidi, separati da un gradino, la valle si allarga in un ampio anfiteatro, cui fanno sfondo, al di sopra di piccoli ghiacciai, le più alte, impervie pareti della V. Codera. È la più importante tra le convalli per le salite di grande stile, sia su roccia, sia su ghiaccio.

Saziato l' occhio, iniziai la discesa attraverso la media e la bassa Val Codera. Su essa la breve relazione della guida dice:

- Quasi al termine superiore del Lago di Mezzola si apre, profondamente intagliata, con direzione all' incirca NE, terminando e culminando alla Punta Sant' Anna1, questa selvaggia vallata che si può dire la « cenerentola » della regione, tanto è poco frequentata. Separata dalla V. Bregaglia per mezzo della catena Pizzo di Prata - M. Gruf, dalla V. dei Ratti con la catena Sasso Manduino - Pizzo Ligoncio, e dalla V. Masino superiore mediante la costiera Pizzo Ligoncio - Pizzo Porcellizzo, è di percorso lunghissimo e quanto mai caldo all' inizio, sicché, anche perché mancante di comode basi nell' alto, le vette che la circondano vengono di preferenza raggiunte dalle valli finitime. È la valle per chi non ha fretta.

A guisa di forra nella parte bassa, diventa poi pianeggiante per lungo tratto, a volte con bei boschi, per poi ridiventare stretta, brulla e molto rovinata dalle alluvioni verso l' alto. Ma nelle numerose vallette laterali l' alpinista potrà ancora trovare quella solitudine che ormai quasi più non esiste altrove.

Nel bacino mediano il rifugio Brasca offre un punto di partenza basso, ma molto centrale. La scarsa popolazione è dedicata quasi esclusivamente alla pastorizia. Gli abitanti sono molto intelligenti; ottimi portatori tra i numerosi cacciatori.

Un pò stanco, ma col cuore baldanzoso percorsi il piano di Bresciadega, occupato da prati ancora verdi e lariceti che, in controluce, già lasciavano intravvedere l' intensa colorazione autunnale. Poi scesi verso i casolari di Beléniga nei pressi dei quali si stacca il selvaggio vallone omonimo 2. Abbassandomi sotto i mille metri, giunsi infine a Codera ( m.824 ), piccolo paese, l' unico nella valle, in località solitària, sovrastante la forra del torrente, abitato tutto l' anno, con osterie e alloggio primitivo. Affreschi sui muri degli stabili rivelano la presenza, nel passato, di eccellenti pittori. Dato che la teleferica per il trasporto di merci termina ad Avedè su un contrafforte del Motto d' Avedè, tutto l' occorrente per la popolazione del paesello dev' essere trasportato in gerle sulle spalle delle donne e dei bambini. E questo avviene ancora oggi, nell' epoca dei viaggi interplanetarii Ma ciò non è a tutto danno. Dubito che a Codera vi siano persone veramente infelici. La popolazione è sana perché l' andar dal dottore è troppo scomodo. Non conosce la televisione, ma gode gli spettacoli gratuiti della natura.

Dal paesello il sentiero scende tortuosamente per un centinaio di metri e attraversa un canalone. E poi... c' è una ripida scala di granito che sembra condurre direttamente in cielo. È la controsalita della quale mi aveva parlato il custode del rifugio Brasca. Avendo già da tempo consumato le mie ultime forze, credetti dapprima di non farcela. Ma poi, scalando stentatamente gradino per gradino, riuscii a superare anche l' ultimo. Dopo di che non c' era che discesa. Ma che discesa! Dice la guida:

1 Punto nodale ( m. 3168 ) dello spartiacque tra la V. Codera e la V. Bregaglia, non indicato sulla CNS foglio 278. E conosciuto in V. Bregaglia con il nome di « Il Badilet ». Il nome « Punta Sant' Anna » venne applicato da Lurani.

2 Termina sullo spartiacque con la V. Bregaglia, tra il M. Beléniga e il Sasso Becche. Esso è percorribile solamente nella parte alta, perché quella inferiore non è che un' orrida gola, che arditi sentieri evitano sui crestoni che la rin-serrano.

- Un sentiero si arrampica con una serie di risvolte a gradinata, faticosissime in discesa, per la costa esposta al sole.

Alle ore 19 circa giunsi alla stazione di Novate Mezzola ( m.208 ) e, dopo dieci ore di cammino, anche questa fatica ebbe fine. Bilancio: 1500 metri di salita e 2300 metri di discesa. Nove ore di viaggio ( treno e corriera ) e dieci ore di cammino Come gita d' un solo giorno non c' era male, anche se di sesto grado non c' era nemmeno l' ombra.

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