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In solitudine lungo il confine In sei giorni dall’Engadina a Poschiavo

Sui passi tra Zernez e Miralago si incontrano più animali che uomini – e ogni volta ci si fa sorprendere dal confine.

L’orso? Ma certo che l’abbiamo visto, l’orso! Già il primo giorno, quando a mezz’ora da Zernez abbiamo attraversato il confine del Parco nazionale grigione. La foschia mattutina aleggiava tra gli abeti, e in pratica ogni arbusto celava un plantigrado, ogni masso di una certa dimensione assumeva da lontano la sagoma di Compare Orso. Ciò nonostante, con il tempo, ci siamo abituati alla presenza dell’«orso», l’abbiamo assunta come ovvia. E mentre il sole saliva verso lo zenit, anche i cespugli e i massi smettevano di far paura.

Nessun orso, poca gente, molti animali

In realtà, nei sei giorni di cammino attraverso le Alpi retiche e lombarde di orsi non ne abbiamo mai incontrati. L’orso problematico M13 è stato abbattuto nel 2013. Ma sul versante italiano, di suoi simili ce ne sono ancora parecchi. E per loro, la zona montagnosa di confine tra i Grigioni e la Lombardia è sufficientemente solitaria: durante l’intera escursione abbiamo tutt’al più incontrato un pugno di persone. Unica eccezione, la discesa dalla Fuorcla Trupchun in direzione di Livigno. Qui ci siamo improvvisamente imbattuti in un gruppo di amici della natura, tutti quanti armati di binocoli e apparecchi fotografici con potenti teleobiettivi. Erano diretti al Parco nazionale, per osservare cervi, camosci e stambecchi.

Questo anche noi abbiamo avuto ampie occasioni di farlo in tutta tranquillità. Durante la salita dalla Parkhütte Varusch alla Fuorcola Trupchun, sui versanti opposti della valle abbiamo contato non meno di 50 cervi. Quale visione. In cammino di buon’ora, ce li siamo gustati tutti per noi soli. Mezz’ora più tardi, una coppia di camosci proprio sul sentiero non si sono sentiti disturbati neppure dal nostro respiro affannoso nel faticoso pendio che porta al passo. Da uno spuntone roccioso sopraelevato, uno stambecco osservava attento la nostra lotta contro i detriti sdrucciolevoli. E quando giunti all’altezza del passo ci godevamo i primi raggi del sole mattutino, altri due imponenti esemplari hanno attraversato il versante opposto a soli 30 metri di distanza, osservandosi reciprocamente con diffidenza e mantenendo una distanza adeguata. Di quella scena, alla ventina di amici della natura di Livigno che non cessavano di proclamarsi reciprocamente la gioiosa attesa della fauna del Parco nazionale, non è di certo rimasto molto.

500 cervi abitano la valle

La gita era stata programmata già da tre anni: da Zernez a Poschiavo attraverso nove passi famosi, sempre a cavallo del confine tra Svizzera e Italia. Le prime due volte, l’escursione era letteralmente naufragata in un mare d’acqua, mentre in un’altra occasione i passi più alti erano ancora ricoperti da uno spesso manto di neve fresca. E anche la terza estate il nostro progetto sembrò fallire, nonostante tutte le previ-sioni meteorologiche favorevoli: la sera un cielo senza nuvole a Zernez e il mattino della nostra prevista partenza una spessa coltre di nubi sull’intera valle. Decidiamo di salire almeno fino alla Chamanna Cluozza, e guarda un po’! Più saliamo, più le nubi si diradano. È un momento di gioia. Guardandoci alle spalle dalla Fuorcola di Val Sassa, neppure una nuvola perturba l’azzurro del cielo. Il sole ha spazzato via tutta l’umidità.

Dieci minuti dopo la Parkhütte Varusch inizia il Parco nazionale. Sul versante opposto della valle pascolano i cervi. Placidamente percorrono il pendio, attraversano un canale detritico, dove un secondo gruppo viene loro incontro. Rimaniamo lì impalati ad ammirarli, non vorremmo più abbassare il binocolo. Con loro ci sono dei giovani esemplari, ancora un po’ impacciati nel procedere, e vecchi maschi dai palchi imponenti.

Sono 500 i cervi che vivono nella valle. All’epoca dell’accoppiamento, si dice che l’aria sia satura dei richiami d’amore dei maschi. Ora si ode solo il nostro ansimare: gli ultimi 100 metri di dislivello richiedono un certo impegno. Nel pendio detritico, pioggia, vento ed escursionisti hanno continuamente interrotto il sentiero, e a ogni passo scivoliamo un po’ verso il basso.

In realtà avremmo potuto attraversare senza sentiero fino al Rifugio di Cassana, sul versante italiano. Ma ci dobbiamo ancora abituare al terreno, e oggi preferiamo le marcature.

Una capanna che nessuno conosce

Avremmo anche potuto scendere a Livigno e risparmiare così 200 o 300 metri di dislivello. Ma con la nostra escursione cercavamo la solitudine, e un affollato villaggio di montagna non rientrava nel programma. Nella carta svizzera, a metà della Val Federia, che percorriamo nel terzo giorno, è indicata la Capanna di Mortarec. Tuttavia, siccome in Internet non siamo riusciti a trovare alcuna indicazione precisa, e la capanna era sconosciuta anche presso il centro del Parco nazionale di Zernez, non ci rimaneva che il Rifugio di Cassana.

Perché nessuno conosce la Capanna di Mortarec diventa chiaro quando la raggiungiamo, il mattino successivo: in tutti i cartelli e in tutte le carte italiane è da tempo indicata come «Cheséira da Federia» (caseificio di Federia), è un alpeggio, propone cibo, bevande e qualche possibilità di alloggio. Capiterà ancora: i toponimi italiani e svizzeri non sempre coincidono, e questo non rende certo più facile trovare la strada.

Cambiamenti di programma

In realtà prevedevamo di scendere alla Forcola di Livigno e pernottare al Rifugio Tridentina. Ma la sera precedente, al Rifugio di Cassana, ci avevano avvertiti: alla Tridentina si può solo ancora mangiare e bere, ma non ci sono più posti letto. Per non dover modificare l’intera escursione con una discesa al Passo del Bernina abbiamo perciò optato per l’Albergo Forcola. E abbiamo avuto fortuna: per tre dei quattro chilometri di strada ci ha accompagnati in auto una coppia italiana, che aveva probabilmente letto nei nostri volti le fatiche della lunga giornata. Ci depositano proprio fuori dall’albergo, che ci vizia con una grande camera, una doccia calda, e letti morbidi.

L’idea iniziale voleva che dalla Forcola di Livigno raggiungessimo senza sentieri il Pass da Val Mera costeggiando il Piz Ursera. Ma ora siamo più bassi, e dobbiamo percorrere la strada solo per pochi passi ancora e a sinistra si dirama la Val di Campo. A mezzogiorno abbiamo raggiunto il Rifugio Sao-seo. Facciamo sosta in riva al pittoresco Lagh da Viola, quello sul versante svizzero. Ce n’è un altro sul versante italiano, quasi omonimo e altrettanto pittoresco, nelle cui vicinanze sorge un rifugio, meta prediletta degli escursionisti di una giornata. E dopo altri pochi passi, eccoci alla nostra meta: il Rifugio Federico in Dosdè ci avvolge ancora nella quiete e nella solitudine. Lungo la via, piccoli laghetti, allineati come una fila di perle.

Per una volta, l’alloggio è un’autentica capanna del CAI, il cui custode, Adriano Greco, è un noto scialpinista, scalatore, guida alpina e conquistatore di 8000 nell’Himalaya. Nei dintorni della capanna ha attrezzato alcune vie d’arrampicata, anche con l’intento di accrescere l’attrattività dell’alloggio. Adriano Greco ha tra l’altro appena fatto ritorno alla capanna da una nuova via.

Quasi non fa in tempo a chiudersi la porta alle spalle, che il temporale si scatena. Delle nubi nere a nord lo avevano annunciato già nel pomeriggio. Alle finestre guizzano incessantemente i lampi, il cielo è scosso, come se fosse in atto un nuovo diluvio. Le cadute di corrente si susseguono. Durante la notte, il nostro sonno è turbato dal rombare dei tuoni.

Cercando tracce di sentieri

Che ci troviamo sul confine lo vediamo anche al Passo Pedrina, che attraversiamo l’ultimo giorno. Siamo perplessi: gli italiani hanno posato un cartello che indica la direzione dalla quale noi siamo saliti, dalla parte svizzera non c’è nulla: nessun cartello, nessuna indicazione, nessuna marcatura. Cerchiamo la nostra via con cautela. Sotto, a destra, delle case: deve essere Braga. Nella carta, in sentiero è indicato solo sommariamente, ma almeno sappiamo da quale parte dobbiamo scendere: non direttamente su Braga, ma sul lato sinistro, meridionale del pendio, che attraverseremo solo molto più in basso.

Giunti a San Romerio abbiamo fortuna: altri escursionisti hanno la chiave della chiesetta dell’XI secolo, appesa alla parete rocciosa 1000 metri sopra il lago di Poschiavo, e questo ci permette di dare un’occhiata al suo interno. Gli affreschi scoloriti testimoniano il fasto di un tempo. Spettacolare è tuttavia la sua posizione: sotto il campanile, la roccia precipita verticale. Ad attenderci, ora, ancora appena 1000 metri di discesa. Per fortuna, il morbido terreno del bosco ha pietà delle nostre ginocchia.

Alla fine, la Ferrovia Retica ci riporta a Zernez attraverso il Passo del Bernina. Anche questa è un’esperienza. Al pari degli altri passeggeri, ammiriamo i vicini ghiacciai e le cime dei monti. Sotto, il lago risplende in grigio e blu. Ci rinfreschiamo i piedi, asciughiamo le calze, le camice e gli zaini. Sull’altro versante della vallata, quello orientale, cerchiamo una volta ancora il nostro itinerario. Là, da qualche parte, oltre la cresta, abbiamo camminato per gli ultimi sei giorni.

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