Neve, ghiacciai e permafrost 2015/16 | Club Alpino Svizzero CAS
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Neve, ghiacciai e permafrost 2015/16 Variazioni della lunghezza dei ghiacciai delle Alpi svizzere nel 2015/16

Nonostante che in altitudine il manto nevoso si sia mantenuto a lungo, la calda tarda estate ha inciso sui ghiacciai. La perdita di ghiaccio equivale al consumo annuale di acqua potabile in Svizzera.

Condizioni meteorologiche e neve

All’inizio dell’inverno 2015/16, alla fine di ottobre c’era sui versanti settentrionali solo un sottile manto nevoso. Nella quarta settimana di novembre due ondate di freddo hanno portato, almeno a nord e a ovest, le prime avvisaglie dell’inverno. A sud e a est è rimasto asciutto. Di conseguenza, all’inizio di dicembre a ovest l’altezza della neve era nella media, mentre a sud e nei Grigioni i pendii a metà montagna erano privi di neve, e c’era poca neve anche più in alto. Dopo un dicembre praticamente senza precipitazioni e con caldo record, con temperature in montagna dai 4 ai 6 gradi sopra la media (fig. 1), le Alpi sudorientali sono rimaste prive di neve anche in alta quota. Questa carenza di neve a inizio inverno era ancora più marcata di quella dell’inverno precedente (2014/15). Quindi nell’inverno 2015/16 la speranza di un bianco Natale è andata delusa anche in molte regioni di montagna. Alcune località nelle montagne grigioni, come Bivio, Davos o Sankt Antönien, si presentavano per la prima volta dall’inizio dei rilevamenti addirittura con un manto verde. Ciò era conseguenza non solo delle alte temperature di dicembre, bensì anche dell’assenza di precipitazioni (fig. 2). La neve è arrivata in montagna solo all’inizio di gennaio. In evidente vantaggio, per quanto riguarda la quantità di neve, la Svizzera occidentale. Lì c’era già abbastanza neve in novembre, dimodoché la carenza di precipitazioni di dicembre ha inciso in misura minore. Per colmare il deficit di neve, all’ovest sono state sufficienti le importanti nevicate del mese di gennaio, nella Svizzera centrale e orientale si è dovuto attendere fino a marzo, dopo ripetute piogge fino in alta quota. Questa differenza tra ovest ed est si è protratta per l’intero inverno (fig. 2). A sud è caduta neve in considerevole quantità solo a partire da febbraio. Sul versante sudalpino si è registrata una nevicata record all’inizio di marzo, che andava dai 20 centimetri sul Piano di Magadino ai 60 centimetri a San Bernardino. Ciò nonostante, il Ticino è rimasto per tutto l’inverno con un deficit di neve incolmato. L’altopiano ha avuto solo in gennaio un breve periodo caratterizzato da temperature dell’aria sotto lo zero e persistenza della neve a terra per più giorni. Secondo MeteoSvizzera, questo è stato il secondo più caldo arco temporale novembre-aprile (dopo quello del 2006/07) dall’inizio delle misurazioni nell’anno 1864.

Molta neve in alta quota fino in estate

La fine dell’inverno è stata mutevole. Dopo condizioni primaverili nei primi giorni di aprile, a metà mese si è riaffacciato l’inverno, portando neve e basse temperature. Anche in maggio si sono verificate altre nevicate nel nord e nell’est del paese. Di conseguenza, sopra i 2500 metri lo spessore del manto nevoso è rimasto stabile: una situazione piuttosto inusuale per questo mese. Più in basso la coltre nevosa è invece chia­ramente diminuita di spessore. In alta quota il manto nevoso invernale è definitivamente sparito intorno ai primi di luglio. Il sito di misurazione sul Weissfluhjoch, a 2540 metri di altitudine, era privo di neve l’8 luglio – il che corrisponde all’incirca alla data media di fusione totale delle nevi degli ultimi 83 anni. Nel corso dell’estate, le regio­ni a media e alta quota sono state coperte da una sottile col­tre nevosa solo in alcuni giorni isolati. Tuttavia, grazie a ripetute nevicate, nelle regioni d’alta quota ricoperte dai ghiacci, sopra i 3200-3600 metri il manto nevoso è rimasto perlopiù intatto.

Ghiacciai

Nel periodo d’osservazione tra autunno 2015 e 2016 sono state effettuate su 20 ghiacciai svizzeri misurazioni del bilancio di massa, ed è stata registrata la variazione di lunghezza di 94 lingue glaciali. Per stabilire il bilancio di massa si misurano le quantità di neve in aprile o maggio e la fusione estiva in diversi punti del ghiacciaio. La variazione di lunghezza del ghiacciaio corrisponde invece alla differenza tra la posizione attuale del fronte glaciale rispetto a quella dell’anno precedente. Grazie alle mutevoli condizioni climatiche con ripetute nevicate all’inizio dell’estate, fino ai primi di luglio e alla prima ondata di caldo i ghiacciai sono stati sufficientemente protetti dal manto nevoso invernale. Durante il periodo di ininterrotto tempo estivo, da agosto a metà settembre, si è verificata un’intensa liquefazione del ghiaccio, e molti ghiacciai hanno dunque subito un’ importante fusione. Ancora una volta, era molto poca la neve invernale rimasta.

Grandi perdite a sud, più contenute all’ovest

Nel corso dell’ultimo periodo di misurazioni, la differenza tra aumento dovuto alla neve e diminuzione causata dalla fusione è risultata negativa per tutti i ghiacciai analizzati dalla rete svizzera di misurazione dei ghiacciai GLAMOS. Le perdite minori sono state registrate sui ghiacciai delle Alpi bernesi occidentali e vodesi, come il ghiacciaio di Tsanfleuron e il ghiacciaio della Plaine Morte: la diminuzione di spessore media dello strato di ghiaccio è stata di soli 30 centimetri circa. Hanno sofferto di più i ghiacciai nel meridione: per esempio il ghiacciaio del Gries nei pressi del passo della Novena ha perso mediamente quasi 1,5 metri di spessore. Le altre misurazioni effettuate sui ghiacciai della Svizzera centrale e nordorientale hanno evidenziato una riduzione dello strato di ghiaccio oscillante tra il mezzo metro e il metro abbondante (fig. 3). Queste differenze hanno origine nella distribuzione non uniforme delle nevicate invernali in alta quota. Un confronto con l’anno precedente mostra però un rovesciamento geografico: nel penultimo periodo di misurazioni le perdite maggiori si erano verificate all’ovest, mentre i ghiacciai situati a sud avevano fatto registrare perdite più ridotte. La perdita globale di tutti i ghiacciai svizzeri si è attestata a 900 milioni di metri cubi di ghiaccio, cioè circa l’1,5 percento del volume di ghiaccio attualmente presente in Svizzera. Questa quantità d’acqua corrisponde suppergiù al consumo annuale di acqua potabile in Svizzera. Per quanto nel periodo di misurazione 2015/16 la fusione del ghiaccio – se confrontata con gli ultimi dieci anni – sia risultata sostanzialmente nella media, riguardo all’evoluzione a lungo termine a partire dall’inizio delle misurazioni più di 50 anni fa, l’estate 2016 ha però costituito un altro duro colpo per i ghiacciai svizzeri. Perdite ancora maggiori i ghiacciai le avevano subite negli anni 2003, 2006, 2011 e 2015.

Alcune lingue glaciali si stanno fondendo

Diversamente dal bilancio di massa, le misurazioni delle variazioni di lunghezza rispecchiano la reazione del ghiacciaio al cambiamento a lungo termine delle condizioni climatiche. Questo cambiamento si manifesta dunque nella parte terminale del ghiacciaio, con minore o maggiore latenza a dipendenza delle dimensioni del ghiacciaio stesso. Nel periodo di misurazioni 2015/16, 82 ghiacciai si sono accorciati, 5 si sono allungati, mentre 7 non hanno registrato alcun mutamento nella posizione delle rispettive lingue (fig. 4). A parte tre eccezioni, i valori (vedi tabella) vanno da un ritiro di 79 metri al ghiacciaio di Ferpècle/VS fino a un avanzamento della lingua glaciale di 28 metri al Vadrec del Forno/GR. Le eccezioni riguardano il ghiacciaio della Länta/GR, l’Unterer Grindelwaldgletscher/BE e il Vadret da Morteratsch/GR. Questi tre ritiri particolarmente pronunciati sono il risultato di un’evoluzione in corso già da molti anni. Il ghiacciaio della Länta si è assottigliato sempre più a causa del mancato apporto di ghiaccio dalla zona del nevaio. Nella zona ripida sovrastante l’attuale parte terminale della lingua, nel corso degli ultimi anni il ghiacciaio si era ridotto a uno stretto nastro di ghiaccio a causa della fusione. Sul finire dell’estate 2015 si è poi definitivamente interrotto questo collegamento, e la lingua glaciale attiva del ghiacciaio ha così subito un brusco e assai pronunciato arretramento.

Un’evoluzione analoga hanno subito le lingue pianeggianti dell’Unterer Grindelwald­gletscher e del Vadret da Morteratsch. Il mancato apporto di ghiaccio e la copertura di detriti della lingua glaciale hanno causato una fusione disomogenea; la massa di ghiaccio fonde e si divide in diversi rami, non più collegati tra loro. Di conseguenza, nel corso degli ultimi anni in entrambi questi ghiacciai si sono ripetutamente staccate grosse parti. Il preciso momento in cui avvengono grandi cambiamenti nella posizione della lingua è abbastanza casuale. I pochi valori positivi non sono il risultato di un avanzamento dei ghiacciai dovuto a un crescente apporto di ghiaccio dalla zona del nevaio, ma vanno ascritti a condizioni e particolarità locali della lingua del ghiacciaio in quello specifico anno, come per esempio l’accumulo di neve vecchia o un aumento della copertura di detriti.

Permafrost

Dopo la calda estate 2015, nella maggior parte dei siti le temperature della superfice del terreno erano più alte che nei dieci anni precedenti, ma alla fine del 2016 erano sensibilmente ridiscese. Il tardivo arrivo della neve in apertura d’inverno è stato per il permafrost – a differenza degli sport invernali – una cosa positiva. Privo di coltre nevosa isolante, il terreno può rilasciare calore nell’aria, e quindi raffreddarsi in superficie. Anche la fusione ritardata, conseguenza di una prima parte dell’estate umida e fresca, in particolare nell’ovest delle Alpi svizzere, è stato un vantaggio per il permafrost, poiché sotto il manto nevoso il terreno è rimasto al riparo dalle alte temperature dell’aria. Complessivamente, la temperatura media annuale alla superficie del terreno è stata in linea con la media degli ultimi 15 anni, e di circa 1 grado inferiore a quella del 2015. Come per la distribuzione delle nevicate, anche nel caso delle temperature si sono registrate chiare differenze regionali: nelle regioni più secche dell’Engadina e sul versante meridionale delle Alpi il raffreddamento invernale è stato particolarmente efficace, e le temperature della superficie del terreno sono rimaste sotto alla media. Nel Vallese sudoccidentale, interessato da nevicate relativamente precoci e di media intensità, le temperature della superficie del terreno erano invece ancora eccessivamente alte. Le ripide pareti rocciose prive di copertura nevosa sono state decisamente troppo calde, giacché esse seguono assai direttamente l’evoluzione della temperatura dell’aria.

Nuove temperature record nel sottosuolo

Come già avvenuto negli ultimi anni, in 16 siti nelle Alpi svizzere sono state registrate, in perforazioni a 10-20 metri di profondità, temperature in crescita. In questo ambito sono stati raggiunti nuovi valori record rispetto alle serie di misure comprese tra 10 e 25 anni (fig. 5). A queste profondità la temperatura reagisce con un certo ritardo, e le fluttuazioni registrate in superficie si ritrovano qui fortemente filtrate. Di conseguenza, cambiamenti della temperatura del permafrost non sono il risultato di un singolo anno di eventi e misurazioni, bensì sono condizionati anche dall’evoluzione degli anni e dei decenni precedenti – analogamente a quanto succede con le variazioni di lunghezza dei ghiacciai (nel caso della neve questo «effetto memoria» viene quasi completamente a mancare). Particolarmente pronunciato è il riscaldamento nel cosiddetto «permafrost freddo». Per esempio, la temperatura a 20 metri di profondità sulla vetta dello Stockhorn (3400 m) nei pressi di Zermatt/VS è salita dai –2,6 °C dell’ottobre 2011 ai –2,0 °C dell’ottobre 2016. Nello stesso lasso di tempo il sottosuolo della parete nord della Pointe des Lapires (2500 m, Nendaz/VS) si è scaldato solo –0,15 a –0,08 °C. La ragione sta nel fatto che il permafrost comprende anche una parte d’acqua liquida, che cresce con l’aumentare della temperatura e il suo avvicinarsi a 0 °C. Quando le temperature del permafrost si avvicinano al punto di fusione (il cosiddetto «permafrost temperato»), un quantitativo sempre maggiore di energia viene impiegato nel passaggio da ghiaccio ad acqua – energia che non è più a disposizione per far salire la temperatura.

I ghiacciai rocciosi si muovono più velocemente

Anche le tuttora altissime velocità di scivolamento dei ghiacciai rocciosi rispecchiano, per il periodo di misura­zioni 2015/16, il calore molto alto del sottosuolo. I ghiacciai rocciosi sono ammassi di detriti che scivolano a valle, e sono composti da detriti di pietra e ghiaccio. Essi si spostano tanto più velocemente, quanto più alta è la temperatura del ghiaccio. Nel 2016 le velocità, paragonate ai valori record registrati nel 2015, sono diminuite di circa il 10-20 percento. Cio nonostante la maggior parte dei ghiacciai rocciosi continuano a essere molto, molto più veloci di quanto lo fossero vent’anni fa, facendo ora registrare spostamenti di parecchi metri all’anno.

Meno cadute di massi rispetto alla torrida estate 2015

Nell’estate 2016 sono stati registrati molto meno cadute di massi rispetto alle torride estati del 2003 e del 2015. Tra l’8 settembre e l’inizio di ottobre hanno avuto luogo alcune piccole e medie cadute di massi da strati superficiali, come per esempio alla Fenêtre de Saleinaz (VS). La causa va ricercata, oltre che in un autunno straordinariamente caldo, anche nella stagione stessa: in settembre e in ottobre lo strato superiore attivo del permafrost, che gela e disgela stagionalmente e che nelle Alpi misura di regola solo pochi metri, è al la sua profondità massima, ed è dunque ridotta la sua capacità di «cementare» i massi rocciosi con del ghiaccio. I valori record misurati e la tendenza al riscaldamento del permafrost nelle Alpi svizzere sono il risultato di condizioni della superficie del terreno caratterizzate negli ultimi anni e decenni da temperature in costante crescita.

L’aumento della temperatura registrato dall’inizio dei rilevamenti PERMOS nell’anno 2000 è decisamente maggiore nel sottosuolo che in superficie. Ciò significa che il permafrost, se messo in relazione alle odierne condizioni climatiche, è ancora troppo freddo.

La rete di rilevamenti sulla criosfera in Svizzera

Il monitoraggio della criosfera concerne ghiacciai, neve e permafrost (www.cryosphere.ch). Osservazioni e misurazioni sono coordinate dalla Commissione Criosfera (CC). Le misurazioni relative alla neve sono eseguite dall’Ufficio federale di meteorologia e climatologia MeteoSvizzera e dal WSL – Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF) sulla base dei rilevamenti presso circa 150 stazioni di misura (www.slf.ch). I rilevamenti su circa 120 ghiacciai sono affidati, nell’ambito della rete svizzera di misurazione dei ghiacciai GLAMOS, a diverse scuole superiori, a uffici forestali cantonali, ad aziende idroelettriche e a privati (www.glamos.ch). La rete svizzera di monitoraggio del permafrost PERMOS è gestita da diverse scuole superiori e dallo SLF e comprende 28 siti con rilevamenti termici, geoelettrici e/o di movimento (www.permos.ch).

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