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Muflone, dove sei? Un giro nelle terre di uno chablaisiano immigrato

Sono erbosi, di terra calcarea, i pendii sotto le creste di Savalenne, sopra Torgon. Un terreno ideale per giocare a nascondino con il muflone, immigrato dalla Francia negli anni 1970.

I faggi ambrati si alternano al fuoco dei sorbi selvatici punteggiati d’autunno. In questo inizio di ottobre, con l’eccezione di qualche abete che conserva la sua livrea verde, tutta la foresta si accende di carminio e oro. Inizialmente dolce, il pendio si fa viepiù scosceso, mescolando pietrisco e giovani ontani sotto la spalla nuda dei Rochers de Savalenne.

Dai boschi della Corsica

È qui, nelle alture sopra Torgon, che vivono le uniche colonie di mufloni della Svizzera, giunte dalla Francia negli anni Settanta del secolo scorso. L’ambiente è perfetto, il terreno da gioco ideale. «Diversamente dallo stambecco, è un animale più da bosco che da montagna. Lo Chablais, con le sue estese faggete e il suo clima oceanico, più umido del resto del Vallese, gli si addice perfettamente», conferma Etienne ­Delavy, accompagnatore di montagna.

Poiché nonostante il piede sicuro con cui d’estate trotterella sulle creste, il montone selvatico ama soprattutto le quote medie, dove crescono le piante erbacee morbide da masticare, e diventa davvero goffo nella neve alta. Originario dell’Asia minore e introdotto nel bacino mediterraneo durante il Neolitico, il muflone si è adattato particolarmente bene soprattutto in Corsica e Sardegna. Ed è proprio da quelle popolazioni insulari che discende il muflone europeo che oggi conosciamo. La sua introduzione in Savoia iniziò nel XIX secolo, per poi proseguire fino agli anni 1950.

Temperamento stanziale

È un animale un po’ tarchiato, dalle zampe corte e dal temperamento decisamente poco colonizzatore o espansivo. Tanto che i circa 300 capi che vivono nel Basso Vallese, tra La Braye e la Pointe de Ripaille, sopra Les Crosets, non hanno mai tentato di espandere il loro territorio. Piuttosto stanziale, persino un po’ pigro, il muflone. Ci si immagina allora che vederlo sia facile. Dove il vallone di Mordavo diventa un imbuto vellutato, con i suoi arbusti solitari, la baita dell’alpeggio e la Corne de ­Conche che sembra toccare il cielo, si pensa di avere delle possibilità di incontrarlo. Che bisogna solo tirar fuori il binocolo e aprire gli occhi. «In questa stagione, il muflone adora starsene al sole, proprio di fronte, nei pascoli in pendenza dei Dravers. Il resto dell’anno lo trascorre piuttosto attorno allo Haut Sex», precisa Etienne Delavy, che lo ha già avvistato cinque o sei volte nella regione. Inizialmente per caso, poi per decisione sua.

Ma, no: quel giorno, i pendii sono deserti. La foschia sale improvvisa, avvolge tutto quanto. Le cime, i versanti rocciosi, l’ultimo raggio di sole. Rimangono solo le torce rossicce dei sorbi selvatici che fiammeggiano dolcemente.

Un biotopo tra doline e ciuffi d’erba

Meglio saperlo: il muflone è piuttosto diffidente e scorbutico, per non dire di una vigilanza estrema. Lo allarma ogni cosa, lo schioccare di un ramoscello, un odore inconsueto, una presenza. Si lascerà osservare da lontano, non taglierà nervosamente la corda come il camoscio, ma non si lascerà neppure avvicinare come lo stambecco ieratico.

Attaccando la salita verso il Col d’Outanne ci sorprendiamo comunque a lanciare occhiate sempre più insistenti. È un terreno carsico, dove l’acqua si infiltra rapidamente. Un’alternanza di doline e fessure, detriti, gli ultimi ciuffi d’erba prima della cresta: un luogo ideale per il piccolo corso che apprezza i terreni ben drenati, mentre nelle parti rocciose lascia spazio allo stambecco. «Siamo all’ingresso di uno dei suoi valloni. È proprio in questo luogo che si hanno le migliori opportunità di osservarlo.» Tra il pietrame cerchiamo un pelame color cioccolato, un bel paio di corna a spirale o un soffio improvviso, il caratteristico rumore che l’animale emette quando avverte i suoi congeneri.

Un incontro sperato

Nessuno. Solo un escursionista che scende alla cima del ­Linleu e il vento che spazza il passo, la luce fredda e radente, il grido stridulo dei gracchi. Lo sguardo spazia a 360 gradi: in lontananza il Mont de Grange, dall’aspetto di un uro ramato, la Tour Sallière e il Grand Ruant. Dietro, il profilo delle cime azzurre Hodler: Tours d’Aï, Diablerets e Grand Muveran levitano sopra il mare di nebbia.

Il tempo di seguire la cresta verso il Col de Conche, e bisogna iniziare la discesa. Attraverso il bosco, sotto gli alberi resinosi, lanciando occhiate tra i rami in direzione del versante in ombra dello Haut Sex e delle sue rovine pietrose, dove il muflone si rifugia nelle calde giornate estive. Nei pascoli che circondano la cappella di Recon e le sue leggende diaboliche ci ritroviamo a sperare ancora di incontrarlo: escrementi sul sentiero, un improvviso odore di ovino che fluttua nell’aria… Ma no, sono tre capretti che brucano dietro il ristorante La Bourri.

Non rimane che consolarsi con i fuochi dell’autunno, i colori che saltano al viso, gli ultimi effluvi di menta selvatica e di achillea millefoglie. Bisognerà tornare. Forse più presto nella stagione. Cercavamo il muflone sulle alture, mentre sarà senz’altro ben rintanato al caldo nelle foreste attorno a Torgon o persino più in basso, già sistemato nei suoi alloggi invernali.

Il muflone del Basso Vallese

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