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Un soffio di avventura Lo «Zwölfstundengrat» o la «cresta delle 12 ore» del Piz Vadret

È vero, in un’epoca in cui gli alpinisti d’élite scalano la parete nord dell’Eiger in meno di tre ore, il nome «cresta delle 12 ore» suona un po’ obsoleto. Va anche detto che il Piz Vadret non può competere per fama con Eiger & Co. Proprio per questo sulla cresta si è spesso soli.

Era un’epoca di gran lunga precedente le odierne previsioni meteorologiche, quel 5 agosto 1892 in cui un tale Eduard Imhof se ne stava di buon mattino davanti alla locanda rifugio Dürrboden assieme alla sua guida Georg Valèr e, considerata la pioggia insistente, dichiarava la giornata «turisticamente persa». Decisero allora di accompagnare un certo «signor P.» al passo Scaletta e di tornarsene in seguito a Davos. Per strada il tempo migliorò. I due cambiarono rapidamente programma e, in condizioni nel frattempo splendide, scalarono la serie successiva allo Scalettahorn, il Piz Grialetsch e il Piz Vadret.

Con i suoi 3229 metri, il Piz Vadret è la vetta più alta e alpinisticamente più impegnativa della regione del Grialetsch. Deve il suo nome ai tre ghiacciai di Grialetsch, Punt Ota e Vallorgia, nel mezzo dei quali si erge come una scura cresta dentellata dalle pareti dirupate e rugose. D’estate è scarsamente frequentato, d’inverno non lo è praticamente mai, come si desume dal libro di vetta. Ma di questo parleremo in seguito.

La regione del Grialetsch si estende tra la Bassa Engadina superiore e la zona di Davos. Al suo centro, accanto a due pittoreschi laghi di montagna e circondata dai blocchi granitici della Fuorcla da Grialetsch, sorge la Chamanna da Grialetsch del CAS. D’

Due chilometri di arrampicata in cresta

La cresta orientale, lunga circa due chilometri, l’originale «Zwölfstundengrat» dalla Fuorcla Barlas-ch al Piz Vadret, è la via più lunga per la vetta. Conduce dalla Fuorcla dapprima lungo un largo dosso roccioso. L’ultimo quarto è quello più impegnativo, per cui gli alpinisti la raggiungono spesso dal Vadret da Grialetsch attraverso uno dei canaloni più vicini alla vetta. In queste ascensioni occorre prestare attenzione al fatto che, a tarda estate, nelle crepe non c’è più tanto firn e che anche il pietrisco non è più ben gelato. Attenzione quindi alla caduta di pietre, soprattutto nelle giornate più calde. Il punto chiave più tecnico apre l’ultimo tratto. Un pedale in fettuccia aiuta a superarlo, e lo spiazzo che sovrasta la ripida lastra si presta a una breve pausa e a un’occhiata al proseguimento dell’arrampicata in cresta, poiché da qui in poi si susseguono torri e vedute dall’alto.

 

Templi dell’antico Egitto e doppie torri gotiche

Anche Eduard Imhof rimase fortemente impressionato dal Piz Vadret, come dimostra questo estratto dei suoi resoconti: «Con la sua doppia vetta, separata dal profondo intaglio della Vadretfurka, appare come le spesse colonne di un tempio dell’antico Egitto, oppure come una doppia torre gotica, poiché le torri delle vette non sono pesanti e inarticolate come colonne egizie, bensì riccamente elaborate da numerose colonne, pilastri, torrette e pinnacoli, e con ogni sorta di finestre a traforo e a colonnina e multiformi fiori di pietra.»

Anche se ben raramente qualcuno avrà effettivamente impiegato 12 ore per percorrerla, la cresta orientale si è meritata questo altisonante soprannome. La chiave per raggiungere la vetta e far ritorno senza incidenti è l’alpinismo classico: lettura del terreno, pratica nell’uso della corda, assicurazioni adeguate e avanzamento. Qui più che altrove, le dimensioni del gruppo, le capacità alpinistiche e la forma fisica di partecipanti possono influenzare considerevolmente i tempi di percorrenza.

La calata e la discesa lungo la ripida cresta sud, su terreno pietroso spesso sciolto, sono delicate. Anche le cordate che si sono lasciate alle spalle la cresta in molto meno di 12 ore si sono poi trovate a marciare piuttosto a lungo. A questo vanno aggiunti l’ulteriore discesa dalla strettoia presso il punto 3131 tra il Piz Vadret e il Piz Vadret Pitschen e – in funzione delle condizioni della neve – il faticoso attraversamento su detriti per tornare alla Fuorcla Vallorgia. Per la discesa si consiglia perciò la cresta NW o, a inizio stagione, la parete ovest, chiamata anche «canalone invernale».

 

Prima di scendere, un’occhiata al libro di vetta

Prima di cominciare la discesa, tuttavia, nell’omino di pietra ci attende il coronamento della gita: il libro di vetta. È vero che questo non offre alcuna conferma del fatto che Imhof e la sua guida Valèr abbiano effettivamente scalato il Piz Vadret in quell’anno. Ma la volontà di scoperta e lo spirito pionieristico che da sempre spingono l’uomo sulle montagne diventano tangibili sfogliando questa capsula temporale – risalente all’anno 1893.

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