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Un’altra Corsica Un percorso impegnativo tra le varianti del GR20 Nord

Il GR20 è un filo d’Arianna che può anche essere seguito da lontano lungo una moltitudine di sentieri trasversali disseminati di creste e cime. Assolutamente splendidi gli «aspetti secondari» della famosa grande escursione meritano di essere percorsi con la medesima curiosità.

Il profumo dell’elicriso (helichrysum italicum) aleggia su Calenzana. Gli escursionisti affluiscono nelle viuzze di questo villaggio nel nord della Corsica per lanciarsi nel GR20, il sentiero che rimane il Graal dei trekker che amano sudare e consumare le suole sulla roccia dell’isola non casualmente soprannominata «di bellezza».

Reggere i 175 chilometri di questa gravosa «lunga marcia»: un obiettivo di per sé rispettabile. Ma insufficiente per i fanatici della pietra, alcuni dei quali lo hanno percorso innumerevoli volte. Innamorati cotti, non smettono di soccombere al fascino ammaliatore dei massicci insulari. Lo hanno capito: non si riassume la ricchezza e la varietà della montagna corsa in un unico itinerario, per quanto famoso. Sfiorare lo splendore non gli basta. Cercano di fuggire per la tangente staccandosi dalla via ufficiale. Vogliono improvvisare itinerari propri. Dapprima per varianti conosciute e poi, con più ardore, verso percorsi trasversali sempre più selvaggi, percorsi da coloro che qui sono detti i «veri montanari».

 

Dalle marcature rosse e bianche agli ometti

Le varianti «ufficiali» del GR20, chiaramente segnalate e tracciate sulle carte, non presentano alcuna difficoltà per l’escursionista agguerrito e sportivo. Diversamente, quelle «ufficiose» si trasmettono di bocca in bocca, si improvvisano sul terreno con coloro che le conoscono, si fanno volontariamente discrete. Impegnative ed esposte (da T4 a T6, con livelli di arrampicata in alcuni passaggi), le deviazioni al di fuori dei sentieri tracciati sono riservate a persone autonome e sperimentate. Conoscenze di alpinismo e arrampicata, nonché l’abitudine a detriti, pietraie, placche e roccia si rivelano indispensabili. In questo ambiente ultraminerale i percorsi sono a malapena indicati da ometti, senza indicazione alcuna sulla scelta di una cengia, l’avvicinamento a una bocchetta o l’accesso a una cima.

Due tipi di pubblico diversi per due generi di circuito divergenti per difficoltà: una distinzione cara a Robert Cervoni. Sul terreno dal oltre vent’anni, la guida d’alta montagna conosce molto bene i massicci corsi. Qui, «la stragrande maggioranza degli escursionisti si attiene agli itinerari segnalati e si dedica soprattutto a consumare sentiero, senza alcuna curiosità per ciò che si trova al di là». Non si tratta di una critica all’atteggiamento, che il professionista peraltro incoraggia: «Non spingo nessuno ad abbandonare i segnalamenti. Anche se il sole e la prossimità del mare fanno talvolta dimenticare la severità della montagna, i massicci corsi devono essere presi sul serio. Sono altrettanto pericolosi delle Alpi. Ci si può perdere, farsi cogliere dal maltempo e cadere mortalmente.» La messa è detta: come altrove, le regole della montagna vanno rispettate anche in Corsica.

 

Osare una cresta

Lasciare il sentiero conduce tuttavia il fuggiasco in luoghi poco frequentati e inattesi. Seguendo il GR20 da nord a sud, la tentazione di non attenersi alle marcature biancorosse inizia dal rifugio dell’Ortu di u Piobbu, custodito dalle vette del Capu à u Dente e del Monte Corona. Queste due sentinelle rappresentano l’avamposto di una bella linea di creste che si ergono sul circo di Bonifatu e le foreste di Tartagine e Ascu, per raggiungere il passo di Stagnu (Bocca di Stagnu). Sgranando una serie di vette di oltre 2000 metri, questa spina dorsale alterna pietraie, blocchi rocciosi e cime in un crescendo di difficoltà. Da lassù, la vista sulla baia di Calvi e, più lontano, sul golfo di Galeria e i calanchi rosseggianti di Piana, oppure verso la catena del Monte Cinto, offre una successione di paesaggi grandiosi. Talvolta, golosi della magra, ma ricca vegetazione di queste zone rocciose, i mufloni accompagnano gli sforzi del montanaro.

Altra variante sommitale a partire dal rifugio di Ciutullu di i Mori, l’infilata tra il Capu de Ghiarghiole e il Capu Rughia attraverso il passo di Vergio propone il medesimo tipo di rilievi accidentati e punteggiati di splendidi panorami.

Assolutamente selvaggi, questi due itinerari «ufficiosi» rappresentano un corso di geologia all’aperto e, tanto variano le forme e la natura delle rocce, un’esposizione permanente di sculture. Più esposte del sentiero classico, queste varianti sono faticose e impegnative. Laddove gli ometti scarseggiano, per passare e aggirare determinate cime è indispensabile una buona lettura del terreno.

Più semplice, ufficiale e segnalata, la variante alpina che separa i rifugi di Petra Piana e dell’Onda presenta un carattere analogo, pur rimanendo molto più accessibile.

 

Cime in successione

Dalle creste alle vette manca spesso un solo passo. La Corsica conta circa 120 cime culminanti a oltre 2000 metri. È quindi facile inanellarne parecchie nel medesimo giorno. «A questa altitudine, i paesaggi estremamente minerali assomigliano molto a quelli che si incontrano sulle Alpi a 3000 metri», commenta Robert Cervoni. Il paragone spiega perché ci si sente già in un ambiente ostile a quote ancora «basse».

Alcune varianti ufficiali del GR20 Nord portano dal Monte Cinto, con i suoi 2706 metri la vetta più alta della Corsica, al Monte Rotondo e al Monte d’Oro. Inerpicarsi su queste montagne schiude l’accesso a un mondo selvaggio, quasi lunare per la scarsità della vegetazione, che cede l’esclusiva alla roccia in un ventaglio di colori tra i più variati. Se il Monte Cinto si distingue per i suoi panorami, il Monte Rotondo sorprende per la diversità dei paesaggi incontrati lungo il sentiero d’accesso. Le praterie d’erba rasa cedono gradualmente spazio alla pietra. Dalla vetta, protetti dal riparo Helbronner, si distingue il blu elettrico del minuscolo lago di Galiera, tardivamente incorniciato dalla neve e dal ghiaccio.

Ma nulla vale una salita al Capu Tafunatu e al Paglia Orba. «Queste due vette sono considerate tra le più belle della Corsica», precisa Olivier Bonifacj, guida e accompagnatore presso il Parco naturale regionale di Corsica (PRNC). Una volta trovata la cengia buona, la salita al buco del Tafunatu è un’esperienza. Dall’orificio gigantesco che fora questa lama di riolite il vento scompiglia i capelli dell’osservatore, affascinato dalla vista sui golfi di Porto e Girolata. Ai piedi del Tafunatu, la bellezza di un labirinto minerale impressiona con le sue forme rocciose acuminate. «Questo settore della valle di Filosorma è uno dei più selvaggi della Corsica. È possibile scendervi attraverso una bocchetta scoperta di recente», ci informa l’accompagnatore. Non dirà altro... Dalla cima del Tafunatu la vista si tuffa sul passo dei Maures per risalire verso la catena di vette della Grande Barrière. Impreziosito dal tramonto, il vicino Paglia Orba si riconosce per la sua particolare forma a spalla. Seguendo gli ometti lo si raggiunge senza alcuna difficoltà. Da lassù si scoprono il buco del Tafunatu, il massiccio del Cinto e la Balagne.

 

Una scappata audace

Impegnativa, un’alternativa nella Grande Barrière lo è senz’altro. Ci sforziamo di trovare gli ometti che portano alla bocchetta giusta. «Chi non conosce i passaggi chiave avrà le sue difficoltà a trovare la strada tra queste rocce», spiega Patrick, un montanaro locale incontrato lungo la nostra deviazione. A volte l’apprensione prende il sopravvento. Audace, ma non incosciente, l’escursionista ha allora la saggezza di fare marcia indietro, respinto dalla difficoltà di questo massiccio che il GR20 si contenta di costeggiare.

La salita alla vetta del Paglia Orba è uno dei fuori pista riservato agli escursionisti più capaci. Verticalità delle bocchette, orientamento difficile: l’intransigenza della montagna può tramutarsi rapidamente in realtà. In questo ambiente molto alpino, smarrimenti e disattenzioni non sono ammessi. Senza tregua, l’itinerario conduce da una difficoltà all’altra, spingendo il visitatore ai suoi limiti. È il prezzo da pagare per scoprire questo massiccio grandioso.

 

Difficile avere informazioni!

Studiando la carta si indovina una moltitudine di itinerari possibili. Ma ottenere informazioni su questi «percorsi b» rimane difficile. Come ci fa sapere il custode di un rifugio, «mi chiedono continuamente come accedere a itinerari fuori dal sentiero, e di proposito non fornisco informazioni. Secondo me, chi vuole lasciare le segnalazioni deve essere in grado di cavarsela per orientarsi. Non spetta a me metterlo in pericolo mandandolo su una cresta. E d’altro canto, cerchiamo anche di preservare la quiete delle nostre montagne.»

Il riferimento rimane l’opera di Michel Fabrikant, il padre del GR20, che assieme ad alcuni appassionati si occupò della marcatura del primo sentiero nel 1970. Tra la scalata e l’escursione, l’itinerario dell’epoca era ben più impegnativo di quello attuale. Alcune delle varianti descritte in queste righe usano dei tratti di quel GR20 iniziale. «È per questa ragione che a volte si incontrano delle segnalazioni isolate, molto vecchie», spiega Olivier Bonifacj.

Di certo, coloro che oseranno avventurarsi lungo i sentieri trasversali dell’Isola di bellezza non lo rimpiangeranno. A loro vada l’augurio dei corsi: «Prudenza è bona fortuna!»

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