La grande processione | Club Alpino Svizzero CAS
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La grande processione Escursioni sull’itinerario della più lunga processione delle Alpi

Una volta all’anno, gli abitanti della piccola località di ­Montescheno salgono sulla montagna per implorare la misericordia di Dio. ­Tutti gli altri giorni, il percorso della più ­lunga processione delle Alpi è aperto anche agli escursio­nisti. Ma non sono molti a ­percorrerlo in un solo giorno.

Montescheno, una domenica di luglio, alle quattro del mattino. Gli abitanti del piccolo villaggio all’ingresso della Valle Antrona si stanno preparando. In testa al corteo una donna, che porta la bandaròla, lo stendardo della Vergine. La seguono gli uomini, a rappresentare ogni famiglia del villaggio. 15 chilometri e 1600 metri di dislivello per sette cime di montagne: è l’itinerario della marcia di dieci ore durante la ­quale il Miserere è intonato in latino assieme alle litanie, che d’altronde danno il nome alla processione: Autani di Set Frei, le «litanie dei sette fratelli».

In origine era probabilmente dedicata ai sette figli di santa Felicita, martirizzata a causa della sua fede religiosa sotto l’imperatore filosofo romano Marco Aurelio. Tuttavia, in valle si ­racconta anche che a dare avvio alla processione secoli or sono ­fossero stati sette fratelli del villaggio stesso. Forse, come spesso accade con le credenze popolari, in entrambe le storie c’è qualcosa di vero – ma nessuno lo sa più ormai da tempo.

La processione dura l’intera giornata, passando per alpeggi, pendii scoscesi e strette creste, e i fedeli esausti non fanno ritorno al villaggio che verso le dieci di sera. Alla chiesa parrocchiale, dove la grande giornata si conclude con la santa messa e un possente coro. Non tutti possono partecipare. Bisogna essere del luogo, poiché la processione non va assolutamente vista come un evento turistico, e poi, in ogni caso, bisogna essere avvezzi alla montagna e in ottima forma fisica. Questo già dal 1792, quando il vescovo di Novara stabilì per iscritto che alla processione «concorre il nervo della brillante gioventù dell’uno e dell’altro sesso, munita di buona provvisione». Sì, poiché le frequenti salite e discese – continua il pastore spirituale – potrebbero «considerarsi pericolose nonostante tutte le precauzioni».

Bambini sull’ alpe

Ciò che intende con queste parole appare chiaro quando ordina che nelle salite le donne stiano dietro gli uomini e nelle discese li precedano. Non erano le cadute negli erti declivi che il vescovo temeva, bensì che inerpicandosi in essi i giovanotti potessero gettare un occhio sotto le gonne delle loro compaesane.

Da allora, le consuetudini sono cambiate. La processione, no. Oggi ancora, all’Alpe Vaccareccia si beve il grappino, che dà ai fedeli la forza necessaria per raggiungere il Colle del Pianino. Ai tempi in cui l’economia alpestre era ancora in auge, quassù, i bambini che trascorrevano l’estate con le bestie aspettavano la processione per ricevere piccoli regali.

Intenso e malinconico

È una processione intima, profondamente connessa alla storia della valle, cui gli estranei non dovrebbero prendere ­parte: disturberebbero. Tutti gli altri giorni dell’anno, però, è possibile vivere il medesimo itinerario come escursionisti. E se non si appartiene a quella «brillante gioventù» citata dal vescovo, per percorrerlo è meglio prendersi un paio di giorni. Un punto culminante è la Cima Camughera, che la processione aggira a nord, ma che può essere salita direttamente per la sua cresta orientale. Nel frattempo, qui è tornata a regnare la natura selvaggia, e solo qualche stambecco ­popola il ripido versante settentrionale. Un tempo, vi pascolavano le pecore.

Sulla via per l’Alpe Campo è possibile farsi un’idea delle fatiche che i giovani di altri secoli, con calzature semplici e lunghe gonne, si sobbarcavano durante la processione. Oggi, il tratto scosceso è assicurato con una catena, ma ciò nonostante anche gli escursionisti bene attrezzati prediligono spesso un sentiero escursionistico che evita il pendio esposto. Lo stesso vale per la lunghezza del percorso: chi non intendesse esaurirsi del tutto pernotterà all’Alpe Ogaggia, dove una baita è stata adibita a bivacco di montagna. Da qui, ­nella luce della sera si può ammirare l’impervio Pizzo Ciapè – e ascoltarsi in cuffia il Miserere che, intenso e malinconico, risuona tra le montagne abbandonate.

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