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Il CAS chiede voce in capitolo Opposizione alle nuove zone di tranquillità per la fauna selvatica

A titolo di compensazione per nuove funivie, il Canton Vallese ha sancito due zone di tranquillità per la fauna selvatica vincolanti. Ad esse si oppone un’alleanza di sportivi della ­montagna che include la sezione CAS Monte Rosa. Un caso esemplare delle pesanti conseguenze che i progetti infrastrutturali possono avere per chi frequenta la montagna.

Dall’inizio di quest’anno, una nuova cabinovia collega le stazioni sciistiche di Grimentz e Zinal. È in grado di trasportare più di 800 persone ogni ora. L’Ufficio federale dei trasporti (UFT) ha rilasciato la concessione per questo impianto nel 2012, alla condizione, tuttavia, che qualcosa venisse fatto a tutela degli animali selvatici e del bosco. Il Canton Vallese ha ottemperato alla richiesta istituendo una zona di tranquillità per la fauna selvatica vincolante tra Grimentz e Zinal. Così facendo, ha rimosso anche le riserve di quelle organizzazioni che, per motivi legati alla protezione della natura e del paesaggio, si opponevano alla costruzione della funivia. A Nendaz, la situazione si profila in maniera analoga: si tratta qui della compensazione per una nuova funivia di Télénendaz.

Nei confronti delle nuove zone di tranquillità per la fauna selvatica c’è opposizione. Le associazioni vallesana e svizzera delle guide alpine, la sezione Monte Rosa del CAS e singole persone si sono costituite nell’«Alleanza dello sport della montagna», che non accetta le nuove limitazioni poste agli sportivi invernali. In particolare, i suoi aderenti sono irritati dall’estesa zona di tranquillità di Zinal, che sbarra con un tratto di penna gli apprezzatissimi pendii da freeride della zona di Tsirouc-Sorebois. «Non è accettabile che gli interessi degli sportivi si vedano costantemente gravati da restrizioni», commenta Pierre-­André Veuthey, vice presidente ­della sezione Monte Rosa e avvocato dell’Alleanza. Che non mette fondamen­talmente in discussione le misure di compensazione, quanto piuttosto il perimetro ora delimitato e la mancanza delle vie di discesa. L’area includerebbe anche zone nelle quali non vi è alcun animale da proteggere. Inoltre, non si sarebbe neppure atteso di vedere se le zone di tranquillità già esistenti fossero o no sufficientemente efficaci.

Alternative non considerate

Un secondo motivo di risentimento per l’Alleanza sono le modalità adottate per la definizione della zona di tranquillità. «Non siamo stati interpellati in qualità di utenti», dice Veuthey. E un perimetro alternativo proposto dagli sportivi non sarebbe stato preso in considerazione. Peter Scheibler, capo servizio dell’Ufficio vallesano della caccia, della pesca e della fauna selvatica (DJFW) non è d’accordo: sulla base della presa di posizione di guide alpine e del CAS, l’ufficio avrebbe aperto un corridoio supplementare e suddiviso la zona in due parti. Non è tuttavia stato possibile applicare del tutto la modifica proposta in quanto avrebbe messo in forse l’efficacia della zona di tranquillità. «In quel caso, la zona non avrebbe praticamente più potuto essere considerata una misura di compensazione ai sensi delle direttive», afferma Scheibler. Veuthey ne dubita. Ed è inoltre disturbato dal fatto stesso che l’UFT abbia la facoltà assieme al DJFW di ordinare nella pratica delle zone di tranquillità: «Non è democratico e contraddice il diritto legittimo della popolazione a partecipare.» Tramite il ricorso, l’Alleanza intende far sì che in futuro le cose siano diverse, spiega Veuthey: «Vogliamo dei veri colloqui.»

Il Tribunale cantonale vallesano non ha mostrato alcuna comprensione per gli argomenti dell’Alleanza, e nell’agosto dello scorso anno ha respinto la sua opposizione. Il motivo: né gli sportivi del tempo libero, né le guide sarebbero toccate direttamente o abbastanza profondamente da legittimare il ricorso. Potrebbero senz’altro optare per altre regioni. Veuthey ritiene questa argomentazione inammissibile, in quanto renderebbe ancora meno possibile giustificare il diritto di ricorso. Ora, il compito di stabilire quali argomenti siano più convincenti spetterà al Tribunale federale. I giudici di Mon-Repos hanno già stabilito che il ricorso non ha effetto sospensivo: le zone di quiete per la fauna selvatica di Zinal e Nendaz sono quindi vincolanti già a partire da questo inverno.

Meno è di più

L’associazione centrale del CAS condivide il desiderio dell’Alleanza di avere voce in capitolo e la sostiene idealmente e finanziariamente nella sua battaglia legale. «Quale associazione degli sport della montagna siamo in favore di un libero accesso esteso alla montagna», dice René Michel, responsabile del settore Ambiente. Se il CAS e il SBV fossero stati interpellati tempestivamente, è possibile che le zone di tranquillità desiderate e negoziate sareb­bero risultate meno numerose e più piccole – «e la loro efficacia risulta maggiore tanto più esse sono rispettate e accettate.» CAS e SBV erano tra i più importanti attori impegnati nel far sì che le zone di quiete definite in comune vengano anche rispettate. Con la campagna «Chi rispetta protegge» ci si impegna in tal senso ormai da anni. «Le soluzioni sproporzionate come quella di Zinal non hanno alcuna possibilità di essere accettate e silurano il sostegno degli alpinisti alla tematica.» Luc Germann, di «Bad Amicale», un gruppo di freerider di Zinal che organizza ogni anno un evento proprio nella zona interessata, conferma questa valutazione: «Non smetteremo mai di scendere dal Tsirouc. Se la zona verrà bloccata sul serio istituiremo un fondo per pagare le multe.»

Doppia perdita

Secondo l’opinione di René Michel, il conflitto di Zinal non va considerato un caso a sé. Esso indica quanto sia importante impegnarsi per la tutela del paesaggio alpino e contro ulteriori aperture. «Con ogni nuovo impianto, ci perdiamo due volte», afferma. Un’area adatta allo sciescursionismo o al freeride diventa pista, un’altra zona di tranquillità. «Se potessimo entrare in discussione, questo ‹effetto delle due montagne› si mitigherebbe un po’.» Ancora più efficace sarebbe impedire le nuove aperture tramite la consultazione o l’impiego del diritto di ricorso delle associazioni, come previsto dalle direttive ambientali del CAS: allora, entrambe le montagne rimarrebbero zone per escursioni. Tuttavia, in seno al CAS l’opposizione contro nuove infrastrutture nell’ambiente alpino non sfruttato non è indiscussa, anche se le direttive ambientali del CAS la prevedono. Mentre Pierre-André Veuthey, dell’Alleanza vallesana dello sport della montagna, sostiene a spada tratta la nuova cabinovia Gri­mentz-Sorebois.

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