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Primavera greca lungo l’E4 L’attraversamento del Peloponneso

Dal golfo di Corinto a quello di Messenia, il Peloponneso, l’isola di Pelope, è una montagna nel mare. Montagne da capre, vallate da pecore. È fatta per i cammina­tori, gli ostinati, i nostalgici di un paese antico dal cuore grande. Un tratto della rete sentieristica europea, l’E4, la attra­versa da nord a sud.

Agios Nikolaos, un piccolo porto di pescatori nel Mani, il secondo dito del Peloponneso, a sud di Kalamata. Due minimarket, qualche alberghetto, una quantità di taverne attorno al porto, con i caicchi che danzano in tondo. Delle belle mulattiere, dette «kalderimi», ci hanno portato fin qui dal monastero di Panagia i Giatrissa. Fine di un periplo di due settimane. Da Nikos, al «Limeni», il caffè greco è servito con un bicchiere d’acqua fresca. L’atmosfera è inclusa. Greca. Mal sbarbata. Soleggiata. È l’ora in cui i pescatori spargono sui banchi bracciate di pesciolini, scherzando con i bevitori che fanno ticchettare il koboloi, il tipico rosario greco. Non si capisce nulla. La chiarezza del mare abbaglia. Dopo 15 giorni di macchia e di foreste, ciò che rimane è una grande stanchezza che incolla i piedi a terra. E dei ricordi.

 

Tra giungla himalayana e Pirenei

Torna alla mente il rombo che animava la prima tappa, quello delle acque tumultuose del Vouraikos. Da Diakopto, infatti, l’E4 segue un tratto della ferrovia che si snoda attraverso le gole del Vouraikos: una poesia ferroviaria ritmata da un trenino a cremagliera battezzato «Odontotos» a causa dei suoi denti. Gallerie. Viadotti in ferro. 22 chilometri marcati ogni 100 metri fino a Kalavrita, con stazioni, garitte e un carico troppo generoso per le caviglie. Bisogna adattare la marcia alle traversine, l’occhio all’orologio e un filo di buonsenso per evitare gli incontri in galleria o su un ponte.

Si attraversa un ambiente esotico, a tratti da giungla himalayana, come a Mega Spileo, con le sue taverne di legno dove qualche scimmia non avrebbe stonato. E altrove un’ambientazione pirenaica, quando dalla valle che si apre sui bei prati umidi salgono i fischi dei pastori che radunano le loro pecore per la mungitura. Infine si raggiunge Kalavrita, capolinea della ferrovia. Una stazione invernale che d’estate s’annoia. Su una collina non lontana dal villaggio si erge un monumento in memoria di un eccidio perpetrato qui nel 1943 dalle truppe tedesche. Come rappresaglia per la morte di un’ottantina di loro, i nazisti uccisero la quasi totalità della popolazione maschile del villaggio, cioè diverse centinaia di civili. Diedero quindi alle fiamme il villaggio di Kalavrita e 25 altri, oltre al vicino monastero di Agia Lavra.

 

«Potreste almeno liberare il sentiero!»

Segnalazioni scomparse, marcature cancellate, coperte dalla vegetazione. Vien da chiedersi se l’E4 sia ancora frequentata. Sì! Una cagna ci accompagna da Ano Lousoi e Planitero. Ci precede, ci segue. Rincorre le pecore, agguanta le farfalle. Non c’è verso di scacciarla. La battezziamo Lousoi. Fa salti di gioia solo a sentirci parlare. A Planitero, un funerale esce dalla chiesa. Il titolare del pantopoleio (il negozio di alimentari) ha messo la chiave sotto lo zerbino e Lousoi scompare. Come altrettante allegorie di questa montagna greca che si vuota poco a poco. Ad Armpounas, Tourlada, Krinofyta, Lykouria, Pankrati, ci si viene d’estate, nelle case di famiglia che l’asfalto ha reso accessibili alle limousine. Qui ci troviamo a tre ore e mezza da Atene...

Invece dell’ora e mezza annunciata fino a Planitero, lottiamo per tre ore contro la vegetazione. «Potreste almeno liberare il sentiero», faccio osservare a un abitante – che mi risponde: «È al comune che lo deve dire.» I dolci e i caffè offerti finiscono per farci dimenticare ogni seccatura.

 

Lukum dalle suore

A Daras, l’E4 attraversa la pianura e risale dolcemente verso Vytina, mentre il barometro si avvia in direzione inversa. Meli in fiore. Papaveri in fiore. E il massiccio del Menalo, nero nel controluce della sera e poi nero sotto le nubi del mattino. Vytina, grigio di marmo sotto il grigio del cielo, ci accoglie sotto il temporale. Gli anziani si sono ritirati all’interno dei caffè. I palmi appoggiati al vincastro parlano di questo beffardo mese di maggio. È che, a volte, il bel mese di maggio si fa beffe di noi, anche in Grecia. Immaginando la primavera ellenica come l’anticamera del paradiso si è tentati di optare per un equipaggiamento eccessivamente estivo. Pessima scelta, quando le notti terminano a soli cinque gradi e la rugiada sale fino alle ginocchia. In questi casi, la sola alternativa è partire a stomaco vuoto fino al prossimo versante soleggiato dove riscaldare l’acqua per il caffè seduti tra i fiori. Tra miliardi di fiori. E il pomeriggio piove.

Una volta ancora, orientarsi è difficile. Dei pastori ci dicono che i sentieri sono chiusi. Oppure non li conoscono più. 25 chilometri d’asfalto per la tappa successiva dell’E4? La carta ci rassicura: non lontano da Vytina scorre il Lousios, un minuscolo nastro azzurro sulla carta seguito da un piccolo sentiero rosso munito del numero «32» e perfettamente segnalato. Ci conduce a una piccola valle disseminata di monasteri letteralmente incollati alle pareti rocciose. All’ora della siesta, quelli di Philosophou e di Prodromou sono chiusi ai visitatori. Va bene così. Due giorni or sono al monastero di Iera Moni abbiamo incontrato delle monache con le facce da pirata, fasciate di traverso in teli neri, barbute e sdentate, che ci hanno offerto dei lukum sufficientemente zuccherati da far passare l’amarezza dovuta a una visita senza interesse.

 

Il vino fa il resto

Prima di Sparta, un altopiano disseminato di belle piantagioni di castagni nudi, noci e tulipani selvatici frementi nel vento da nord. Agios Petros. Karyes. Una piccola vipera cornuta sulla pista, una tartaruga antidiluviana nei cisti. A Vresthena, il padrone della taverna ci griglia delle paidakia ­arniou (braciole d’agnello) prima di mungere le sue pecore. Eccolo; Yannis, 68 anni, allevatore, 500 capi da mungere due volte al giorno. A mano. Da solo? No, dice, ha due aiutanti. Ed ecco che, alla fine del pasto, un quarto di rosato atterra sui quadretti della nostra tovaglia. Da parte di Yannis, il pastore.

No, l’ospitalità greca non è leggenda. A Krinofyta, Georgia ci raggiunge correndo: la sua anziana madre ci ha visti passare e vorrebbe invitarci; «per permettervi di riposare un po’», spiega. Finiamo davanti a una frittata con patate e insalata, il cuore in festa. Qualche giorno dopo, alla fonte di Makomata, nel massiccio del Taygetos, quattro contadini preparano una merenda. Il boccione del vino è nella fontana, la gentilezza sotto il cotone delle spesse camice. Qualche parola di greco è sufficiente, il vino fa il resto. Ci spiegano dove trovare la stregonia, ci parlano del più vecchio platano del mondo, quello di Arna, la nostra prossima tappa: 2000 anni di età, 35 metri di altezza, 100 metri di ampiezza, 14 metri di giro vita. «E lui, beve due metri cubi e mezzo al giorno!», esclama Spiros, il bicchiere in mano. Sì, ma d’acqua.

«L’ouzo, con o senza?» La voce della mia compagna mi strappa dai miei pensieri. I ricordi fanno posto alla realtà: «L’ouzo? Senz’acqua!» Ad Agios Nikolaos è già l’ora dell’aperitivo.

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