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Ferragosto alpino

Remarque : Cet article est disponible dans une langue uniquement. Auparavant, les bulletins annuels n'étaient pas traduits.

Cipriano Berini.

Il sole è già alto allo zenit, quando lasciamo Gœschenen per inoltrarci in quella strettoia che raccoglie le acque nel torrente spumeggiante. Sulle sue sponde occhieggiano a migliaia i myosotis dalla tinta carica, quasi rivaleg-giando col cielo di cobalto. Oh, la quiete regna sulle verdeggianti sponde della Reuss, chiusa tra le dirute, massiccie pareti, mentre sù in alto, difeso dal ghiacciaio seraccato, omonimo, troneggia il Damma — la nostra meta!

Corre lo sguardo lungo la cresta del gruppo: intende ad individuare il canale o la roccia che devono permetterci di portare il nostro bagaglio fin lassù.

Magnetizzati da tanto belvedere, le pupille lasciano passare inosservati quasi, le impervie guglie, che numerose ci guardano in atto di sfida.

Che importa a noi di codesti bastioni sfaldati?

Oggi siam tentati da qualchecosa di meglio!

Lento è il passo, ma con un ritmo uguale, gradevole, ci avviciniamo a Gcescheneralp.

A mano a mano che ci alziamo anche le nostre idee si modificano. Le creste frastagliate, che qualche ora prima sembravano un paesaggio scolorito, mettono in rilievo le loro snelle forme sullo sfondo del cielo, che gradatamente si oscura. Le nuvole sbattute in tutti i sensi dal contrasto dei venti, vanno addensandosi e solo ad intervalli, il sole filtra da qualche spiraglio.

Sorpassato il piano che raccoglie gli abituri di Gœscheneralp, attacchiamo la morena, sulla quale si snoda il sentiero che mena alla capanna.

Giù in basso, coperto di terriccio abbondante, il Wintergletscher — dalle cui fauci si sprigiona rumoroso il torrente — va man mano inerpicandosi e intersecato da numerosi crepacci, va a congiungersi col ghiacciaio del Damma. Più in sù la neve è ancora appolaiata nei canaloni, mentre sulle roccie del Winterstock, uno strato di ghiaccio ricopre tutta la superficie a picco! Sembra inverosimile!

Il dorso a nord non vede il sole e lo strato di ghiaccio che vi si forma durante l' inverno, rimane padrone nell' estate e dà alla roccia un non so che di fantastico.

In posizione retrostante, il Salbitschyn, fa pompa delle sue forme suggestive. Perchè non dare la scalata a questa torre pendente, prima di attaccare il gigante della regione?

Siffatto ragionare vien troncato da una raffica di vento, seguito da fitta pioggia e da incalzanti chicchi di gragnuola, li quali si sferrano sulla mia cucurbita, tanto da obbligarmi a ricorrere al cappello di feltro, che ordinaria-mente tengo, durante le mie escursioni alpine, imprigionato in tasca. La furia degli elementi è tale, che ad intermittenze quasi ci leva il respiro. Proseguiamo tuttavia imperterriti, poichè la morena in quel punto non ci offre il minimo ricovero, mentre l' erba si copre di gragnuola e l' aria si raffredda.

Il sentiero ne porta rapidamente su di una balza rocciosa, dove si profila una snella figura di donna: più in là, sotto una roccia la sua compagna, sta rannicchiata, al riparo dell' inclemenze di natura.

Sono anch' esse in viaggio per visitare la capanna e la tempesta non ha voluto risparmiarle.

Il maltempo ha un momento di tregua, poi riprende con un' edizione peggiorata. Lampi e tuoni accompagnano la marcia poco trionfale del nostro ferragosto. Due massi riunitisi, offrono bastevole rifugio a tutt' e quattro.

Lasciamo sbizzarire la tempesta ed intanto diamo la stura alla... terma. Il tè ancora caldissimo ci rinvigorisce e ci da nuova lena.

Mezz' ora più tardi, un allegro focherello intiepidisce l' interno della capanna ed una buona bibita dell' amico Giacomo, ci rimette in condizioni fisiche eccellenti.

Per testimoniare la loro riconoscenza dell' invito al five-o-clock, una delle nostre compagne di viaggio, volle prenderci sotto l' obiettivo in tenuta da quartiere.

Rimasti soli dopo la partenza delle due alpiniste — nessun altro presente — il rifugio viene provvisoriamente trasformato in essicatoio e nel frattempo si procede ad una ricognizione del luogo.

Va senza dirlo che Giacomo, in conformità alle sue tradizioni, si rivela ancor una volta un cuoco d' eccezione!

Siesta. Dentro nel fornello il fuoco crepita. Dall' antina aperta le lingue guizzano, facendo viaggiare con altrettanta elasticità l' ombra del compagno, che si proietta grottescamente sulla parete.

Di fuori il temporale continua le sue gesta terroristiche. Cupi rombi si spandon per l' aere...

Grandioso lo spettacolo sul ghiacciaio sotto i bagliori dei lampi.

Drriin... Sono le tre e mezza. Un balzo felino e siamo tutt' e due alla finestra. Un oh prolungato ci sfugge simultaneamente. Cielo limpidissimo!

Un' ora dopo, ai primi albori lasciamo il ricovero che ci aveva cosi ben riposati e c' inoltriamo per il marcatissimo sentiero, attraverso le pietraie, che si accumulano sotto le pareti del Moosstock. Presto il sentiero cessa completamente. Il nevaio viene animosamente attaccato. La superficie gelida ne consiglia a metterci subito i grappini da ghiaccio. Ed ai nevai succedono i primi crepacci, facili da superare sì, ma la prudenza insegna che incordarci si deve. Nel falsopiano non troviamo difficoltà di rilievo. La grandine del giorno precedente aveva provocato un gelicidio. I ponti reggono bene e le condizioni della neve, non si possono augurare migliori.

Tuttavia proseguendo, l' ascesa si fa più ripida e la presenza dei crepacci che solcano questi pendu, si fanno insidiosi. Per poter avanzare, bisogna tagliare molti gradini sull' orlo dei crepacci e mantenervisi in equilibrio, appena superato l' ostacolo. Quest' operazione è alquanto delicata e va eseguita con tutta calma, senza lasciarsi impressionare dalla situazione. Più oltre con opportune conversioni, si evitano tutti i labirinti.

Sotto la roccia un nuovo ostacolo. Un enorme spaccatura ci sbarra la via. Cerchiamo un passaggio e lo troviamo sotto il canalone. La neve precipi-tata da questo, si era ammassata disordinatamente ed il gelo della notte l' aveva fatta di un sol pezzo.

Colla nostra brava picozza tagliamo gradini su gradini e dopo un duro lavoro guadagnamo la roccia.

Seguiamo il canale, poi appoggiamo a destra per portarci sulla costa dello sperone. Gli appigli sono buoni e talvolta sembrano disposti apposita-mente per offrirci buona presa. Giungiamo così ad una parete, la quale ne presenta due possibilità di passaggio: Una a sinistra, sullo sperone con appiglio scarso, l' altra a destra, sul precipizio con appiglio migliore.Vien scelta questa via. Il mio compagno si assume il compito di passare per il primo. Breve schermaglia! Aiutatolo un pochetino, afferra una screpolatura, vi incide le sue dita e si trascina carponi, finchè riesce coll' altra mano a trovare un ulteriore appoggio, facendo descrivere alla corda un angolo retto, la cui punta dà sul burrone. Assicuratosi bene, mi passa l' ordine d' innalzarmi. La corda provata, regge bene ed allora a forza di braccia comincio la scalata, mentre quella va spostandosi sulla retta, proprio sopra il precipizio. Lo sforzo dura alcuni secondi, poi eccomi issato a fianco del bravo Giacomo. Uomo piccolo, ma di grandi risorse!

Di lì osserviamo la gronda del ghiacciaio, ai fianchi del Damma, che riposa su uno strato di neve che varia dai 9 ai 12 metri.

Sul nostro cammino troviamo dei lastroni di ottimo gneis tagliati obbli-quamente, che offrono buone, ma non sempre domestiche prese. Ne troviamo taluni, che appena toccati ci muovono minacciosamente incontro.

Mentre procediamo guardinghi, una parete di alcuni metri ci separa dalla meta. Troviamo una scappatoia a destra. Un salto a destra mi permette di fissare le mie dita in una screpolatura ed alcuni minuti dopo la vetta 3624 è nostra.

Ci sbarazziamo di tutto: picozza, corda, sacco e ci avviamo al punto del Damma che dista qualche centinaio di metri, seguendo una pista fresca del mattino. Sul culmine notiamo la mancanza del libro di vetta, supplito da una bottiglia e finalmente ci sediamo su di un sasso, per dare ai nostri occhi, ciò che a loro spetta da un così generoso belvedere.

Sventolano i colori del Ticino! Maestoso il panorama. L' ampio ghiacciaio del Rodano, che scende dal Sustenhorn e si sprofonda giù nella valle verso Gletsch, è d' una candidezza insuperabile, un giglio immenso, visibilmente violato dalle tre cordate di alpinisti, che giù in basso, nel mezzo del ghiacciaio si scorgono come tanti puntini ambulanti, che s' insinuano nel labirinto di paurose buche. Solo le guglie conservano il loro aspetto di montagne corrose, or nere, or d' acciaio ed or rosso mattone. Sembra emergano dal bianco manto in vigile scolta, ammonendo i violatori con cupi rombi, che son sempre pronti a far pagar cara la profanazione a chi ne tenta la scalata. Così parlano le pareti del Damma, del Rhonestock, del Galenstock, 1e creste dentate del Gersten, Gelmen e d' altri ancora, che sovrastano in cerchio questo grandioso ghiacciaio.

Dietro a quest' ultimi, disposti ad anfiteatro, i giganti bernesi testimo-niano la loro presenza, custodendo gelosamente la Jungfrau. Sullo sfondo le alpi vallesane, capeggiate dalla Punta Dufour, dal Cervino e dal Monte Bianco. Girando lo sguardo dall' altro lato, il massiccio del Gottardo, apre la serie di altre montagne che s' infiltrano nei Grigioni, nel Glarona, fin su su al Säntis e oltre.

Visione superba di vette, circondate da nevi eterne, dove l' occhio non si sazia di ammirare. Ed un godimento interno, ci attenaglia sul posto, facendo sparire ogni traccia di fatica. Lontano dal mondo ipocrito e tedioso, l' animo nostro si bea in questa maestosa solitudine, dimenticando per pochi istanti tutte le miserie umane. L' aria purissima viene respirata a pieni polmoni, ed i raggi del sole dardeggiano e cuociono la pelle. Il silenzio non è rotto che dal rombo dei sassi che cadono. Alcune cornacchie vengono a tenerci compagnia, soli esseri viventi intorno a noi.

Il momento topico non deve sfuggirci ed anche per non perdere l' abitu, afferriamo con cuor da leone la carne affumicata — la inseparabile bresaola — e ne riduciamo il formato in modo impressionante. Del resto, nel sacco di Giacomo c' era ogni ben di Dio. Dunque? Avanti con coraggio...

Il nostro cronometro segna le 16 quando viene l' ordine di riprendere i sacchi. Quasi quattro ore di permanenza sulla vetta!

Una scivolata in piedi ci porta in un batter d' occhio nell' avallamento. Ed i crepacci?

Dopo tante emozioni non erano più tali da impressionarci. Alcuni passi di rincorsa e si lasciavano dietro a noi senza tanti preamboli. Si può dire, che questa regione rappresenti il bacino imbrifero, per le abbondanti acque che qui convergono dalle diverse alture. Ed io suppongo, che in certe giornate resta impraticabile per l' acqua che vi stagna. Da ciò si consiglia di tenersi al punto 2751. Quest' appoggio non è immune da pericolo. Delle grandi bocche si sprofondano in paurosi abissi, con altri satelliti, sui quali l' occhio deve vigilare. Ed è qui che abbiamo constatato diversi ponti di neve di 30—50 cm di spessore, la cui superficie è molle, ma buona ancora. La sottostruttura è formata da una crostina di ghiaccio di un centimetro circa di spessore. La grandinata del giorno precedente ci aveva reso facile la traversata. Ponti buoni e poc' acqua negli avallamenti.

Passato queste trappole, puntiamo decisi verso le falde nevose dei Gerstenhörner, la cui superficie ghiacciata, fa rallentare il nostro ritmo. Sotto a noi, i seracchi riappaiono numerosi, contorti dalla pressione che subiscono, scon-volti e con veste sporca di terriccio, in istridente contrasto col candore della neve che poc' anzi ci accecava.

Il grande astro volge all' occaso. Una luce giallo-arancio invernicia il già manto bianco. Lo sguardo ritorna sui nostri passi. La trasformazione è così repentina ed affascinante, che si rimane lì in estasi a godere, a pieni sguardi, il superbo spettacolo. Glabre ci appaion le pendici nevose verso il Damma, cupa, melanconica la valle.

L' ora stringe e la fatica non è ancor terminata. Si scende ancora verso l' ultima parte del ghiacciaio. Un brontolio d' acqua invisibile, giunge al nostro orecchio; poi torrenti che scendono frettolosamente dal ghiacciaio e paurosa-mente ingoiati dalle buche. Altri ingorgano con cicaloso risucchio. Sull' ultimo tratto piano, osserviamo degli spiragli imbutiformi, che sembrano lavo-rati al torno.

Lentamente le tenebre avvolgono la bassa valle. Al di là del ghiacciaio, alcune lampade gettano una viva luce sul piazzale, davanti all' albergo Furka Belvedere. Allegro ed allettante quel ritrovo, sopratutto dopo la nostra lunga marcia. Destinati ad altra meta, voltiamo stoicamente le spalle ed affrontiamo, con altrettanto cuore, la morena per cercarvi il sentiero, che deve condurci al Nägelisgrätli. Non senza fatica, dopo esser saliti e discesi alcune volte, c' imbattiamo in un largo sentiero — fiancheggiante una valletta — che si delinea in comoda serpentina. Un senso di sollievo pervade il nostro animo e c' infonde nuovo vigore. Alla nostra sinistra intravvediamo dei lunghi muraglioni, che fanno prevedere la fine dell' ascesa. Entriamo in una conca occupata dalla neve. La pista c' indica la direzione del cammino. Gi-riamo una gobba ed un' esplosione di gioia erompe dai nostri petti. Davanti a noi due idillici laghetti lambiscono il sentiero. La luna vi si specchia dentro con tutto comodo. Di fronte riappaiono i giganti dell' Oberland nel loro superbo manto bianco. A intervalli, una leggera brezza accarezza lo specchio. L' onda placida si fa querula e nell' illusione le guglie prospicienti vi si cullano soavemente. Se il nostro indugio sul Damma, non si fosse protratto oltre le consuetudini, chi ci avrebbe procurato un panorama così sensazionale? Lo avremmo vissuto ugualmente, ma sotto un' altra luce, quindi sotto un altro aspetto, sotto altre impressioni.

A passo lento avanziamo su quella comoda strada, dove gli avallamenti vengono colmati da muriccioli che rendono la via piana e permettono al pelle-grino che la percorre, d' imprimere nel suo cervello, tutta la maestà della regione.

Il nostro orologio segna le 21. In mezzo a tante dolci impressioni, anche lo stomaco comincia a intenerirsi e vuole la sua parte. Pieno d' improtitudine, m' impossesso della bresaola del compagno, che subisce un' ulteriore riduzione. La sosta è breve. Alcuni sorsi d' acqua di sorgente ed anche gli stimoli della sete tacciono. Il Nägelisgrätli digrada lentamente verso valle ed è attraversato da una comoda mulattiera, che or sale, or scende. Più oltre, ascoso fra le roccie, un' altro laghetto, abbellisce la regione. Poi alcuni fari proiettano una forte luce nel buio della valle. L' opera umana si fa palese. Sovrastiamo finalmente il bacino imbrifero dell' Aar. Il compagno imprime un ritmo accelerato al nostro passo ed il suo profilo si sprofonda nella valle. Sono le 10 1/4 quando poniamo piede sulla strada maestra propria in faccia al lago morto.

Il nostro pernottamento ci fa rimpiangere la capanna al Moosstock. Benedetta capanna! Chissà in quante e quante occasioni rievocheremo quella bella tela di bucato, distesa su quel soffice fieno alpestre, le ore trascorse in piena intimità ed il sonno ristoratore che ne seguì, dopo la bufera del primo giorno di marcia.

All' indomani facciamo visita agli impianti idroelettrici dell' Aar. Fa da cicerone un collega di vecchia data. L' ospizio verrà sommerso e sarà sosti-tuito da un' altro più moderno sul Nollen. La valle sarà sbarrata da due potenti dighe ed il lago s' insinuerà fin sotto al basso ghiaccio dell' Aar. Dal Nollen, una strada nella roccia viva, permetterà ai gitanti di costeggiare il lago e di visitare il ghiacciaio precitato.

Terminato questo sopraluogo, un bel carro alpino ci porta a Gletsch. Visitiamo la cascata di ghiaccio, l' ultimo sperone di quello che avevamo cal-pestato in lungo ed in largo il giorno precedente, tanto per completare la nostra indigestione.

Come si rimarca da queste « scartoffie », il nostro debole, è quello di man-giar bene. La parte di cuoco viene onorevolemente assolta dal mio compagno. Io mi accontento di un posto di sguattero in seconda, e modestia a parte, di cliente in prima!

Il trambusto a Gletsch non ci garba. Un rincorrersi di automobili, un viavai di gente da far pensare ad una Locarno in piena stagione.

Scendiamo col treno a Ulrichen, piccolo villaggio, in mezzo ad un bel verde incorniciato da belle pinete. Malgrado la sua altitudine, 1351 m ., dalle biade bionde penzolano le spighe mature. Anzi la mietitura è già incominciata. I covoni avvolti in grandi tele bianche vengono portati con disinvoltura dalle contadine, avendo cura di ripartirne il peso tra testa e spalle. La valle d' Eginen che imbocchiamo, sale dolcemente, ricca di sorgenti d' acqua e di funghi prataioli. Raccogliamo abbondante razione di vecia — lypecordon — per la cena. Deserti sono i pascoli che attraversiamo. Un tintinnio ci vien dalle alture sull' altra sponda del fiume. Rinunciar bisogna a dissetarsi con abbondante libagione bianca. Una fresca sorgente ad Altstaffel fornisce un surrogato di prima qualità.

Poi l' erta erbosa è ripida verso il Gries vien superata a grande andatura. Il ghiacciaio si ritira verso l' alto lasciando visibili traccie della presenza, d' epoca recente. Giriamo la morena sotto il Nufenenstock, ci alziamo sopra i laghetti, puntando verso Val Corno.

Da un' altopiano scorgiamo le due finestre della nuova capanna illuminate a festa. Mezz' ora più tardi due teste scrutano l' interno. Un gruppo di amici lottano in fraterno brindisi per il monte, contro l' alcool. Tutti pezzi grossi, tra loro il podestà della sezione.

Ricevimento semplice, ma cordiale. Tanto per dare il cambio al mio volonteroso compagno, impadello i funghi. Lì vicino due occhi mi sbirciano. Perbacco! Quale infrazione! Presenzia anche l' altro cuoco della sezione. Si è fatto una nomea con Giacomo, in occasione dell' inaugurazione della capanna; i loro nomi furono inscritti nel libro d' oro dal presidente centrale... ( non si può perdonare simile indelicatezza !) Giacomo gli mostra una bomba di contenuto generoso. Il viso dell' amico si rasserena, il pericolo è scongiurato.

Il menu? Funghi, bresaola, insalata con uova sode, biscotti all' avena, prugne secche, tè e due, ripeto due bombe. Da dove provengono, io non so capacitarmene. Deve averle trovate il mio compagno sotto il terriccio, vicino al ghiacciaio del Gries.

Ma vi confermo che il contenuto è buono e gli ha sciolto la lingua. Non ricordo bene tutto il suo ragionamento. Tuttavia mi sembra, che dopo la sua perorazione, mi trovo impegnato per una gita al Blindenhorn, mentre il mio piede è male in arnese ed io non sognavo lontanamente di effettuarla. Anzi la sera dopo dovevo rientrare in Valle Maggia.

Malgrado l' ora avanzata, la polizia non ci ha molestati. Ossequienti alla disciplina, a mezzanotte ci corichiamo, anche per non farci ammonire dal nostro presidente.

Non so per qual motivo, le palpebre non volevano chiudersi e l' ambiente mi sembrava caldo, malgrado la vicinissima finestra, da noi tenuta spalancata. Colle ore piccine anche Morfeo spiega la sua azione benefica e tutto piomba nel silenzio. La consegna vien rotta all' alba, quando le avanguardie si mettono in assetto di marcia.

Parte il primo, poi il secondo gruppo. Il terzo va sulla china in cerca di stelle alpine. Noi siamo i ritardatari. Ci avviamo verso il Piantondo, man-tenendoci a quota alta. Sul piano di San Giacomo sostiamo per un breve spuntino, poi una cordiale stretta di mano, un arnvederci ed il gruppo si scinde. Giacomo ed il terzo alpinista, che si era associato, ascendono le roccie verso il confine, mentr' io mi porto sulla morena, poi sulla neve, in direzione del passo Grandinagia. Questa rammollita, cede ad ogni piede e rende dura la mia avanzata.

Il varco s' apre fra roccie friabilissime. Pace profonda regna sul passo, solo rotta dal fischio di due marmotte — madre e figlia — che si sono azzardate fuori dal loro nascondiglio. Ascendo il pizzo Grandinagia e mi riprometto un' orizzonte vasto, un panorama di cartello verso le vallate e cime che mi sono familiari. Ma Petrus fa il broncio e manda avanti cavalloni di nubi bigie che lasciano sperar poco. Allora sdrucciolo giù sul nevaio, seguendo una pista che in un batter d' occhio mi mena al Lago Bianco. Un paesaggista è sulla riva per ritrarlo in un ora così melanconica. Lo sguardo resta imprigionato fra le roccie, rese cupe dal cielo abbronciato.

Senz' espressione il ghiacciaio di Cavagnoli.

Il sentiero serpeggia sulla riva del lago, scavalca un motto, lasciando a sinistra l' alpe ormai abbandonato di Pioda e s' inoltra sul fianco dello sperone. A destra mugge la Bavona. Giù in basso scorgo Lielpe, l' alpe che rievoco con piacere per la larga ospitalità accordatami tempo addietro. Seduto 1' alta morena, il Basodino innegabilmente bello, anche sotto la minaccia temporalesca.

Dai scolatoi raduna le sue acque nelle vallette ed incanalato fra argini rocciosi, avanza baldanzoso sull' orlo del precipizio e cade spumeggiando sulle balze. Lo sguardo sosta per ritenere questo spettacolo. Lascio a destra la robusta capanna di Robiei, poi giù di corsa. Il temporale s' avvicina.

Enormi massi rallentano il corso d' acqua. Sono le prime scolte della selvaggia Bavona. Selvaggia e pittoresca. Goccioloni d' acqua fanno luccicare le roccie a picco. In pochi minuti mi sono abbassato a Campo-Bavona. Un ponte in legno gettato sul fiume, mi porta alla riva destra. Sotto una roccia trovo comodo riparo. Poi la pioggia cessa ed io trotterello verso San Carlo. Quivi sostano le retroguardie del campeggio di Robiei.

La mia immaginazione si smarrisce entro questi altissimi baluardi; mi danno lo spavento d' un eterna melanconia e mi mettono addosso un' umi svogliatezza. Tra gli ontani cerco il sentiero d' Antabia e riesco a scor-gerlo a stento.

Lo seguo in ispirito e rievoco ad uno ad uno la Corte Grande, Pian dei Cresti, passo Cazoli, il nevaio d' Antabia, il pizzo Sologna. Quante remi-niscenze! Ed il mio cuore si riapre a quegli affetti che non hanno limiti nel regno della natura!

Ed è così che ho sorpassato Sonlerto e batto la mulattiera a passo sostenuto per evitare il secondo temporale. A Foroglio l' acqua comincia a cadere leggera, poi lampi e tuoni solcano quel poco cielo. La pioggia si rovescia a catinelle. Una delle tante cappelle mi protegge dalla furia degli elementi...

Sosto a Cevio per uno spuntino. Quando mi metto in viaggio sulla scorciatoia di Linescio, 1e mie gambe non vogliono più obbedire. Marciano tuttavia, ma in tono minore. Nel frattempo le tenebre mi sorprendono e m' in.

Rientro a Campo Valle Maggia, quando la quiete è già profonda. Solo il faro alla Rotonda rompe le tenebre ed il concerto gri-gri continua insistente, monotono e stonato.

Ma l' animo convoglia un gamma di belle impressioni: dolci e violente.

La presenza tenera e squisita della dolce metà, mi conforta con una zuppa alla montanara.

Da questa si sprigiona il vapore che sale a spiragli al soffitto affumicato; ed abbozzo il primo racconto: ancor una volta ci siam trovati nel nostro ambiente. E ci torneremo.

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