Il «Cervino addomesticato» | Club Alpino Svizzero CAS
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Il «Cervino addomesticato» Una piramide sopra la capitale del Canton ­Ticino

Non usò mezzi termini Karl Baedeker, quando nel 1854 citò il Pizzo di Claro nel suo libro intitolato «La Svizzera». Il noto autore tedesco di libri di viaggio descrisse questa montagna come «una delle più belle della Svizzera».

Ogni bellinzonese quando si alza al mattino ha l’orizzonte occupato da due profili: le mura dei castelli e la piramide del Pizzo di Claro. Una cima che attira lo sguardo, come già accadde all’editore tedesco Karl Baedeker oltre 160 anni fa. Il mineralogista ticinese Carlo Taddei la definì «una piramide che arieggia da lontano un Cervino molto addomesticato».

Salire in vetta partendo dal fondovalle è una faticosa escursione di ben 1800 metri di dislivello da Selma, o 2500 metri da Lumino. Per chi cerca un itinerario meno impegnativo vi è la possibilità di raccorciare la salita con l’aiuto di due teleferiche: la prima da Lumino e la seconda in Valle Calanca. E allora come rinunciare all’idea di collegare queste due teleferiche con una traversata che passi dal Pizzo di Claro? Da Selma, in Valle Calanca, parte la telecabina che permette di accedere in poco più di cinque minuti al terrazzo su cui poggia il villaggio di Landarenca. Oggi la popolazione residente è ormai ridotta a una decina di persone. Se il viaggiatore Bae­deker avesse avuto il tempo di salirvi a metà Ottocento, vi avrebbe invece trovato un paesino animato da un centinaio di abitanti.

Scesi dalla piccola cabina val la pena visitare la chiesetta dedicata ai Santi Bernardo e Nicolao, avvolta dalle case del villaggio quasi a proteggerla. Salendo verso l’Alp di Rossiglion, la Calanca è dominata sul lato opposto dal terrazzo di Braggio, raggiungibile anch’esso grazie a una teleferica.

Un’ora e mezza: da Zurigo a Bellinzona o da Claro al Pizzo

Il sentiero guadagna quota fino a far scoprire il piano di Magadino e, più lontano, la Pianura Padana. Sotto la piramide sommitale del Pizzo, la traccia marcata in bianco e rosso diventa più ripida e la vista si apre sul nodo ferroviario e autostradale di Bellinzona. Un groviglio urbanizzato che permette a fatica di immaginare ciò di cui parlava Baedeker nella sua guida di 160 anni fa. A quell’epoca l’autore, de­scrivendo l’itinerario per varcare le Alpi e raggiungere Milano, consigliava di partire da Lucerna alle cinque di mattina con il battello a vapore per raggiungere Flüelen dove con una «diligenza espresso» si valicava il Passo del San Gottardo, per arrivare a Bellinzona alle dieci e mezza di sera. Con l’apertura di Alptransit, la città diventa ora la porta d’entrata al cantone per chi arriva da nord con l’alta velocità. Dalle diciassette ore di metà Ottocento si passa ad appena un’ora e mezza con Alptransit.

Un’ora e trentanove minuti è peraltro il primato cronometrico fatto registrare nella corsa podistica Claro-Pizzo per ben 10 chilometri e 2500 metri di dislivello. L’arrivo sul Pizzo di Claro, per chi corre ma anche per chi cammina, è per tutti lo stesso: le due croci metalliche che segnano la cima sud a 2720 metri di quota. Se però si sale da Landarenca si tocca prima la cima nord, sette metri più alta di quella ufficiale, nota anche con il nome di Visagno.

Due sono le possibilità per la discesa: la più tranquilla è quella del rientro verso Landarenca, la seconda è la traversata integrale fino ai Monti di Saurù. Chi sceglie questo itinerario deve rivolgere lo sguardo a valle sul ripido pendio che si spegne cinquecento metri più in basso nel Lago di Canee.

Lago di Canee: scampato alla cementificazione della seconda metà del Novecento

In questo tratto di delicata discesa, l’occhio è attratto dal colore verde smeraldo del laghetto. Una tonalità generata dalla profondità dello specchio d’acqua misurata in 23 metri nel 1985 e che in passato aveva originato varie leggende. Si riteneva per esempio che il suo abisso fosse reso pericoloso da un mulinello che ingoiava persino le mucche. Una di queste sarebbe stata ritrovata addirittura a Milano. Un’altra leggenda, citata dal Centro di dialettologia e di etnografia, narra di un castellano che, per un terribile equivoco, uccise la madre della giovane sposa. Chiuso in un sacco, fu gettato nel lago dalla cui superficie nei giorni di tempesta si alzano ancora le mani minacciose dell’assassino.

Nel corso del Novecento il lago attirò l’attenzione anche di chi era alla ricerca di accumuli idrici per uno sfruttamento energetico. Nel 1934 in un rapporto commissionato dalla Motor Columbus si legge che il laghetto di Canee «si presenta molto male ad essere invasato; la possibilità di accumulazione in questa zona viene quindi scartata». Grazie a queste righe il laghetto conserva ancora oggi il suo fascino di luogo nascosto.

Nell’avvallamento in cui giace il laghetto regna l’assenza di rumori e una quiete assoluta. La stessa che l’editore Karl Baedeker evocava nel libro dedicato alla Svizzera aprendo il volume con la citazione di alcuni versi scritti del 1650 da Philander von Sittenwald:

Chi vuol viaggiare

sta in fine silenzio,

cammina con passo costante,

si porta poco o nulla,

si alza al mattino presto

e lascia a casa le preoccupazioni.

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