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Grande Luisenza tempo Passando per l’A Neuve

Un’ascensione alla Grande Lui farebbe quasi dimenticare il tempo che passa. A condizione di fermarsi all’A Neuve: agli scricchiolii dei seracchi effimeri rispon­dono quelli dell’inalterabile pavimento in legno di questo rifugio fuori dal tempo.

Certe cime evocano ricordi legati all’avvicinamento, a passaggi difficili o alla loro vista. Ai miei occhi, la scalata della Grande Lui ricorda la Cabane de l’A Neuve, le cui pietre, tagliate direttamente nel granito, fanno tornare alla mente molte storie di alpinismo. Non c’è bisogno di fare nomi, eccezion fatta per quelli dei custodi, che l’hanno amata e che la fanno vivere oggi.

Personaggi altrettanto tipici della loro capanna

Agli esordi della mia carriera di guida, Robert Formaz ci seguiva con il binocolo e, al ritorno, non mancava di informarci se ci eravamo allontanati dall’itinerario. Quando le condizioni si facevano delicate, la berretta rossa calcata sul cranio, Robert ci scoraggiava con un «Non ci si deve andaaare! Troppo pericoloooso!» assolutamente dissuasivo e accompagnato da un’alzata di spalle a sottolineare l’evidenza.

La costruzione in pietra ci appariva più che mai normale, ma il suo custode sollevava curiosità e gioia nei nostri cuori. Robert si trasportava da sé le provviste su una robusta cadola in legno. A volte si trattava di un barilotto di vino rosso della sua vigna. Conduceva la vita rude di un montanaro conscio del valore del suo lavoro. Non aveva prolungato di un anno il suo lavoro lassù, non avendo trovato un compromesso con la sezione Diablerets in relazione alla ripresa del suo inventario di bibite. Dopo di lui, ogni mattino, Tatiana Billinger invocava il sole sul muretto della capanna. Da 15 anni, l’A Neuve è passata sotto il governo di Martine Gabioud, che le è rimasta fedele nonostante il decesso del marito, Guy-Michel, nel 2009.

Una capannara attaccata alle tradizioni

«È un po’ la mia seconda casa», afferma Martine, con un luccichio negli occhi. «Si sente che tra queste mura hanno dormito dei grandi alpinisti. È una capanna con un’anima, anche se certa gente non ci vuole dormire perché vogliono il comfort. Meno complicati, gli alpinisti si riducono a beneficio degli escursionisti, che sono più esigenti.» Ciò nonostante, tutti quanti apprezzano le eccellenti torte che Martine sa preparare così bene. Niente spazio né lusso, per lei. L’A ­Neuve è la testimonianza di tempi rustici nei quali la custode condivideva il suo spazio vitale con i suoi ospiti durante l’intera giornata. E quasi anche di notte, poiché la sua camera si trova sotto la scala di legno, ripida e rumorosa. «Dormi con un orecchio aperto, ma a volte non è male. Sento gli alpinisti scendere alle tre e sono contenta di servirli, perché amo questa atmosfera.»

Un luogo fuori dal tempo

Robert riposa pacificamente ai piedi delle sue montagne, nelle quali gli scricchiolii glaciali risuonano sempre più spesso. Martine li sente dalla cucina, munita di una solida stufa a legna. Accanto, un lavello di zinco e un piccolo spazio di lavoro dove si serrano i gomiti per sciacquare e riporre gli spessi piatti di porcellana bianca negli armadi dove tutto ha un suo posto. Altrimenti è il caos. «Le guide danno un colpo di mano, ci sono dei begli scambi. Per fortuna, è per questo che rimango!» Un refettorio caloroso, un pavimento di larice levigato da generazioni di zoccoli di legno e cuoio. Sul soppalco, un unico dormitorio dalle cuccette che scricchiolano al minimo movimento. All’alba, quando le affilate Aiguilles Rouges du Dolent tingono di rosso le proprie rocce, si percepisce il privilegio di immergersi in un luogo fuori dal tempo.

Anticamera dei grandi pilastri di granito

Il riscaldamento si fa sentire anche qui. Sotto le pendici sommitali della Grande Lui, il ghiaccio ha fatto posto a del pietrisco grigio che si affronta con piede leggero e preciso, a rischio di arretrare a ogni passo. Tranne quando, a inizio stagione, i nevai ricoprono ancora questi versanti pietrosi e i pochi crepacci che il ghiacciaio ancora dissimula. Il ritorno si compie allora con lunghi e piacevoli passi scivolati. Dalla vetta della Grande Lui si avverte la maestà del vicino massiccio del Monte Bianco, che si riserva gli alti pilastri di granito e le creste affilate. Qui, lo scenario è ancora gentile, in qualche modo tondeggiante, ma il volto severo dell’Aiguille d’Argentière e il suo canalone Barbey lasciano indovinare scalate più tecniche e difficili. Alle quali ci si prepara appunto scalando la Grande Lui.

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