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Tre Gite nel Libano

Hinweis: Questo articolo è disponibile in un'unica lingua. In passato, gli annuari non venivano tradotti.

Di George Tod

Con 3 tavole ( 159-161 ) Nel gennaio del 1939 mi trovavo a Tripoli e precisamente ai piedi del Monte Libano ( 3083 m .) e distante circa un' ora e mezza di automobile dai rinomati Cedri del Libano ( 1900 m. ). Intrapresi una traversata dei Cedri attraverso il « Col D' Ain Aata » ( 2600 m .) discendendo a Dier el Ahmar con gli sci ( 1300 m. ). In seguito dovetti togliermi e portarli in ispalla per l' interminabile piana del Buqa' a e cioè per ben 12 km. Finalmente trovai alloggio a Ba' albek - quest' ultima assai rinomata per le sue rovine romane.

Serbai un buon ricordo di questa gita e mi promisi di ritornarvi, cioè non appena capi-tasse la buona occasione però stralciando dal programma la bella camminata dei 12 km.

L' occasione si presentò subito dopo la guerra e cioè nell' aprile del 1953. Quale variante però, la gita fu intrapresa della parte inversa.

All' alba di una magnifica mattina primaverile con una temperatura mite ma assai fresca, assieme ai miei compagni Don e Jimmy, partimmo, anzi salimmo in direzione del villaggio di Ain Aata. Grazie alla strada recentemente costruita la salita si svolse in maniera assai comoda. Dopo aver saziata la fame con una buona e gustosa merenda ci sentivamo in vena ed in forza per iniziare la prima scalata di una scarpata rocciosa. Portavamo un solo sacco e, naturalmente, da buoni amici facevamo il turno di circa 20 minuti per ciascuno. Fui il primo a caricarmelo sulle spalle. Pesava una tonnellata! Intanto i miei compagni si ridevano dei miei sforzi. Venne poi la volta di Jimmy Dopo 18 minuti precisi non ne poteva più; si arrese vinto e sfinito Strana tante volte la sorte inquanto aveva favorito apertamente Don. I suoi turni infatti si svolgevano solo sulle parti più facili dell' ascesa. Ma qualcuno è sempre più fortunato degli altri a questo mondo... Presto ci trovammo a contatto con la neve e lentamente ma con azione sicura, seguendo uno sperone, ci alzavamo sempre di più. Al termine dello sperone ci trovammo davanti un canalone completamente ingombro di neve e che dal passo scende ripido e direttamente ad Ain Aata. La condizione della neve non ci sembrò sicura per niente e, per precauzione, trattandosi di una traversata di almeno 100 m ., ci incordammo. Raggiungemmo presto un nuovo sperone; la salita era rapidissima, ma ben presto ci trovammo in cima al passo. Mi trovavo in testa alla cordata, munito di carta e bussola e, quando alle 11 00 circa raggiungemmo la cima del passo nel modo più preciso, provai un' immensa soddisfazione.

La vista dal passo è grandiosa. Si vede Tripoli e la costa mediterranea. Nel mese di settembre, tempo permettendolo, è possibile vedere l' isola di Cipro.

Sul lato est si stende come un immenso tappeto verde la fertilissima piana del Buq' a. Tra il verde della pianura spiccano i tracciati delle vecchie strade romane che conducono a Ba' albek.

Verso l' ovest s' apre la valle del Kadisha, tagliata dall' alto in basso da pareti rocciose e molto ripide, il tutto completato da « selve oscure » che ci rammentano la Divina Commedia di Dante. In fondo alla valle, facendosi strada tra roccie, piante e terra, scorre, cantando la sua eterna canzone, il fiume che porta le sue acque verso il mare, mare che in lontananza tra il scintillio delle acque si perde a vista d' occhio.

La discesa verso i Cedri si iniziò con una « glissade » di 400 m. o più. Ne seguirono delle altre ma più modeste e finalmente ci trovammo seduti presso l' Hotel Mon Repos cal-mando la sete con interminibili tazze di thé. L' orologio segnava le 15 30 e tutti e tre eravamo Die Alpen - 19S5 - Les Alpes21 molto stanchi. La lunghissima gita e la discesa ripidissima avevano lasciato il segno nelle nostre ossa.

N. B. Si dice che la nuova strada carrozzabile che ora passa per il Col d' Ain Aata, sia la più alta del mondo ( 2500 m. ).

Nel maggio del 1953 Don ed io seguivamo con interesse e con una certa ansia i bollettini della spedizione sulF Everest. Il lettore si ricorderà certamente che verso la fine del mese circolavano varie voci e notizie poco chiare ed assai allarmanti. Per calmare l' agitazione che incominciava ad impossessarci, decidemmo di intraprendere una gita da Syr ed Danie ( 900 m .) al Qornet es Saouda ( 3083 m .) discendendo poi ai Cedri.

Mattina all' albergo. Tutto va male poiché i nostri ordini non sono stati eseguiti ed intanto il tempo passa e non possiamo partire che verso le 0500.

La prima salita per una scarpata rocciosa ci lascia soddisfatti e ci lascia sperare bene per più tardi.

L' alba, il tocco di una campana lontana di una chiesetta cristiana, l' aria pura della montagna ed il magnifico panorama che si estende ai nostri piedi, tutto fanno prevedere una magnifica gita. Dopo due ore di cammino ci troviamo in cima ad una scarpata. Ai nostri piedi si apre una conca verde che ci rammenta un' alpe europea; si chiama Ain es Sindian -„il pozzo delle quercie ". Traversiamo questa bella conca ed incontriamo un pastore di pecore il quale, dopo avergli spiegato la meta della nostra gita, si lascia sfuggire un fischio incredulo e ci fa presente che dovremo camminare a lungo.

Entriamo nel Wadi Damdoumi e salendo per circa 8 km. arriviamo all' altezza di 2500 m. La salita è lunga e faticosa, senza nessuna vista né a destra né a sinistra perché sempre racchiusi in fondo alla valle. Dopo due ore di cammino incontriamo un accampamento di beduini. Ci vengono incontro i cani, abbaiando terribilmente, e con i peli irti. Per fortuna ho a portata di mano la mia picozza e certamente il buon Bhend non ha mai pensato che sicurezza può rappresentare una picozza in simili situazioni. Risolto felicemente il caso dei cani e senza usare la forza ci prepariamo a rifiutare con la consueta frase cortese le offerte di bere un caffè fatteci dai beduini. Passiamo tra le tende dove gli occhi curiosi delle donne ci seguono mentre che gli uomini ci accompagnano per alcuni metri, protestando contro la nostra idea, contro la nostra impresa. Il Qornet è troppo lontano!

Tutte queste lamentele non ci demoralizzano affatto e continuando il nostro tragitto ci troviamo ben presto a camminare nella neve. Neve soffice che ci fa affondare fino alle caviglie. Più in alto la neve regge meglio. Sembra che dovremo andare incontro ad una parete di 100 m. ma avvicinandoci di più constatiamo che il Wadi volta ad angolo retto verso l' est e sale verso un piccolo passo. Qui ci troviamo nel nostro elemento con neve dappertutto e piccoli cornicioni. Tutto ci fa ricordare le montagne che amiamo. Arriviamo in cima al passo ed dopo un piccolo Wadi incontriamo un altipiano. È la prima volta, dopo aver iniziato il lungo ed interminabile Wadi, che si apre un panorama ai nostri occhi. A circa 500 m. s'innalza il Qornet ed Saounda. Dall' altipiano dove ci troviamo alla cima, la carta segna 300 m. Le proporzioni della montagna però sono tali che mi fanno dubitare assai dell' esattezza della carta che tengo nelle mani. Forse che sia la stanchezza? Forse che sono i due canaloni che si tagliano nelle roccie, roccie che si presentano fredde ed ornate di pochi arbusti brulli e secchi? Dal punto dove ci troviamo ci sembra di dover affrontare il Kilimandjaro e non una montagna di 300 m. come si segna esattamente la carta. Naturalmente è anche inutile cercare un rifugio, perché non esiste! Ci decidiamo per lo sperone sud-ovest. Incontriamo delle difficoltà tra le quali un facile salto tra una roccia e l' altra ( in questo posto troviamo una conchiglia fossilizzata ) e finalmente siamo sulla vetta, alle 12 30. Tira un vento infame e fa un freddo da cani. Scendiamo subito sull' altipiano per la spalla sud-est. Camminiamo per ben 4 km. per attraversarlo ed il dislivello è di soli 50 m. Arriviamo poi al varco da dove si scende poi nella Valle dei Cedri.

La discesa è una scivolata pazza sulla neve e dal momento che quest' ultima non regge più si tramuta poi in una lunga e snervante corsa. Arriviamo all' albergo verso le 1700 assai stanchi.Nel gennaio 1954, Jimmy ed io decidemmo di fare una traversata invernale del Jebel Kanisse. Ci portiamo a Shtaura sulla strada da Beirut a Damasco dove passiamo la notte.

All' albergo nessuno vuoi credere al nostro piano. Si dice che c' è troppa neve, che fa troppo freddo, che non c' è la strada, insomma un sacco di ragioni che mi fanno ridere e che confermano come la gente del giorno d' oggi sia diventata pigra e comoda.

Partiamo alle 06 00 da Jdita ( 1000 m .) e saliamo per una cresta rocciosa facile e mancante completamente di neve per circa 500 m. di dislivello. L' alba ci sorprende sudati ed affannati mentre che il sole appare dietro la catena dell' Antilibano ed a sud si presenta maestoso il Hermon tutto ricoperto di bianco.

Terminata la cresta rocciosa ci troviamo su una specie di altipiano ricoperto di neve soffice e dove si affonda fino alle ginocchia.

La salita si accentua e la fatica aumenta. Ci troviamo di fronte un nuovo baluardo da superare, una roccia di circa 20 metri liscia e perpendicolare. Per nostra fortuna troviamo un canale che ci permette la scalata senza troppe difficoltà. Dopo un breve riposo e mentre siamo intenti a goderci il panorama della valle del Shtaura, constatiamo che il tempo comincia a guastarsi. La parola è alla bussola e dopo esserci orientati con precisione ci rimettiamo in cammino. Infatti ecco arrivare la nebbia che ci avvolge e che ci separa dal resto del mondo. Continuiamo a camminare mantenendo la giusta direzione grazie alla bussola. La neve è ora migliore, regge bene e perciò il salire è più facile. Passata mezz' ora, come per un miracolo, la nebbia si scioglie e davanti a noi, vicinissima, vediamo la cresta dorsale del Jebel Kanisse che splende nel suo candore immacolato invernale. Dal dorsale scende a precipizio il fianco est. Guardandoci negli occhi ci sentiamo assai piccoli in confronto alle difficoltà che dovremo superare. Comunque siamo ottimisti.

Dopo uno studio preciso della situazione attacchiamo dalla parte nord la salita servendoci di un canalone, tentando così di arrivare in cima al dorsale. Per maggior sicurezza ci incordiamo e grazie alla fida piccozza cominciamo a salire trovandoci senza troppe difficoltà in cima al dorsale.

Ai nostri piedi vediamo « Hamana » e verso l' ovest si vede chiaramente il mare, la spiaggia e la città di Beirut. Possiamo anche riconoscere i principali palazzi ed il porto con il bastimento naufragato « Campollion ». La valle, i villaggi, tutto sembra molto vicino. Siamo pure fortunati perché non c' è un filo di vento. La neve è dura e ghiacciata e per continuare la salita devo tagliare dei gradini. Il dorsale varia dai 4 ad 8 metri di larghezza ed è una grande bella gita « esposta », comunque non difficile, domanda però una costante attenzione a causa dei due precipizi ad est ed a ovest. Il Kanisse ha due cime ben distinte ( 2091 m. e 2075 m .) che ora, tutte rivestite di bianco, assomigliano quasi a due immense onde nel momento che stanno per infrangersi. Consultato l' orologio vediamo che sono le 1130.

La discesa è interessante dove uno strapiombo presenta una falla che ci porta sopra uno dei pochi piccoli ghiacciai che si trovano nascosti sotto le creste della Libia. Ricomincia il lavoro di tagliare gradini ed effettivamente questi 50 metri di discesa ripidissima non ce li aspettavamo. Superato questo ostacolo la cresta continua. Dobbiamo superare ancora diversi ostacoli rocciosi e finalmente ci troviamo sulla strada maestra che porta da Shatura a Beirut. Eravamo di ritorno per le 1400 del pomeriggio.

Concludendo aggiungo ancora che ho parlato quasi solo di gite sulla neve.Vi sono pure delle escursioni in roccia, ma effettivamente di dimensioni assai ridotte. Si tratta perciò di piste di allenamento più che di scalate nel senso esatto della parola.

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