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Quando la guida rimane in macchina Scialpinismo in Turchia – avventura garantita

A chi si avventura con gli sci sui Tauri non mancheranno le esperienze. Senza le carte e le guide giuste si è lasciati a se stessi.

I vulcani sono montagne ideali per sciare. Anche in Turchia, come ad esempio i due vulcani Hasan Daği e Erciyes Daği. Laggiù, le infrastrutture non sono certo paragonabili a quelle delle Ande o delle Alpi, ma anche questo ha il suo fascino. Inoltre, i Tauri centrali, una delle ultime propaggini dell’Himalaya, offrono moltissime possibilità di escursioni sugli sci. Tuttavia, pianificarle non è sempre facile. Relazioni e presentazioni sono rare anche in Internet. Google Earth consente una visione approssimativa dell’aspetto della regione, ma le pur rare immagini sono quasi sempre riferite all’estate. I tentativi di procurarsi delle carte topografiche della zona falliscono: sono protette da segreto militare. Le guide di viaggio descrivono senz’altro tutto ciò che c’è da vedere, ma non forniscono alcuna altra indicazione sulle cime – tranne una breve osservazione sull’Erciyes, alto giusto giusto 4000 metri. Qui sì che ci sarebbe da fare, per un editore di montagna!

Guida senza sci

Ci mettiamo comunque in cammino e ci affidiamo a una guida locale. Ma questo non riduce affatto le difficoltà. La guida, in realtà, non sa sciare. Ci accompagnerebbe per un pezzo con le racchette e ci indicherebbe la via. Poi vien fuori che Özgür, la guida che parla inglese, non dispone di alcun equipaggiamento e che le sue conoscenze della regione derivano esclusivamente da gite estive. Ciò nonostante, dispone di enormi conoscenze sulla storia del paese e, da musulmano non praticante, permette uno sguardo in un modo di vita sconosciuto. La sera, le discussioni si susseguono animate davanti a un bicchiere di vino o di raki, e non mancano di toccare anche temi politici scottanti.

Il primo vulcano

Prima dell’arrivo a Helvadere, il punto di partenza della prima escursione sullo Hasan Daği (3265 m), ha piovuto. Il mattino presto partiamo da nord in direzione della vetta del vulcano. Invece della polvere, sul terreno c’è la grandine. Più saliamo, più il vento soffia forte. Nella tormenta, i granelli colpiscono il volto come pallottole. La pacchia è finita. Come consolazione, abbiamo tutto il tempo da dedicare al mercato locale di Helvadere, con tutti gli articoli per il fabbisogno quotidiano, dalla frutta all’asino e al melo. È un tempo ideale anche per apprendere di più sulla regione dalla nostra guida.

Città sotterranee

L’Anatolia centrale ha alle spalle una storia lunga e movimentata. Da Occidente, ma soprattutto da Oriente, un’incessante susseguirsi di popoli ed etnie vi si è insediata, con intenzioni non sempre pacifiche. Già nel 7000 a. C. gli Ittiti vi stabilirono una prima civiltà – mentre da noi ancora non si costruivano palafitte! Negli anni dal 1000 al 1300, temendo persecuzioni, i cristiani che vi si erano stabiliti scavarono i loro luoghi di riunione e le loro abitazioni nelle pareti di roccia relativamente morbida. Questo diede origine a intere città sotterranee, articolate su diversi livelli e dotate di sistemi di aerazione. Degli affreschi dell’epoca si sono in parte conservati, anche se nelle incursioni successive molto è stato distrutto e alle figure sono stati cancellati gli occhi.

L’autista alla griglia

Demirkazik, il migliore punto di partenza per lo scialpinismo sui monti Aladağlar, sorge a 1650 metri di quota. Un burlone ha definito il piccolo villaggio la «futura Zermatt della Turchia». Ovvio: la località è circondata dai quasi quattromila dei Tauri. Ciò nonostante, il paragone con Zermatt non potrebbe essere più lontano dalla realtà: una moschea, alcune case, nessun impianto di risalita. Nel villaggio, l’agenzia di trekking ha una capanna. Le camere un po’ più confortevoli sono in un centro sportivo dove attualmente si allena la squadra nazionale femminile di boxe.

Qui, in marzo, la neve è già ampiamente assente. I turisti sciatori e il materiale vengono caricati ogni mattina su dei fuoristrada russi Lada e trasportati fin dove è possibile, idealmente fino alla neve. Che in questa stagione rimane incredibilmente soda, e non cede neppure al pomeriggio. Con un tempo variabile, la via sale al passo Avcibeli passando per il Parmakkaya, il cosiddetto «dito di Allah». La vetta dell’Alaça è immersa nella nebbia, ma ci godiamo comunque la discesa.

La gita successiva mira all’Embler (o Engin) Tepe, con i suoi 3723 metri la montagna più alta della regione. Vetta raggiunta! Il fianco è ripulito dal vento, e durante la discesa accade di toccare qualche pietra. Una volta ancora scendiamo nella valle dell’Emli, con i suoi radi alberi, e da qui in direzione sud-est verso l’Alaça. Sull’ampia sella – nonostante il sole – il vento soffia forte. Una raffica stende a terra sette degli undici sciatori!

Il fatto che la guida Özgür non padroneggi l’arte dello sci ha anche i suoi lati positivi: a ogni rientro, lui e l’autista locale hanno già allestito una piccola griglia. Ci sono salsicce, cosce di pollo, funghi ripieni, e birra gelata dalla neve.

Uscita mancata dalle gole

L’escursione più impressionante sui Tauri inizia con una sfacchinata: mezz’ora di salita con gli sci in spalla lungo la gola di Narpuz. Poi, le strettoie si alternano a tratti aperti fino a che, sotto la vetta del Demirkazik Tepe (3756 m), un ripido pendio conduce sulla cresta. La discesa attraverso la valle di Çimbar, all’inizio bene aperta, è un piacere. Con l’insufficiente mappa di Google e le poche informazioni della guida può accadere di mancare l’uscita e finire giù nella gola. Allora, di nuovo sci in spalla e, tanto per gradire, anche una discesa in corda. Cosí allunghiamo il percorso, e raggiungiamo la strada nei pressi del centro sportivo.

Con lo scilift sul secondo vulcano – o quasi

Sull’Erciyes Daği, a sud della città di Kayseri, sorge una piccola stazione sciistica. A fine stagione non è proprio una delizia per gli occhi: tra i blocchi degli alberghi, la neve è disseminata di rifiuti. Il primo tronco della seggiovia porta in gruppi 200 metri più in alto, il secondo non funziona. Stando ai gestori dell’impianto, il vento in alto sarebbe troppo forte. Quindi montiamo le pelli per i 1600 metri che ci separano dalla vetta. In un’ampia conca, la via porta a ovest, e quindi nuovamente verso sud fino all’anticima. Sopra c’è l’uragano. La stretta cresta si fa pericolosa e il sogno della vetta rimane tale. Iniziamo quindi la discesa, che si rivela un vero piacere. Sotto, nelle vallate, fioriscono albicocchi e mandorli – e la griglia ci attende.

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