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Nuovo nome, nuove restrizioni? Le bandite federali di caccia cambiano nome

Una mozione del Parlamento federale chiede che le bandite federali di caccia vengano ribattezzate zone di protezione per la fauna selvatica. Il CAS teme che, per l’occasione, nella legge vengano iscritte nuove clausole di protezione a scapito del libero accesso.

«Al Consiglio federale viene chiesto di sostituire nell’articolo 11 della legge federale sulla caccia e la protezione dei mammiferi e degli uccelli selvatici (LCP) il termine ‹bandita federale di caccia› con ‹zona federale di protezione per la fauna selvatica›.» È questo l’incipit della mozione presentata nel settembre 2014 dal consigliere nazionale borghese democratico Martin Landolt. Le due camere l’hanno accolta, e la revisione della legge andrà probabilmente in consultazione ancora quest’anno.

«La nuova denominazione non ci disturba», dice René ­Michel, responsabile per l’ambiente del CAS: «Temiamo tuttavia che questa comporti nuove e inutili restrizioni per lo sport della montagna.» Tali timori sono tra l’altro giustificati dalla motivazione dell’intervento: «Le bandite federali sono uno strumento importante per la protezione della biodiversità», scrive Landolt. E rinominandole, «sarà possibile esaminare nuove possibilità per garantire la funzione di protezione di dette zone». Presso il CAS, una simile pretesa fa suonare il campanello d’allarme: «Questo significa che l’accesso al mondo della montagna subirà restrizioni ancora più severe?», si chiede René Michel.

Promuovere i valori della natura

Nella sua relazione favorevole alla mozione, la Commissione dell’ambiente, della pianificazione del territorio e dell’energia del Consiglio degli Stati ha sottolineato che la funzione di protezione delle bandite non deve essere estesa. Durante la discussione della mozione nell’ambito del Consiglio, anche la consigliera federale Doris Leuthard ha assicurato che si tratterà esclusivamente di un cambiamento di nome. Reinhard Schnidrig, caposezione Fauna selvatica e biodiversità forestale presso l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) conferma l’affermazione della sua superiore: «Alla ridenominazione non è associata alcuna misura di protezione intesa come restrizione.» La revisione dell’ordinanza sulle bandite federali offrirebbe tuttavia l’occasione di rivedere e – dove fosse possibile – completare obiettivi e provvedimenti inerenti alle singole bandite di caccia nell’intento di promuovere i valori naturali presenti. Con i sussidi della Confederazione, in futuro sarebbe possibile moltiplicare il sostegno finanziario a interventi di tutela e sostegno. Un esempio in tal senso potrebbe essere la creazione di riserve forestali in cui viga il divieto di abbattimento. Tali misure sono sempre state gestite tra Confederazione e Cantoni, e dove fossero coinvolte delle proprietà private occorrerebbe il consenso dei proprietari dei fondi. «L’obiettivo non sono quindi nuove restrizioni, bensì nuovi aiuti per la conservazione dei valori naturali», afferma Schnidrig. Che in questo non vede alcuna contraddizione con le discussioni al Consiglio degli Stati.

Analoga è la posizione di Pro Natura: «Non siamo interessati a restrizioni o divieti generali supplementari concernenti l’utilizzo», commenta Urs Tester, responsabile del settore Biotopi e specie. Gli interventi dovrebbero essere consoni agli obiettivi previsti per le singole bandite . Qui, Pro Natura vorrebbe mettere mano e, laddove fosse necessario, formulare nuovi provvedimenti in modo mirato. Tester non cita esempi concreti. A tale scopo, occorrerebbe procedere a delle analisi della situazione attuale per le singole zone e cercare successivamente dei possibili miglioramenti assieme agli attori.

Discoste, selvagge, integre

Per i gusti di René Michel – diversamente dal Consiglio degli Stati – nel caso di Schnidrig e Tester le nuove misure e i nuovi obiettivi di protezione sono addirittura molti. E teme che possano interessare anche le attività del tempo libero: «Per il CAS, questo non è accettabile.» Per lo sport della montagna, le bandite di caccia sono importanti in quanto discoste, selvagge e integre. Il loro valore in termini di ricreazione ed esperienza non ha confronti. «Faremo tutto il possibile per evitare nuovi pacchetti di regolamentazioni», afferma. In direzione analoga punta l’interpellanza deposta successivamente dal consigliere nazionale Landolt: in essa, egli chiede che, nell’ambito della revisione dell’ordinanza sulle bandite federali «occorra assolutamente perseguire una soluzione maggiormente differenziata rispetto a ora». Bisognerà quindi tener conto anche dal carattere delle singole zone, come pure delle differenze stagionali, mentre andrebbero il più possibile evitate le soluzioni standardizzate. Maggiore protezione e sfruttamento turistico dolce non sono in contraddizione.

Questo corrisponde ampiamente alla posizione del CAS, già formulata nel 2001 nella sua direttiva «Libero accesso e protezione della natura». L’associazione punta sul principio dell’«assunzione di responsabilità prima delle regole». Intende informare e sensibilizzate chi pratica sport nella ­natura, promuovendo un comportamento rispettoso. Le limitazioni dell’accesso dovrebbero essere motivate oggettivamente, proporzionate e differenziate.

Retaggio obsoleto

Con le loro restrizioni generalizzate riguardanti gli sport invernali, le bandite di caccia contraddicono queste direttive. Marco Mehli, vice presidente dell’Associazione svizzera delle guide di montagna (SVB/ASGM), lo chiarisce con l’esempio della Crast’Alva, nella bandita Bernina-Albris: l’accesso con gli sci dalla Chamanna da Tschierva è oggi vietato in quanto manca una via sciescursionistica ufficiale: «In relazione alla tutela della selvaggina, non fa assolutamente senso», afferma Mehli. «Lassù non ce n’è neppure.» Questo peggiorerebbe poi l’accettazione della protezione della natura presso gli sportivi della montagna. In relazione al libero accesso, la SVB/ASGM condivide la posizione del CAS.

Per Jürg Meyer, guida alpina ed ex responsabile dell’ambiente in seno al CAS, le bandite di caccia sono retaggi obsoleti di cui ci si dovrebbe liberare. «Le misure di tutela devono essere attuate sulla base di un monitoraggio biologico della fauna selvatica, vale a dire solo quando in funzione del numero dei capi e dello sfruttamento degli habitat è possibile desumere che l’attività escursionistica la danneggi.» Altrimenti si stabiliscono a casaccio regole che irritano i fruitori della montagna e non portano nulla agli animali.

Più coinvolgimento

Oltre alla differenziazione delle disposizioni vigenti in relazione agli sport invernali, dalla prevista revisione della legge e dell’ordinanza sulla caccia René Michel si aspetta una seconda cosa: che il CAS abbia più voce in capitolo. Se oggi il Consiglio federale sposta una bandita, non vi sono basi legali per opporvisi. È successo con lo spostamento parziale della bandita dello Hutstock nella regione del Titlis. Per non dover intralciare l’intensa attività turistica attorno al Trüeb­see, i cantoni di Obvaldo e Nidvaldo avevano richiesto la messa sotto protezione di una superficie sostitutiva al Bannalp, una classica zona escursionistica. L’opposizione del CAS e una variegata alleanza tra attori regionali non ha trovato ascolto, e Michel teme che questo non rimanga un caso isolato. Anche nelle bandite di Elm, Grindelwald e La Fouly vi sono zone sciistiche: «Forse anche lì capiterà la stessa cosa.»

Le bandite federali di caccia

In Svizzera vi sono 42 bandite federali di caccia. Sono prevalentemente situate in regioni discoste e montagnose, e coprono all’incirca 150 000 ettari, cioè il 3,65% della superficie del paese e circa il 6% di quella delle Alpi. Stando al­l’UFAM, assieme ad altre zone protette, le bandite di caccia vanno annoverate tra le superfici destinate alla biodiversità. Conformemente alle convenzioni internazionali sulla biodiversità sottoscritte dalla Svizzera, tali zone dovrebbero coprire il 17% della superficie totale del paese interessato.

Protezione ampliata dal 1991

Dal 1991, nelle bandite di caccia gli animali non sono più protetti solo dalle pallottole: anche lo sci al di fuori dalle strade, dalle piste e dagli itinerari segnalati è vietato, così come il campeggio. Nell’inventario federale delle bandite federali di caccia, per ogni singola zona sono poi elencati altri obiettivi ampiamente generali e «misure speciali». Quest’ultime riguardano attualmente, ma solo in un’unica bandita di caccia, lo sfruttamento turistico. Altrimenti, sinora, si tratta quasi esclusivamente di misure tese alla regolazione delle popolazioni. L’inventario è parte dell’ordinanza sulle bandite federali (OBAF).

Costituzione nel 1875

Le bandite federali sono nate successivamente alla promulgazione, nel 1875, della prima legge federale sulla caccia e la protezione degli uccelli, che istruiva i cantoni di montagna a limitare l’esercizio della caccia e a ritagliare delle zone in cui fosse vietata. In precedenza vigevano solo leggi cantonali, che non erano riuscite a impedire una drammatica riduzione delle popolazioni di ungulati selvatici. Il cervo nobile e lo stambecco erano estinti. Anche grazie alle disposizioni federali, verso la fine del XIX secolo queste popolazioni tornarono a crescere.

Tre tipi di protezione

Oggi, in talune bandite, sono addirittura in eccesso. In tali casi, i cantoni hanno la facoltà di provvedere alla regolazione del numero dei capi mediante provvedimenti venatori. In quest’ambito si distingue tra «zone integralmente protette», nelle quali i provvedimenti di regolazione possono essere attuati solo in casi eccezionali, e «zone parzialmente protette», nelle quali caprioli, camosci, cervi e cinghiali vengono cacciati regolarmente. Al di fuori delle zone di bandita effettive vi sono anche superfici nelle quali i danni causati dalla selvaggina vengono risarciti (perimetri designati).

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